Fin dall'inizio della mia conoscenza con Elviro Di Meo, non molti anni fa, ho sempre avuto nei suoi confronti stima e ammirazione. Era una persona e un architetto che aveva, cosa rara nel momento che stiamo vivendo, in cui prevale in molti un senso di sé molto pronunciato, autoreferenziale, e in alcuni casi aggressivo, un forte interesse per coloro che incontrava e per tutto ciò che avveniva nella teoria e nella pratica dell'architettura, nella complessa evoluzione della città nell'età della globalizzazione. Dalle incessanti trasformazioni territoriali e paesaggistiche che sempre più velocemente stanno cambiando la fisionomia del nostro pianeta, alla produzione di un gran numero di architetture spesso superficialmente spettacolari i suoi interessi si diramavano in più direzioni nel tentativo di ricercare nuovi valori all'interno di una continuità ideale con la tradizione moderna. Egli possedeva un dono piuttosto raro, uno sguardo d'insieme sulla realtà che gli consentiva di analizzarla in senso profondamente umanistico e al contempo con una particolare attenzione agli aspetti che una attitudine scientifica può rivelare. A tutto ciò va aggiunta una capacità di interporre tra la situazione dell'architettura contemporanea e le sue riflessioni su di essa una necessaria distanza che disciplinava le interpretazioni personali spostandole su un piano il più possibile oggettivo.
In una stagione come l'attuale, nella quale la critica come giudizio orientato sull'architettura è di fatto stato sostituito da finalità illustrative e molte volte pubblicitarie, Elviro Di Meo riaffermava la necessità che l'esercizio critico fosse, ricordando Charles Baudelaire, "di parte, appassionato e politico". Per lui l'arte del costruire non era uno spazio isolato nella sua specificità ma un ambito aperto, nel quale l'intera gamma della dimensione sociale entrava ponendo domande centrali per le esistenze individuali e per il loro confluire nella comunità, con tutti i suoi accordi e conflitti. Dotato di una scrittura chiara e limpida le sue letture architettoniche erano nutrite di una coinvolgente razionalità nell'argomentazione unita a una originalità interpretativa che rendeva la lettura stessa ancora più capace di decifrare le architetture esaminate. In breve la logica era accompagnata nei suoi testi da uno straniamento per il quale un'opera, citando Viktor Sklovsky, si interrogava nel suo significato "come se la si vedesse per la prima volta". In altre parole Elviro Di Meo reinventava occasione per occasione la sua scrittura rinnovandola dall'interno, in modo tale che fosse sempre una nuova avventura della mente leggerla. Il lavoro svolto dalla rivista "Of Arch" dimostra ampiamente la sua capacità di intravedere nella complessità labirintica della città contemporanea, la città globale o, secondo Vittorio Gregotti, la "post-metropoli", alcune linee teoriche e operative da segnalare per la loro resistenza a quell'esperanto che ha trasformato nell'ultimo ventennio il linguaggio architettonico, da una formulazione organica e coerente a un mosaico di lessici parziali e diversi, montati casualmente alla ricerca di effetti speciali, dimenticando gli ambiti e le finalità fondamentali dell'arte del costruire. Va detto anche che Elviro Di Meo rifiutava gli schematismi ideologici ma non rinunciava a esprimere una concezione chiara, scicura, in grado di decifrare scenari intricati e impliciti, relativi sia all'architettura sia al contesto in cui essa è pensata e resa concreta. Come è noto il panorama contemporaneo degli orientamenti architettonici è divenuto talmente molteplice e stratificato da non permettere di essere compreso agevolmente, ma l'attitudine a confrontarsi con fenomeni apparentemente inspiegabili gli consentiva di procedere a esegesi critiche rigorose e puntuali.
Elviro Di Meo è stato al centro di un'importante iniziativa alla quale ha dedicato molto tempo e notevoli energie. Si tratta del Manifesto. L'architettura in 10 punti, che ho avuto modo di discutere con lui e altri architetti a Venezia e a Caserta. La redazione di questo testo, che si inserisce autorevolmente nella storia del tentativo iniziato da molti anni da parte di alcune importanti istituzioni come la Darc o l'Inarch, consiste nel promuovere una legge sull'architettura sull'esempio della Francia, si configura come una ridefinizione profonda e illuminata dell'architettura nel nostro tempo, al fine di dare vita a un abitare più libero, aperto, in grado di favorire gli individui e le comunità nel realizzare le proprie aspettative. Elviro Di Meo ha lasciato un'eredità che si traduce in una continuità operante delle sue idee. Sono convinto che chi lo ha conosciuto, ma anche coloro che si avvicinano oggi alla sua visione del dibattito disciplinare e del ruolo della critica nel migliorare l'abitare in accordo con la natura ma anche con la sua storia, sapranno continuare con la stessa determinazione che lo caratterizzava il suo percorso illuminato e coerente.
