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Sopra e sotto la terra di Manhattan L’avviso di una apocalisse in onda, mi venne da Milano. Era giustamente un amico artista tedesco (che vive distaccato dalla città, in una fattoria vicino Milano) che, via telefono, mi sollecitava ad accendere il mio televisore a Monaco. Lo feci nel momento in cui crollava la prima torre. Dico "giustamente" perché conosco pochi altri artisti che si sono talmente dedicati al tema dell’integrazione dell’uomo con la terra come Helmut Dirnaicher. Egli odia la tendenza della civiltà moderna verso la sua "smisurizzazione", soprattutto nell'architettura. Avevamo discusso tante volte l’importanza dei significati spirituali ed emozionali oltre che funzionali ed estetici nel nostro ambiente, nei paesaggi rurali ma anche urbani. Questi significati sono da trovarsi nella terra, e nelle diverse materie in sito. E’ l’artista a cui tocca di decifrare questo linguaggio della materia, in un atto creativo di formazione e trasformazione. La mostra "Memoria Terra" di Dirnaichner, tenutasi due anni fa a Cottbus (in Germania), illustrava questa visione della natura sotto e sopra la superficie della terra. Poco prima di questa mostra, avevo inviato Dirnaichner a New York a presentare i suoi libri d’artista al Goethe Institut e alla Fondazione Angel Orensanz – Center for the Arts. Durante la fase della preparazione della mostra stava con me nella sinagoga più antica di Manhattan, sede della Fondazione, nella zona della Lower East Side. Esterno della Fondazione Orensanz Il tempio era stato eretto da un architetto tedesco-ebraico nell'anno 1849, nel periodo in cui il distretto era abitato da emigrati ebrei-tedeschi, ed era il centro commerciale di Manhattan. Dopo il declino del quartiere e la devastazione, la sinagoga venne salvata, recuperata e trasformata in un centro di sperimentazione artistica (non come ricostruzione nell'originale stile pseudogotico ma in una adozione di vari stili, una specie di recycling del materiale che si trovava) dai fratelli Orensanz (uno artista e l’altro professore di sociologia; ebrei d Saragoza) . Da allora, tutti gli artisti di New York hanno amato la sinagoga di legno mal ridotta e tanti preferiscono questo "Lincoln Center of the Lower East Side" al vero "Lincoln Center", troppo chiuso e perfetto con le sue superfici lisce. Interno della Fondazione Orensanz Per loro, la Sinagoga è la testimone dei cicli di fioriture ed invecchiamenti tipici dell’identità della "Big Apple" e, per questo, un contenitore della memoria della storia della città. Sale espositive della Fondazione Orensanz Dalle gallerie superiori delle due torri di questa chiesa, al livello dove sono anche le camere per gli artisti che vengono ospitati (più dimesse e meno "camere") si vedeva, attraverso le grandi finestre costruite nello spirito gotico, il profilo vasto e lungo di Manhattan, dalle Torri Gemelle del World Trade Center a quella del Chrysler Building, per finire all’Empire State Building. Dalle torri della Sinagoga si intravedeva una prospettiva inaspettata in cui le tre torri formavano un triangolo immaginario. Infatti, la Sinagoga sembrava emanare raggi di energia alle altri torri, - cioè da sotto a sopra – una fantasia che non mi era estranea perché sono sempre rimasto affascinato dalle forze del sottosuolo di Manhattan: torrenti feroci invisibili e un formicolio di milioni di canali d’acqua, di gas, di elettricità e di tubi della metropolitana che non si rivelano mai alla vista del mondo del soprasuolo. Talvolta si spacca una delle avenue, facendo scaturire, in uno scoppio enorme, masse d’acqua e fagocitando alcuni "cabs", cioè taxi, che inondano la città come globuli gialli. In questi momenti di catastrofe, i movimenti orizzontali si convertono in una dinamica verticale. Le vie fra sopra e sotto risultano essere svelate per un attimo. Il rapporto misterioso