Una favola
Recensione di Mimmo Grasso alla mostra di Luciano Scateni
“Convergenti creatività” è il titolo di una mostra organizzata da Luciano Scateni nel mese di gennaio a Piazza Bellini, negli spazi di Intramoenia, Evaluna, Caffè delle Arti. Convergenti creatività è un segnale. In che senso? Due cervelli (uno adulto, uno infantile) attrezzati in modo diverso, ma non asimmetrico, si muovono verso la stessa direzione. Evidentemente ciò può avvenire sulla base di identici impulsi e utilizzando gli stessi sistemi cognitivi. Ciò significa inoltre che c'è/dovrebbe esserci un uguale metodo, consapevole o meno, di gestire le “emozioni”. L'area è/dovrebbe essere, tipica dei problemi, è
intrigante perché dall' “è” e dal “dovrebbe essere” scaturiscono le emozioni-azioni
(comportamenti, cultura).
Di Luciano Scateni sappiamo molto. Ha attraversato vari mestieri ed è un
giornalista eccellente. Solo gli addetti ai lavori dell'arte lo conoscono come
pittore; solo pochissimi sanno che è un esperto di programmazione neurolinguistica, competenza evidentemente utile anche per il lavoro di giornalista e che si
ritrova nei suoi quadri nel senso che la congerie di dati mentali viene
presentata così come giace nella memoria ed è attraverso un processo di
ristrutturazione che i dati stessi si pongono in relazione di senso tra loro.
Senso, beninteso, plurimo, come è del resto tipico dell'arte. E' quello che
Sergio Piro chiama, prelevando il termine dall'Odissea, “politropia”, vale a
dire la capacità-potenzialità che ciascuno possiede di trasformarsi all'interno
delle situazioni vissute. Ulisse, il “polytropos”, è molteplice sia in quanto
dispone di vari saperi sia in quanto è l'uomo della tecnica non solo marinara e
bellica ma anche psicologica.
Di Livia apprendiamo che è una bambina di otto anni, nipote di Luciano.
Creatività convergenti ci fa immaginare una mente che si muove verso
l'altra: Scateni che torna al nucleo della creatività, che è precisamente
l'infanzia, età in cui è potente, prima di crollare con l'età adulta, il
“bicameralismo” della percezione; Livia si muove verso il proprio futuro
(Luciano), che tuttavia è, in prospettiva, il passato. In mezzo ci siamo noi,
gli osservatori. Dunque è verso di noi che convergono ambedue le creatività, è
in noi che si riflettono.
Ma cosa viene definito “convergente”? Nel linguaggio quotidiano una lente è
“convergente” se dirige i raggi luminosi verso un unico punto (i miei occhi
che, in questo caso, sono Livia e Luciano). Il “convergere” è spesso riferito
nel linguaggio figurativo alle idee, opinioni, interessi. “Convergenza” è
altresì la legge dell'evoluzione del mondo organico per cui da forme differenti
si svolgono gradatamente forme similari in seguito all'adattamento di queste a
condizioni di vita uguali. Quest'ultima definizione mi sembra la più coerente
con gli obiettivi dell'artista e apre all'analisi interessanti aree di manovra.
La condizione di vita di ambedue le menti è “voler comunicare”. Dunque in
questo scritto verificheremo la volontà (bisogno) di “comunicare”
(incluso il comunicare sociale). Tralasciamo pertanto le tecniche pittoriche,
non necessarie ai fini del nostro discorso, e convergiamo verso l'apparato
che contiene l'espressione “voler comunicare” (perché e cosa) con i suoi
tipici corollari.
Chi è stato alla mostra si sarà soffermato sulle opere di Scateni e ha
probabilmente visto di sfuggita quelle di Livia.
