Ligabue pittore padano
di Vittorio Sgarbi
Perché, entrati ormai nel terzo millennio, ci troviamo a parlare di un artista
come Ligabue?
Non è certo per un particolare gusto del paradosso; la verità è semplice e
inconfutabile: Ligabue è ancora un artista popolarissimo, fra i più conosciuti
degli italiani. Non siamo forse ai livelli di oltre vent'anni fa, quando Ligabue
era un fenomeno di riscoperta e una sua mostra retrospettiva venne addirittura
visitata da oltre duecentocinquantamila persone, una cifra per quell'epoca
irraggiungibile da qualsiasi altro arista italiano contemporaneo.
Da allora i tempi sono certamente cambiati. Ora i valori critici su certe
espressioni dell'arte contemporanea sono diversi rispetto a quegli anni, su
posizioni molto inclementi rispetto a certi fenomeni; i pittori naïfs, in cui
si è inserito anche il successo di Ligabue, sono quasi del tutto dimenticati,
relegati mestamente a decorare stanze di case lontane.
Malgrado tutto, però, Ligabue ha resistito anche alla damnatio memoriae dei naïfs italiani come se non fosse stato nemmeno definito il più importante fra di essi. I naïfs italiani sono passati, Ligabue continua invece a rimanere, solo e senza più la necessità di fare da capo-cordata agli altri che sono finiti nel dimenticatoio.
Si potrà ritenere che la sua sia una popolarità eccessiva? C'è un dato di fatto
rispetto al quale le discussioni ipotetiche sarebbero inutili. Se crediamo che
l'arte sia comunicazione, dunque trasmissione dell'artista a fasce di persone
quanto più vaste possibili di ideali estetici, sensazioni, visioni del mondo,
la popolarità di Ligabue dovrebbe meritare il massimo rispetto. Se anche
fossero ideali, sensazioni, visioni naïfs, intellettualmente non raffinati,
sarebbero pur sempre quelli in cui milioni di persone hanno ritenuto e
ritengono di potersi identificare.
Se invece pensiamo che l'arte sia destinata solo a spiriti eletti, a un numero
limitato di individui che intende distinguersi a ogni costo dalla naïveté delle
grandi masse, allora la popolarità di Ligabue potrebbe essere ritenuta
trascurabile.
Se l'arte è questa, se è a misura di una ristretta cerchia di persone, allora
dovremmo dare molta meno importanza sociale alle sue manifestazioni, alle sue
mostre, ai suoi musei. A meno di non credere che certi valori delle cerchie
ristrette debbano imporsi forzatamente a quelli spontanei delle grandi masse.
Agli occhi di molti Ligabue incarnava quel genio artistico del popolo, meglio
ancora il genio contadino, che il gusto romantico aveva riabilitato e
idolatrato, salvo però adattarlo al desiderio di esotismo di classi sociali che
popolari non erano. Un genio, quello di Ligabue, che nella sua assoluta
istintività, nella sua arcaica complicità con la natura, era in grado di
inserirsi a pieno titolo nell'arte contemporanea, proponendo un linguaggio
figurativo che parla di cose semplici a persone altrettanto semplici. Ligabue
identificava il perfetto artista popolare, il “poeta contadino” che non poteva
non raccogliere i favori di Zavattini e di coloro che trovavano in lui un
sicuro punto di riferimento nella cultura italiana del Dopoguerra. La “popolarità”
di Ligabue era in grado di superare finalmente le contrapposizioni sociali e
politiche che esistevano tra gli osservatori delle sue opere, fra borghesi e
proletari, fra intellettuali e i non colti.
Ligabue ha avuto il merito di rappresentare in modo decisivo forme di espressione
che hanno trovato enorme consenso presso la grande anima contadina dell'Italia,
un'Italia minacciata dal progresso industriale, civile, intellettuale,
un'Italia che non conosceva Morandi, Savinio o Burri, ma che aspirava a non
soccombere, a riconoscersi comunque in una rappresentazione.
Diciamolo chiaramente, la storia dell'arte italiana così come la conosciamo non
è, non è mai stata, di tutti gli italiani, arte in cui abbia trovato
equilibrata rappresentazione anche la condizione popolare. Si è proceduto a
selezionare l'arte solo nei suoi valori “alti”, secondo una visione di tipo
idealistico.
La scoperta dell'opera di Ligabue è avvenuta in un momento particolarmente
favorevole alla rivalutazione del mondo popolare, secondo un'idea universale
della pittura che risaliva all'espressività arcaica del Primitivismo, in una
cultura che nell'interesse per le realtà emarginate del Paese aveva trovato un
elemento di forte identità: il Neorealismo.
Ligabue era il genio rustico, il contadino padano, che certa classe
intellettuale “neorealistica” e “di Sinistra” (si pensi a figure esemplari come
Mazzacurati e Zavattini) eleggeva a proprio esempio in nome di una precisa
ideologia e della riscoperta della cultura popolare italiana.
