Arte

Omaggio a Capodimonte. Da Caravaggio a Picasso
Omaggio a Capodimonte: festa per un compleanno di Nicola Spinosa

Omaggio a Capodimonte: festa per un compleanno

di Nicola Spinosa

Doppio ritratto, 1976

Francis Bacon
Doppio ritratto, 1976
Collezione privata

Sarà bene precisarlo subito: chi, tra il 24 ottobre e il prossimo 20 gennaio, verrà a Capodimonte convinto o con l'intento di visitare una mostra come quelle qui organizzate dalla nostra Soprintendenza, fin dall'ormai lontano 1979 sul Sei, sul Sette e sull'Ottocento, su Polidoro o su Mattia Preti o su Caravaggio o su Velázquez, resterà sicuramente deluso. Sì, perché questa volta, per questo "omaggio a Capodimonte" in occasione del cinquantesimo anniversario della riapertura nel 1957 del Museo, qui voluto da Bruno Molajoli, con la preziosa collaborazione di Ezio De Felice, di Ferdinando Bologna e tanti altri, nel presentare, lungo le sale dellantica reg'gia borbonica recentemente in gran parte rinnovate e riallestite, più di settanta dipinti provenienti da prestigiosi musei e raccolte internazionali, non abbiamo in alcun modo inteso realizzare, come in passato, una mostra basata su presupposti scientifici e mirata a documentare e illustrare aspetti, momenti e personalità delle arti a Napoli. Questa volta, invece, con la presentazione nelle sale al 'piano nobile' come in quelle della cosiddetta 'galleria napoletana' al secondo piano o negli spazi per l'Ottocento e la sezione contemporanea al terzo piano, si è - sia a tutti ben chiaro! - solo inteso festeggiare il cinquantesimo 'compleanno' del nuovo Museo di Capodimonte, che, dopo un secolo e mezzo, profondamente modificato nelle sue raccolte e nella sua articolazione espositiva, prendeva il posto del museo farnesiano e borbonico fatto realizzare alla metà del Settecento, nella reggia ancora in costruzione, da Carlo di Borbone, ma definitivamente chiuso nel 1799.
Una 'festa di compleanno', quindi, di uno tra più prestigiosi musei italiani ed europei, per quantità, varietà e qualità delle sue collezioni di storia e d'arte, come per i suoi moderni ed efficaci criteri espositivi: una festa alla quale abbiamo voluto invitare, perché ne fossero gli artefici e i protagonisti, musei, fondazioni e collezioni pubbliche o private, con i quali Capodimonte e la nostra Soprintendenza hanno stabilito, in questi cinquant'anni e soprattutto in anni recenti, rapporti di stretta e proficua collaborazione, in forme e occasioni diverse, con generosi prestiti in concordata reciprocità e con la realizzazione di prestigiose mostre in comune. Musei e collezionisti ai quali abbiamo chiesto, per questa 'festa', di consentire che Capodimonte potesse ospitare, sia pure solo per tre mesi, dipinti di pittori che, da fine Cinque a tardo Novecento, non sono presenti nelle pur consistenti raccolte del nostro Museo.

Dipinti, quindi, dal giovane Caravaggio a Picasso, da Rembrandt a Basquiat, da Rubens a Boccioni o Bacon, da esporre, per questa grande 'festa', accanto ai nostri di Simone Martini, Masaccio e Botticelli, di Mantegna, Giovanni Bellini e Tiziano, Raffaello e Michelangelo, di Colantonio e Battistello Caracciolo, Polidoro e Ribera, Aniello Falcone e Luca Giordano, Mattia Preti e Alberto Burri o Andy Warhol, Francesco Solimena e Kounellis o Mario Merz, Giacinto Gigante, Domenico Morelli e Mimmo Paladino o di tanti altri maestri 'antichi' e contemporanei presenti a Capodimonte, così come accanto ad opere, come quelle di Anselm Kiefer e di Giulio Paolini a noi concesse, da generosi privati, per prestiti 'a lungo termine'.