Ricordo un lavoro di Scateni che si chiama “Terra e seme” in cui vengono
utilizzati due metodi cui l'artista ricorre spesso: la congerie (p.es. il
magma) e lo schema (p.es. il triangolo). E' ovvio, lettore, che, se conosci le
opere di Scateni, se hai visto la bellissima serie “Giù nelle viscere del
Vesuvio” o “Giochi di fuoco” o (guarda caso) “Forme geometriche ed eruttive” il
simbolo visivo di questo artista è Napoli, mediata attraverso l'icona del
Vesuvio (triangolo, fuoco). Ma torniamo al “seme” che mi fa immaginare
corretto cominciare da Livia perché se è vero che Luciano è, in prospettiva,
il passato (seme) di Livia, è vero anche il contrario (ma in retrospettiva).
Ambedue si incontrano, convergono. Ma verso cosa? C'è un'incognita X che sta a
noi osservare e, nei limiti dell'effetto che hanno su di noi i dipinti,
comprendere.
Livia ha otto anni. Dunque è un “puer”. La letteratura in merito è estesissima,
riferibile a molte discipline. Livia, per l'età (e, aggiungiamo, per le sue
forme espressive e dunque le relazioni “infantili” che individua tra le cose)
è precisamente il luogo dove hanno dimora e origine i grandi miti umani.
Guardiamo questa immagine:
in cui i pensieri assumono la forma di corona di fiori o filo elettrico dell'albero di Natale; gli occhi di un azzurro intenso e che “appaiono” come laghi aperti su un silenzio trasognato. La bocca ha la forma di luna. E' quel che suol dirsi il paesaggio di un volto. L'immagine rinvia per vari motivi a una maschera, un oscillum. Il dipinto muove un'acqua antica nel mio vissuto, un'innocenza di cui ho quasi timore (sacro). Ciò può tuttavia riguardare il mio apparato di conoscenze sottoposto all' imput dell' immagine. Sono cose legittime, che appartengono alla dinamica osservatore-osservato qui-e-ora; non sono verificabili in un altro soggetto con un vissuto diverso dal mio, a meno che non dialoghi con lui e i punti di vista siano condivisi. Le dinamiche che intendo evidenziare si rilevano invece , precise e tangibili, perché già condivise (appartengono alla storia di tutti), in quest'altro dipinto
Questo lavoro è una fiaba con protagonisti archetipici. E' la narratizzazione
di un processo di conoscenza dell' “io “analogo”. La narratizzazione è un
insieme complesso di abilità di strutturazione, istintiva o consapevole che
sia.. Partiamo dall'assunto, data l'età, che Livia non è consapevole come lo
è Luciano quando elabora le non-strutture di realia all'interno della
struttura quadrata di una “ tela”. Ma vediamo (o, per correttezza di canale
d'accesso, “ascoltiamo”) che ci racconta questa fanciulla: una coppia si
dirige (così credo, nonostante gli errori tecnici di prospettiva) verso un
castello. Nell'area della fiaba il castello è, generalmente, incantato. In
cielo un sole intenso, a girandola, come il fiore che la donna regge nella mano
sinistra. Il paesaggio è desertico. Il sole proietta la sua ombra a terra, così
come gli altri elementi della scena. Alle spalle dei due personaggi un'idea di
mare, di lago salato. I due personaggi camminano obliqui;le loro ombre non sono
nere, come ci dice l'esperienza, ma bianche, recintate da un filo nero,
quasi vuote, com'è giusto che sia l'Ombra. Lo stesso fenomeno si osserva per
l'ombra del castello.
Se togliamo le figure colorate, gli elementi che rimangono sono già di per sé
particolarmente intensi (deserto, ombre). Non solo. Se, a mano a mano, procediamo
ad inserire gli altri elementi (nell'ordine: l' ombra del sole a terra, il
lago) il paesaggio comincia a definirsi in un divenire che non ha a che
vedere con la Storia. Infine, inseriamo i due personaggi, gioiosi e sorridenti:
ecco che l'attesa del paesaggio si compie con la loro presenza. Questo lavoro
procede per “fotogrammi” psichici nel tempo senza storia , sono scanditi da
un racconto “simultaneo” dove “convergono” passato e futuro, luogo e non luogo,
coinema e icona. Il processo è simultaneo (è questo che vuole dire Livia) ma
scomponibile in un “prima” e in un “poi” della coscienza, dove tutto è
simultaneo.