Franco Purini
Roma, 17 ottobre 2019
CASERTA
ORDINE DEGLI ARCHITETTI P.P.C DI CASERTA
Corso Trieste ,33
SALA SIRICA
Ore 16,30
CONFERENZA
L'ARCHITETTURA, SEGNO E RACCONTO
"L'architettura, segno e racconto" è il tema dell'incontro formativo maturato in seno alla Commissione Cultura e promosso dall'Ordine degli Architetti di Caserta.
Il rapporto osmotico tra architettura, critica e design è all'oggetto della discussione che è già tema di un approfondito dibattito che vede in prima linea la "Graduate School of Design" di Harvard. Il Design dell'oggetto inteso come impegno progettuale ispirato ai valori del linguaggio architettonico e, dall'altra parte, il progetto di architettura, considerato come insieme di frammenti analoghi al tutto, rappresentano la risposta agli interrogativi metodologici dei singoli progettisti a qualsiasi scala, con l'intento di innescare un fertile dibattito sulla progettazione, dall'urbanistica, all'edilizia al design dell'oggetto.
Tale percorso, da provare e riprovare nell'uno e nell'altro senso, potrà condurre a rispondere alle richieste e alle problematiche della mutevole società odierna, se ispirato a concetti quali Etica, Estetica, Contemporaneità, Sostenibilità, Multiculturalità e, non ultimo, Progetto; concetti già approfonditi dalla Commissione Cultura dell'Ordine e pubblicati ne "Il Manifesto_L'architettura in 10 punti". Durante l'incontro sarà ricordato il collega architetto Elviro Di Meo prematuramente scomparso che, in qualità di critico dell'architettura, architetto e design si è lungamente profuso su questi temi e l'Ordine, in riconoscenza del suo impegno, alla fine della conferenza, intitolerà la Sala Commissioni alla sua memoria.
Programma:
Antonietta Manco (Consigliere Ordine Architetti P.P.C. Caserta)
Saluti
Francesca Sabina Golia (Presidente Com. Cultura)
Modera l'incontro
Giancarlo Pignataro (Consigliere Referente Com. Cultura)
Introduzione
Giuseppe Iodice (iodicearchitetti)
Disegnare oggetti: appunti di una ricerca in corso.
Franco Mirenzi (direttore Rivista OFARCH)
Narrare oggetti
Massimo Pica Ciamarra (Pica Ciamarra Associati)
Il "Progetto" Manifesto e dintorni.
Alessio Princic (Faculty of Architecture, Ljubljana)
"Presistenza": il dialogo continua.
Umberto Panarella (Componente Commissione cultura)
Conclusioni
Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Caserta, Corso Trieste, 31 - 81100 Caserta
tel. +39 0823321072 fax. +39 0823357784
www.ordinearchitetticaserta.it
architetticaserta@archiworld.it
© archimagazine
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Architettura
Nuova esposizione presso il Vitra Campus
Il 25 marzo 2017, presso la Fire Station del Vitra Campus, sarà inaugurato 'Project Vitra - Design, Architecture, Communications (1950 - 2017)'.
Design
Lo spirito del Bauhaus: Architetti, scultori, pittori, tutti devono tornare ai mestieri
scriveva così l'architetto Walter Gropius nel suo manifesto del Bauhaus.
Lo spirito del Bauhaus in una mostra al Musée des Arts décoratifs di Parigi.
Transportation Design
Le spider anni '50 e anni '60
L'automobile fu la naturale evoluzione della carrozza. Le prime automobili erano delle semplici carrozze alle quali furono eliminate le parti che servivano per attaccare i cavalli e aggiunto un piccolo motore a scoppio.Le prime auto erano completamente aperte o al massimo prevedevano, come sulle carrozze, una copertura a mantice. Agli albori, quindi, erano tutte scoperte, anche perché i motori erano poco potenti e perciò nessun costruttore era intenzionato ad appesantirle con una carrozzeria chiusa.