Un nucleo di dipinti scelti, certo, tenendo conto del carattere delle raccolte permanenti del nostro Museo: da qui la richiesta in prestito di opere prevalentemente di artisti legati, per esperienze personali e dirette, oppure per relazioni mediate e indirette, a Napoli e alla nostra terra meridionale, con la loro millenaria e ricchissima vicenda, anche se spesso difficile e complessa, di storia, d'arte e di civiltà; oppure di quanti, d'ogni parte d'Europa o anche d'Oltreoceano, in tempi diversi, avessero subito, sempre e comunque, con conseguenze evidenti nella stessa produzione artistica, il fascino della solare bellezza delle terre mediterranee e delle splendide testimonianze di antica o moderna, ma sempre altissima civiltà, che qui si conservano. Ma anche una scelta di opere di maestri diversi che in qualche modo, direttamente o indirettamente, avessero inciso sulle stesse esperienze dei pittori napoletani, dal Sei al Novecento, presenti nelle raccolte permanenti di Capodimonte. Ai quali si sono poi aggiunti - ma per casi rari - alcuni dipinti, soprattutto di autori contemporanei, da me selezionati per mie personali scelte d'arte e di vita (ma forse non è così, comprensibilmente, anche per tante altre mostre d'arte antica e contemporanea?) o perché, comunque, testimoni rilevanti di una stagione di storia e d'arte, meritevole d'essere documentata in un museo di carattere 'universale' come Capodimonte, nella quale tutti siamo coinvolti, individualmente e collettivamente, volenti o nolenti.