Abbiamo notato che il principe e la principessa camminano un po' obliqui, come
se una forza li tirasse all' l'indietro. Perché? Cosa o chi li attrae, li
“revoca” o tende a tirarli indietro? Quell'acqua, certamente, o la “gravità”
del loro appartenere alla terra. Credo che questo indizio “gravità-acqua-terra”
sia sufficiente. E questo può essere il cosa. E il chi? E' chiaro che, a trattenerli
un poco, sono le loro stesse ombre. In tal caso i due personaggi non stanno
camminando ma iniziano a levitare. Si noti, altresì, che il castello ha i
colori del vestito del principe (il “tu”, incantato, di Livia identificata con
la principessa . Il “tu” ovviamente possono anche essere i genitori). In
cielo, al centro, la “girandola” del sole. Quale vento la può far girare se non
quello psichico? A terra, in posizione anch'essa centrale tra le ombre dei
personaggi e del castello, l'ombra del sole, raffigurato come un fiore. Ma dire
“ombra del sole” è un assurdo logico ed esperienziale.Non ci risulta che il
sole faccia ombra, che generi sul suolo la propria ombra. Infatti il
sole-fiore dipinto a terra non è un'ombra, anche perché non è rappresentato
come le altre ombre, per quanto anche queste non obbediscano alle leggi
fisiche. In sostanza ciò che appare al primo sguardo come ombra del sole è in
realtà un fiore dai colori bizzarri la cui forma evoca quella del sole ma non
è il sole. In verità, neanche quello in cielo è il sole. Siamo dunque in pieno
ambiente analogico. Possiamo , con un arco immaginario (convergenza) unire castello-sole-personaggi
e, con un altro, ripetere l'operazione con ombra-del-castello-ombra-dei-personaggi-acqua.
Convergenza va qui intesa non solo spazialmente ma come sistema semantico
elaborato dall'unione o contiguità di segni diversi e riccamente dotati di per
sé di senso. Ciascun elemento significante in questo piccolo sistema attrae nelle
propria orbita altri significati. Nell'incontro tra due di questi sistemi
(p.es. sole-fiore) si crea un altro sistema, non unico, in cui ciò che stava al
centro si può posizionare nel margine significante orbitale e ciò che stava al
margine si posiziona al centro. E' la dinamica molecolare. Mi si obietterà che
qui parliamo di miscuglio e confusione (che può generare fusione come
nell'atomo) e non di convergenza. Ma è appunto questo ciò che succede nell'X
della convergenza: esplode energia significante, genera una complessità che la
mente riconosce come modellata sui suoi principi (è quello che si nasconde
nell'espressione:”Com'è bello!”).
La scena è divisa in due dalla linea dell'orizzonte, una specie di campo
positivo/negativo.
Andiamo un po' più a fondo. I colori del castello, dicevamo, sono identici a
quelli del vestito del principe. Analogamente, i colori del fiore-sole sono
molto simili al vestito della principessa . Ed ecco un'altra X, stavolta intesa
come chiasma. Tra l'altro, la simmetria e la somiglianza tra il fiore che la fanciulla
regge nella mano e il fiore-sole a terra è abbastanza netta. Girandola-fiore a
terra- fiore(stellina) in mano alla principessa, formano un intuibile
triangolo. Ohibò:è la fanciulla che tiene unito il tutto. E, infatti, se regge
nella mano il fiore e il fiore è analogo alla girandola e al fiore a terra, è
ovvio, con queste premesse, che in mano può reggere indifferentemente anche gli
altri due elementi. E' lei il personaggio principale tant'è che la sua ombra
è più grande di quella del principe.