fra l’undeground di New York e il mondo di sopra, saldamente sigillato con il calcestruzzo come se il corpo urbano fosse una nave blindata (nonostante la realtà di forti isole al Central Park , ove la memoria corre alla foresta vergine presente prima della colonizzazione della penisola) è poco sentito dai newyorchesi, come risultava da un progetto d’arte a mia cura, con due artisti specializzati sul tema sopra-sotto: Alan Sonfist di New York e Peter F. Strass di Bad Endorf (Germania). Il lavoro da loro proposto e che interessava tutta la penisola di Manhattan aveva come titolo "Beyond the Surface" ("Al di là della superficie"); esso era basato sul concetto che le correnti delle forze ed energie dell’underground hanno valori al di là del loro semplice essere. Gli artisti cercavano di visualizzare quelle correnti, sia attuali sia storiche, con tracce e segni da seguire nei parchi, negli edifici e sulle strade. Prima dell’11 settembre 2001, però, non c’era grande interesse a vedere Manhattan come un gigantesco campo di poteri, come un'enorme rete di energie che si amplificano e focalizzano nelle uscite-entrate delle antenne che i grattacieli formano. Una tale visione delle costruzioni umane strappate dalla natura con grande genio tecnico che potevano essere sottomesse a strane forze invisibili non collimava bene con il pragmatismo commerciale e funzionale della maggioranza degli abitanti. L’immaginazione di altre dimensioni più profonde che fossero sotto la pelle di un simbolismo piatto del record nel mondo economico – con il culmine delle Torri Gemelle – era deviata al science fiction e al cinema, specie ai filmati di horror e catastrofi. Alla fine, nell'anno 2000, il progetto visionario di Sonfist e Strass sulle conseguenze delle forze del sottosuolo non riceve un dollaro di finanziamento da nessun istituto culturale, scientifico o storico di New York o da uno dei tanti sponsor della città che normalmente spendono facilmente soldi per qualsiasi trash. Se il progetto non fosse stato finanziato proprio dall’organizzatore della manifestazione, il manager culturale Thomas Sprengel, non si sarebbe realizzata la mostra al Goethe Institut ; mostra che ha avuto il più grande afflusso di pubblico mai registrato in questo spazio della 5th avenue e non si sarebbe mai realizzata neanche la conferenza nel Museo Guggenheim, alcuni passi più avanti, in cui, per la prima volta, venivano ospitati artisti e scienziati per dibattere su un argomento scottante. In questa conferenza era addirittura Al Orensanz, direttore della Fondazione Orensanz, ad ammonire che per il futuro della città bisognava seguire altre piste invece di costruire sempre più torri di Babele. Con nuove forme di comunicazione come la partecipazione di tutti, "sustainabiblity" del lavoro artistico e della materia usata, sarebbe stato più facile integrarsi nella "natura" dell’organismo urbano. Quindici mesi dopo questo detto profetico, i cittadini di New York, con l’11 Settembre, avevano capito che il messaggio che emanavano le Torri Gemelle poteva anche essere letto come una provocazione e non solo come invito prepotente ad entrare nel mercato globale della competizione economica. Troppo forte era l’amplificazione di tutte queste energie, simboli e segni storici del mondo occidentale, focalizzate in un’unica megastruttura del World Trade Center, per essere in grado di offrire un punto di dialogo nel caso di conflitti tra le civiltà. Fotografia del Prof. Marcus Schwier dal WTC L’assalto alle Torri Gemelle ha indicato che una fine dell’età babilonica, con la sua espansione "libera", è immaginabile se non probabile. In ogni modo, le Torri modeste della Sinagoga sembrano più adatte a un incontro delle culture, per creare strutture più sostenibili nel futuro. Il prossimo incontro di questo tipo si farà nella sinagoga con gli emigrati di Monte di Procida che vivono a Long Island. Elmar Zorn |