Per festeggiare Capodimonte abbiamo, con lucida intenzione, perseguito, tra gli altri, l'obiettivo primario della 'contaminazione' da opere diverse, variamente combinando dipinti del nostro Museo con quelli qui giunti per l'occasione: una combinazione e una 'contaminazione', che, in molti casi, hanno comportato la presenza dei nostri dipinti del Quattro o del Cinquecento accanto alle tele dell'Otto o del Novecento concesse in prestito e l'inserimento di tele del Sei, del Sette o degli inizi del secolo scorso, giunte dalla Francia, dalla Spagna o d'Oltreoceano, accanto ai nostri splendidi esempi rinascimentali, della Maniera o d'inoltrato Ottocento. Così da avere, a esempio, il raffinato e 'italianissimo' ritratto di Donna con perla di Corot accanto alla nostra Madonna col Bambino e cherubini di Botticelli; i dipinti metafisici di De Chirico e di Carrà vicino ai rigori matematici e alle certezze geometriche del nostro celebre ritratto di Luca Pacioli o vicino alle nitide immagini di santi dipinte alla metà del Quattrocento da Colantonio, napoletano tra inclinazioni fiamminghe e innesti di cultura catalana, noto anche come maestro di Antonello da Messina; e, ancora, lo sconvolto ritratto di Basquiat insieme ai nostri 'turbati' ritratti di Rosso Fiorentino e Salviati; o, più comprensibilmente, ma solo per apparenti affinità di luci, colori e resa di panni ed epidermidi, il 'capolavoro' di George La Tour, giunto da Berlino, con quella coppia di anziani contadini sorpresi 'dal vero' a mangiar ceci e 'miseria', collocato tra i nostri 'neocaravaggeschi' Mattia Stomer; oppure, il luminoso paesaggio di Turner a Londra, dopo il 'fortunato' e determinante viaggio in Italia, da Venezia a Napoli, esposto di fronte al nostro solare e mediterraneo dipinto di Claude Lorrain.
E ancora, a seguire, dal piano nobile ai 'sottotetti' del contemporaneo (ma senza qui negare al lettore il piacere o il disappunto che potrà provare con la visita al Museo), van Gogh con i nostri Brueghel, Rauschenberg tra i nostri Beuckelaer (ma come? e perché?), Boccioni di fronte al nostro Mimmo Paladino e accanto a Mario Merz, lo stravolto e verissimo 'doppio ritratto' di Bacon tra i nostri vigorosi 'ritratti' di contadini e pastori dipinti, con "tremendo impasto", dal Maestro dell'Annuncio ai pastori (Bartolomeo Passante o Juan Do?), Gilbert & George a chiusura del percorso con dipinti e arredi di primo Ottocento (che provocazione! si dirà).
Una successione di opere diverse, intenzionalmente e solo alle apparenze 'arbitraria', scelta nella convinzione che mettendo a confronto, in una stessa sala o sulla stessa parete, opere e artisti diversi, si sarebbero forse determinate condizioni per una diversa, nuova e forse più stimolante lettura, specie per i visitatori delle più giovani generazioni (ma non solo). Mentre, invece, ad esporre in un museo, in ripetitiva e spesso affollatissima successione, dipinti - quasi sempre gli stessi - ordinati secondo tradizionali anche se giustificati criteri storico-artistici e per comprensibili esigenze didattiche ed educative, il rischio è - come spesso si è costretti a constatare - che in un pubblico di visitatori oggi prevalentemente impreparati, il più delle volte 'costretti' a percorrere itinerari lunghi e obbligati, così da essere già dopo poche sale stanchi o annoiati, finiscano per prevalere disinteresse o desiderio e 'fretta di fuga'. Con la conseguenza, ormai sempre più diffusa ed evidente, che al museo tradizionale si preferiscono le mostre temporanee, soprattutto se con opere di celebri e celebrati maestri di un lontano o più recente passato (Caravaggio e gli impressionisti francesi, ovviamente, tra i primi) e a prescindere dalla qualità e autenticità delle stesse. Oppure - ed è quanto risulta non meno evidente - che si preferisca che il museo sia stato trasformato in luogo o 'circo' delle meraviglie e in spazio per occasioni ludiche, di piacevoli distrazioni e di sostanziale evasione, seppur momentanea, dalle preoccupazioni del quotidiano.
Mentre, invece, per parte nostra - ma è solo utopia? - dovrebbe essere un Museo che funzionasse, invece o soprattutto, come 'laboratorio' nel quale poter produrre e sperimentare nuove idee per altri progetti d'arte e - perché no? - di vita: luogo d'incontro tra inclinazioni e interessi diversi e centro d'iniziative e ricerche con le quali poter anche documentare, con attività ed esempi concreti, quanto arte, cultura e civiltà, ieri, oggi e domani, siano sempre il provvidenziale risultato di una costante combinazione e di una feconda contaminazione tra esperienze diverse, tra antico e nuovo, passato e presente, storia e attualità, attraverso confronti costanti e continui in termini che, di volta in volta, possano essere di sintesi o dialettica, di affinità o contrapposizione, d'intersecazioni o sovrapposizione. Nel riconoscimento e nel rispetto, sempre, delle singole e diverse identità di origine, di storia, di cultura, come di scelte d'arte e di vita.