Potrei, lettore, continuare ma penso che vi siano elementi sufficienti perché
tu ti diverta e elaborare altre convergenze. C''è un lieto fine, è ovvio,
perché lieto è l'inizio anche se un vento strano (perché assente) sposta un po'
le ombre (o i personaggi?) e genera movimento sull'acqua. Ma quali sono i
paradigma, in genere, di una fiaba? Sono riducibili a coppie antinomiche che a
loro volta esprimono il movimento del pensiero quando vuole conoscere: la donna,/l'uomo,
l'inganno/la lealtà, bene/il male, …il che , in sostanza, è la dinamica
positivo/negativo. Ed ecco finalmente svelato il mistero di quel sole a terra:
è il sole nero, Saturno.
Dopo aver ascoltato la musica trobadorica di Livia, guardando i quadri di
Luciano abbiamo una forte dissonanza,tanto da non comprendere in cosa
convergano Livia e Luciano. Passiamo infatti da atmosfere sognanti ad un jazz
e a un blues coloratissimi come se ci fossero molte orchestre che suonano
insieme pezzi diversi e che si abbandonano alla ridondanza e alle volute armoniche,
come, del resto, i testi che commentano i dipinti e che, tra l'altro, fanno
spesso esplicito riferimento alla musica. Credo che per questi lavori non sia
adatto uno scritto. Sarebbe molto meglio che lo spettatore fosse anche
ascoltatore dei colori interpretati da un sassofonista e da un
percussionista.
L'assunto che ci siamo dati è, su indicazione del titolo della mostra, di
individuare l'incontro di due approcci creativi. Credo di poter sintetizzare
quello di Livia in una serie (limitata) di opposizioni (chiasmi) che si
intrecciano (in forma molteplice) nel profondo e si manifestano in ritmi
simbolici. Con lei siamo nel seme essenziale. Con Luciano direi che andiamo
verso le foglie dell'albero della percezione e potremmo ritrovarvi pulsioni già
individuate nel lavoro di Livia. Ma non basta. Dobbiamo verificare, come
giocando a nascondino, reinterpretare le opere per capire l' incognito, il
noto ma non ancora conosciuto. Accettiamo la metafora delle foglie. Le foglie
di un albero sono uguali. Una foglia, inoltre, replica nella sua forma
l'albero. La radici e i rami di un albero hanno identica forma.La prima
impressione che ha l'osservatore è che ogni quadro replica l'altro. Cambiano i
colori, le forme, il commento (anche se si potrebbero – ed è una buona spia-
utilizzare la frasi per costruire un discorso) ma la modalità compositiva, autogenerativa,
è immutata. Che vuol dire? Siamo in presenza di una forma che utilizza
elementi eterogenei per replicare se stessa. Dunque funziona come un frattale
o certe composizioni musicali che utilizzano strutture autosomiglianti. In
certi casi si ha l'impressione di vedere forme neuronali. C'è un elemento che
è presente, spesso nascosto, in quasi tutti i quadri della mostra e
concettualmente annunciato nei precedenti lavori. Vediamo:
Devi, lettore, fare un atto di fede: lo spazio non mi consente di riprodurre
l'intera mostra né il bel pieghevole che la propone. Se mi credi, ti dirò che
l'oggetto onnipresente nel putiferio di dati che la mente di Luciano agita è
la scacchiera, con altri pezzi della logica (p.es. l'orologio). Ma qui non si
gioca una partita a scacchi. Semplicemente (!) il giocatore ha buttato tutto
per aria. E' un continuo frangersi. E allora mi domando: quando succede che tutto
venga buttato per aria, che diventa congerie, magma che, poi, bisogna lasciar
raffreddare e rivisitare, aggiustare,incollare? Ciò avviene nel sogno,che qui
propongo anche come capacità (ho detto:”capacità”) allucinatoria, “schiza”. Nel
caso di Scateni possiamo parlare, con significato esteso, di inconscio.
