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New York descritta New York ferita Il World Trade Center era in costruzione, le torri gemelle già svettanti, con le gru inclinate sulla sommità e i montacarichi che salivano lungo i fianchi. Klara lo vedeva dovunque andasse, praticamente. Mangiava, beveva un bicchiere di vino poi andava verso la balaustra o il bordo piatto e di solito la costruzione era lì, cospicua sull’estremità affusolata dell’isola, e un uomo le si avvicinò (…) Gli scrittori americani, più degli altri, hanno tematizzato la città meccanizzata e moderna, e i suoi protagonisti vengono investiti dalle frustrazioni e dalle irrequietezze che produce. Le torri gemelle Le città sono stati d’animo, stati emotivi, umori, per la maggior parte distorsioni collettive, dove gli esseri umani prosperano e soffrono, dove investono l’anima loro in gioie e dolori, accettando sia i piaceri sia le pene come prove della realtà. (2) Così Saul Bellow fa parlare il professor Corde e fornisce la chiave per entrare in ogni città. E Moses Herzog, suo memorabile personaggio, scrive lettere con accanimento frenetico, alla ricerca di rapporti e certezze, gira l’America con la forza della sua inquietudine e arriva a New York. Nel taxi, per strade infuocate dove s’ammassavano edifici di mattone e arenaria, Herzog si reggeva al sostegno ed i suoi grandi occhi erano fissi sullo spettacolo di New York. Erano vive, non inerti quelle forme squadrate: gli comunicavano una sensazione di movimento carico di significato, di intimità, quasi. In qualche modo si sentiva parte di tutto ciò - delle stanze, dei negozi, degli scantinati - e allo stesso tempo avvertiva il pericolo di quei multipli eccitamenti. Ma se la sarebbe cavata. Era sovreccitato. Doveva calmare quei nervi galoppanti, estenuati, spegnere il tenebroso fuoco che si sentiva dentro. (3)
New York e lo spirito americano Erigere un muro, costruire una casa, alzare una diga, e nel muro nella casa nella diga infondere qualche molecola d’Umanità, e dal muro dalla casa dalla diga prelevare qualche molecola d’utile a favore dell’Umanità: questa è la funzione suprema dell’essere umano. (4) New York ha solide fondamenta e viene da lontano. Lì attinge le forze per superare le ferite. E lì c’è anche l’origine delle tensioni più creative ed innovative. Ecco Faulkner: Così avevano perfino un architetto. Egli ascoltò quasi un minuto nel retrobottega di Ratcliffe. Poi fece un cenno indescrivibile e disse : "Bah. Non avete bisogno di consigli. Siete troppo poveri. Avete soltanto le vostre mani e l’argilla per fare buoni mattoni. Non avete denaro. Non avete neanche qualcosa da copiare : come potete sbagliarvi?" Ma insegnò loro a stampare mattoni; disegnò e costruì la fornace dove cuocere i mattoni, molti perché probabilmente sapevano già da quel primo mattino giallo che un solo edificio non sarebbe bastato. Ma anche se vennero ideati nello stesso momento e costruiti ininterrottamente durante i tre anni successivi, naturalmente il tribunale arrivò prima, e a marzo, coi picchetti e le lignole, l’architetto tracciò in un boschetto di querce di fronte all’osteria e all’emporio le fondamenta quadrate e semplici, il disegno irrevocabile non soltanto del tribunale ma anche della città, dicendo loro quanto segue : " Fra cinquanta anni cercherete di cambiarla in nome di quello che chiamerete progresso. Ma non vi riuscirete; non potrete mai liberarvene" (...) Ma soprattutto il tribunale: il centro, il fuoco, il nucleo; incombente nel centro della circonferenza della contea come un’unica nuvola nell’anello dell’orizzonte, che stende la sua vasta ombra fino all’orlo supremo dell’orizzonte; meditabondo, pensoso, simbolico e corporeo, alto come una nube, solido come una rupe, sovrastante a tutto: protettore dei deboli, arbitro e freno delle passioni e delle brame, depositario e guardiano delle aspirazioni e delle speranze; sorgendo mattone per mattone nel corso di quella prima estate, semplicemente quadrato, nel più semplice coloniale georgiano poiché, come aveva detto loro l’architetto, non avevano denaro per comprarsi il cattivo gusto e neanche qualcosa da cui copiare quel tanto di cattivo gusto che poteva essere alla loro portata. (5) Lo spazio di una comunità (città o casa) deve essere fondato e questa fondazione avviene intorno al punto ideale di quella stessa comunità. Molte città europee crescono intorno al nucleo religioso. La civiltà americana si coagulava intorno ad un edificio laico, il tribunale e la prigione. La separazione tra fede e tutto il resto è stata lo zoccolo rivoluzionario su cui l’America è stata costruita.
New York moderna New York è una città che usa la tecnologia per dare forma al sogno americano e dell’umanità di salire verso l’alto. I grattacieli di Manhattan sono natura pietrificata, sensibile ai colori del tempo, ai riflessi del sole e alle nuvole dei temporali. La tecnologia è la creazione di metafore del mondo naturale. Il volo è la metafora dell’aria, le ruote dell’acqua, il cibo della terra. La metafora del fuoco è l’elettricità. (6)
La luce di New York Si può leggere una città unica come New York attraverso una chiave di lettura altrettanto unica: la luce. Lawrence Ferlinghetti: (...) sotto l’ "immenso cielo" spalancato d’America. Perfino a New York, a Manhattan, nel Lower East Side c’era un cielo immenso, un po’ circondato, non proprio il cielo immenso del West, ma comunque simile a un obiettivo grandangolare spalancato, un enorme occhio aperto che non batteva mai ciglio (...) tutto steso nella luce pulsante, una luce molto mascolina, sì, così mascolina e giovane, l’esatto contrario della luce perlacea di Parigi, rimasta ancora femminile, non così aggressiva come la luce americana e la sua aggressiva New York School of Painters, tanto diversa dalla vecchia luce di Parigi, come una vecchia grande dame sonnecchiante nella sua Ecole des Beaux-Arts.... (7) Si può attribuire un carattere alla luce di un luogo, occorre riconoscere la qualità sottile, come un pittore; Giacometti diceva : "Il cielo è blu per convenzione, in realtà è rosso". Un dialogo a più voci sulla luce:
La luce dell’architettura Borges mette tutti d’accordo (a proposito del Guggenheim Museum visitato quando era quasi cieco): Ricordo la sua circolarità. Ecco, non potevo distinguere gli oggetti, però la luce sì, e notavo che il percorso non era in linea retta... andavamo in discesa (con mia madre), in circolo, perché la luce era sempre a destra, una luce che proveniva da una cupola di cristallo, mi dissero, e che io notavo sulla mia testa, come se non fossimo stati in un edificio, ma all’aria aperta, e mi chiedevo angustiato se tutto sarebbe finito di colpo, nel vuoto, e sarei precipitato... (10) Frank Lloyd Wright
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