Senza, tuttavia, rinunciare, per la stessa occasione, anche ad altre forme di combinazione e abbinamenti espositivi. Come quando si è scelto di mettere a confronto alcuni dipinti di epoche e/o orientamenti stilistici diversi, ma di soggetto o tematiche affini: come nei casi, tra gli altri, dei due ritratti dipinti da Picasso - una elegante e fascinosa donna di Majorca, di nitida bellezza mediterranea, e una malinconica Olga Khokhlova, compagna dell'artista con il quale venne a Napoli nel 1917, di toccante espressività e di concentrata intensità visiva - che abbiamo collocato ai lati della nostra Antea di Parmigianino, con la Gioconda, uno dei più enigmatici e affascinanti ritratti femminili mai realizzati; o delle due Susanna e i vecchioni di Rubens in Italia e del giovane Ribera tra Roma e Napoli, che insieme alla seducente Betsabea di Rembrandt, ora, a Capodimonte, possono confrontarsi e dialogare con la nostra sontuosa, solare e seducente Danae di Tiziano.
Un confronto, ma in termini questa volta dialettici, che, abbiamo proposto, per evidenziare, pur nella comune trattazione delle cosiddette 'scene di genere', profonde diversità di orientamento culturale e di scelte stilistiche, anche quando abbiamo collocato accanto alla Rissa e al Concertino del nostro Gaspare Traversi La lavapentola di Watteau, uno dei rari esempi della trattazione del 'genere' in chiave olandese da parte di questo raffinato interprete del gusto rocaille nella Francia di primo Settecento. Mentre, invece, ai due dipinti di Boucher, con soggetto biblico, e del Goya giovane, con il mito antico di Ercole e Onfale - entrambi esponenti della lunga stagione del Rococò europeo, seppur con inclinazioni e soluzioni ovviamente diverse - quale collocazione migliore si poteva qui offrire, per questa occasione 'festosa', se non quella di fronte al boudoir in porcellana, con figurine e ornamenti 'alla cinese' modellati per Maria Amalia di Sassonia nella vicina Fabbrica di Capodimonte e tra gli esempi più alti e raffinati della rocaille a Napoli e in Europa?Ma, al tempo stesso, non abbiamo rinunciato anche ad esporre, accanto a nostri numerosi dipinti di scuola napoletana, opere di pittori che o di questi ultimi apprezzarono inclinazioni e scelte stilistiche, restandone in qualche caso e in qualche occasione evidentemente influenzati, o che, viceversa, ne segnarono, in determinati momenti, preferenze e soluzioni: sono i casi, a esempio, dei dipinti di van Dyck collocati accanto ai nostri Pietro Novelli e Andrea Vaccaro, come delle due tele di Nicolas Poussin esposte nelle sale dei nostri Cavallino e Aniello Falcone; o, soprattutto, del luminoso e sontuoso Festino di Erodiade di Rubens, che, giunto a Napoli nella celebre raccolta di Gaspare Roomer, influenzò sensibilmente inclinazioni e scelte di pittori locali in cammino verso nuove soluzioni tra preziosità cromatiche e dilagante barocco, e che in questa occasione abbiamo presentato - non poteva essere altrimenti - tra i nostri Mattia Preti e Luca Giordano più intensamente 'neoveneti' e neorubensiani; oppure, come dei Funerali di Patroclo del giovane David a Roma, quasi un 'omaggio' alla grande pittura napoletana e veneziana di primo Settecento e ora collocato accanto ai nostri Solimena e De Mura; o, infine, del nitido e luminoso paesaggio italiano di Camille Corot e il solare S}c]edrin esposti, d'obbligo, insieme ai nostri Pitloo e Giacinto Gigante. Così come, anche se per un confronto certo non tutto a vantaggio dei napoletani, abbiamo scelto di collocare i commossi ritratti 'italiani' di Degas tra Firenze e Napoli accanto ai nostri Morelli, Toma, Mancini e Michetti.
In molti, già lo immagino, 'arricceranno il naso', si lamenteranno di queste nostre scelte, ci accuseranno di aver messo insieme non una mostra d'arte, ma un confuso e frastornante 'zibaldone' di opere e artisti diversi - seppur tutti di sicuro interesse e d'indubbia qualità -, o solo una confusa provocazione per questi festeggiamenti di un Museo ricco di storia e d'arte come Capodimonte.
Ma, a prescindere dalle motivazioni qui addotte per la scelta, con i miei colleghi, di questa provocatoria o insensata presentazione dei dipinti in combinazione con i nostri, perché una 'festa di compleanno', sia pure di un museo di consolidato prestigio come Capodimonte, dovrebbe poi seguire e applicare regole e soluzioni convenzionali e scontate? E perché, invece, come una vera festa di arte, cultura e civiltà, non dovrebbe essere anche o soprattutto occasione propizia per nuovi incontri, per nuove opportunità d'intese e forme di proficua socializzazione e, forse, chissà, un giorno anche di nuova produzione culturale? Lasciamo ad altri tradizionali e convenzionali feste in veste lunga e abito scuro e partecipiamo, invece, a questi festeggiamenti per Capodimonte con mente 'curiosa' e spirito sereno: per conoscere e familiarizzare con i nostri tanti 'ospiti' - da Caravaggio a Basquiat - qui convenuti per il suo 'compleanno' e per scoprire o riscoprire, al tempo stesso e con occhi nuovi, anche la straordinaria vastità e varietà dello splendido patrimonio di storia e d'arte del nostro Museo, che molti ancora ci invidiano! C'era bisogno di questa 'festa' per conseguire almeno questo risultato? È probabile. E allora via, tutt'insieme a festeggiare Capodimonte, con l'augurio che questa 'festa' possa continuare ancora a lungo, anche dopo che tutti i nostri preziosi 'ospiti' avranno fatto ritorno a casa!

(Estratto dal testo in catalogo)