Ricordiamoci che è esperto di programmazione neurolinguistica e che ha
approfondito gli autori di Palo Alto, tra i quali Bateson, estensore di un
lavoro magistrale sulla schizofrenia. Ora, se tu, lettore, vuoi comporre un
quadro uguale a quello di Scateni, fa così: passeggia per Napoli, annota ciò
che ti “prende” tra l'infinita serie di oggetti in tumulto, magari i
particolari. Disegnali e dipingili con la sensazione di colore che ogni oggetto
ti comunica o ti ricorda. Ecco fatto. Sto dicendo, lettore, che l'inconscio di
Scateni non è poi mica tanto inconsapevole nè è autoreplicante. Sto dicendo che
il frattale reale, la “schiza” al di qua della quale si vive, è Napoli. In
“Napoli” c'è la poetica di Luciano Scateni. Ed ecco allora, se è così, un'altra
convergenza tra la città, dopo Atene, più antica dell'occidente (e comunque la
più stratificata) e la creatività di Luciano. Torno alla logica:l' area di un
quadro è già una scacchiera. Molti quadri sono una scacchiera.. Il segno
“scacchiera”, anche se travestito o mimetizzato, sta per “logica”, così come
per certe radici quadrate sornione nei quadri dell'artista che rodono come
tarli. In termini di tecnica compositiva o antecedenti storici, lo stesso
Luciano dichiara in alcuni suoi dipinti precedenti My dear Mirò, I
love Pollock. Ma non è questo che qui ci interessa; semmai è in che modo
la ricerca e l'espressività dei due giganti citati converge in Scateni; ci
interessa, a proposito di referenze , se occorre proprio citare qualche
autore come “cornice” per una lettura della mostra, Ignacio Matte Blanco,
l'autore de “L'inconscio come insiemi infiniti” e Gregory Bateson e in
particolare la sua scoperta induttiva di una relazione di simmetria tra le
forme della natura. E' doveroso citare di nuovo anche un altro autore,
certamente importante quanto i primi due: il Vesuvio. il Vesuvio è il luogo
naturale e simbolico dove si riscontrano forme magmatiche e geometriche senza
che si abbia cognizione di chi genera l'altra. Mi chiedo ora se una lettura
nei termini descritti da Semir Zeki, che ha applicato interessanti teorie della
neurologia all'arte, al funzionamento delle aree visive del cervello, non
possa ulteriormente essere utile. Sta di fatto che la mente lavora molto
davanti ai quadri di Scateni e se qualcuno registrasse le onde elettriche del
mio cervello ora che osservo la sua serie “Vesuvio” i macchinari segnalerebbero
forti scariche elettriche, eccitazione cerebrale. C'è, di conseguenza, una
modifica del mio apparato conoscitivo e un “riconoscimento” delle tele di
Scateni come caos delle metropoli. Com'è lontano il deserto e il lago di Livia.
Ma ne siamo sicuri? Non è che il dipinto di Livia sia la scena verso la quale
va il caos? Mio Dio, può anche essere il contrario: principe e principessa,
animus e anima, stanno per avere una forte delusione. La storia allora non è a lieto
fine?
E' una domanda che lascio aperta perché lettore continui il racconto.
Ma vediamo, in conclusione, in cosa consiste l'incognita. Nel dipinto di Livia
ci sono relazioni istintive e apprese, modellate da un “voler dire”. Questo
bisogno espressivo procede per accordi e strutture geometriche nascoste
(sistema di relazioni). I quadri (non so perché per Livia dico “dipinto” e per
Luciano dico “quadro” – o no?) di Scateni evidenziano le strutture e le
pulsioni che sono nascoste in Livia (e che in lui, comunque, giocano a
nascondino) .Conoscerle è il suo bisogno. E, come nelle favole dove le “figure”
procedono per opposizioni, lo stesso avviene in questi lavori, con “ passione
geometrica.”
Come sempre,lettore, ti lascio con un enigma:
la bella addormentata nel bosco
sognava il principe azzurro.
il principe azzurro la baciò.
il principe azzurro si svegliò.
Mimmo Grasso