Si trattava di un atteggiamento paternalistico da parte di una élite colta, si
trattava di dare dignità a un artista che la critica ufficiale, anche di
Sinistra, non riusciva a considerare come un Morandi o come un Fontana. Forse Ligabue
avrebbe dovuto incarnare un modello piuttosto astratto di artista popolare,
apprezzato solo dalla critica idealistica di Sinistra. Con Ligabue, in
sostanza, ci si comportava come con Rousseau il Doganiere. Ma se Rousseau era
riuscito a conquistarsi la sua autonoma reputazione nell'ambito della critica
colta, Ligabue è invece riuscito a conquistare un'enorme popolarità presso il grande
pubblico. Il grande successo di Ligabue corrisponde storicamente al momento di
maggior interesse per la cultura popolare. Era il periodo in cui diventò di
moda un termine, il folk, e nel quale erano in voga, presso il popolo della
Sinistra (ma non solo) slogan del tipo “riscopriamo le nostre radici”. Si
cantava folk, si suonava folk, cercando gli antidoti rispetto a
un'industrializzazione avvertita come violenta e disumana. Erano segnali che in
qualche modo rivelavano alcune notevoli divergenze e contradditorietà
all'interno della Sinistra italiana.
I rapporti delle forze politiche di ispirazione marxista con il mondo contadino
erano stati caratterizzati da una estrema ambiguità; tanta retorica a favore
delle campagne, ma anche l'appoggio deciso (specie nelle zone di più difficile
propaganda politica, come nel Sud) a industrializzazioni massicce che
cancellavano l'arretratezza di certe situazioni locali e favorivano la “proletarizzazione”
delle masse agrarie. Se ne era accorto bene un antropologo, Ernesto De Martino,
osservando che la politica della Sinistra nel Mezzogiorno tendeva a
sacrificare, sotto il facile mito del progresso civile, realtà culturali di
tipo arcaico delle quali veniva totalmente fraintesa la profonda ricchezza.
Anche la Sinistra, dunque, era fautrice di un processo epocale che non solo
aveva visto passare dalle campagne all'industria il punto di riferimento
dell'economia e della società italiana, ma anche stava cancellando il grande
patrimonio di tradizioni legato al nostro mondo contadino. Il folk revival
degli anni Settanta ha manifestato un rimpianto profondo per la perdita di
questo patrimonio, sforzandosi di ricuperarne il più possibile la memoria. Il grande
successo conseguito da Ligabue in quegli anni deriva indubbiamente da quel folk
revival, capace di accomunare uomini di ogni generazione, uomini della più
varia formazione culturale. Nei vastissimi consensi suscitati da Ligabue non è
difficile percepire l'eco di un motivo che fu caratteristico di quel momento,
il “recupero delle radici”. In quegli anni, disorientati da una cultura
modernistica sempre più lontana dall'uomo, si cercava nelle tradizioni popolari
un'identità alternativa. Ligabue era l'artista che si poteva finalmente
guardare e capire senza vergognarsi di essere ignoranti, orgogliosi anzi di
provenire dalla stessa sua cultura; Ligabue era anche l'artista che si poteva
indicare come modello di cultura anti-intellettualistica, anti-borghese,
anti-elitaria, comprensibile dalla gente comune. C'è poi un'altra componente,
quella psicanalitica, che ha contribuito al successo di Ligabue. Sappiamo tutti
che come Van Gogh, del quale può considerarsi quasi una variante “padana”, Ligabue
ha avuto gravi turbe psichiche, tanto da sfiorare in più di un'occasione la
pazzia. La sua gioventù è stata nel segno di un drammatico complesso di Edipo:
la nascita in Svizzera da padre ignoto, l'adozione da parte del patrigno che
gli diede il cognome, l'affidamento alla famiglia Göbel, i conflitti con la
nuova, amata-odiata, madre adottiva, l'espulsione dalla Svizzera, il
trasferimento forzato a Gualtieri, paese natale del padre. Il dissociato stato
mentale di Ligabue lo portò all'isolamento e all'emarginazione sociale,
acuendone non poco le sofferenze. In questa impressionante visione di dolore,
una sola consolazione, un solo fattore di riscatto: l'arte. È l'arte, come era
avvenuto per Van Gogh (è difficile liberarsi dalla suggestione anche fisiognomica
del grande Vincent davanti agli autoritratti di Ligabue), a concedere il
riscatto da una condizione che la società borghese continuava a criminalizzare.
Credo non sia stato un caso che il boom di Ligabue sia corrisposto agli anni di
Bisaglia, alla nuova visione della malattia psichiatrica che portò alla
chiusura dei manicomi.
Infine un altro aspetto da non trascurare: molta fama è venuta a Ligabue
attraverso uno sceneggiato televisivo “nazional-popolare”.
È una considerazione rilevante: il mezzo televisivo ha agevolato il fatto che Ligabue,
in una fase di profonda internazionalizzazione dell'arte, venisse sentito come
artista assolutamente provinciale; una provincia singolare, particolare, con la
convinta nostalgia di un mondo che stava sparendo. Un antefatto della Padania,
credo che sia stato proprio questo il pregio più grande di Ligabue: essere
l'ultimo artista veramente “nazional-popolare”, e per di più padano.
Antonio Ligabue. L'arte difficile di un pittore senza regola
Milano - Palazzo Reale
P.zza Duomo, 12 - Milano
Dal 20 giugno al 26 ottobre 2008
A cura di: Augusto Agosta Tota