Georges Rouault. Miserere
Misere et guerre [Flavio Arensi]
L'attualità del messaggio di Rouault [Carlo Ghielmetti]
Misere et guerre
di Flavio Arensi
Georges Rouault non sembra mai moralista, tanto più nella sua opera maggiore, il Miserere, dove racconta e forse amplifica le condizioni dell'umanità (o della disumanità); come pochi altri contemporanei rappresenta l'uomo, ponendolo al centro di un teatro talvolta assurdo, altri di squallida insensatezza, tuttavia lascia che a giudicare sia l'osservatore, mentre delinea in termini poetici un nuovo umanesimo cristianizzato (se non cristianizzante) in cui la figura dello sconfitto è tuttavia salvifica: esagerando si potrebbe affermare Rouault tratti non l'umanità ma l'umanesimo. Spesso la sintassi si bilancia di contrappunti o antitesi, che la grafica sottolinea con antagonismi forti di bianconeri, baratri e vertigini di ogni vivente. La scelta incisoria dell'acquatinta allo zucchero permette la fluidità dolce del segno, senza marchiature ferali, ma passaggi equilibrati di toni. Come per il Buffon di Pablo Picasso (pubblicato poco in anticipo ma sicuramente influenzato tecnicamente da Rouault) la scelta stilistica permette la rappresentazione omogenea del soggetto, mantenendo i chiaroscuri: grigi nello spagnolo, neri contrastati in Rouault. Entrambi in fondo compilano due bestiari antropomorfi (o viceversa) che semplicemente catalogano un repertorio vivente, senza contestualizzarlo, anzi esaltando il paradigma.
L'intera opera incisoria di Rouault è un continuo ritorno al Miserere: un repertorio che si esplica nelle cinquantotto tavole dell'omonima suite e principia o si forma nella Réincarnation du pére Ubu, la cartella ispirata al mediocre testo di Ambroise Vollard; esso rinnova nel Fleurs du mal, cerca una alternativa nei saltimbanchi e nelle maschere del Cirque, sfuma nei Grotesques; la Passion - paradossalmente - spezza la coralità, discostandosi dal fil rouge emotivo, forse troppo didascalica e oltremodo ingabbiata in un racconto precipuo. L'elemento che unifica tutte le tavole incisorie di Rouault sta nella musicalità delle forme, il ritmo, la cadenza di salmodia o proverbio, alcuni topoi ripetuti e variati per piccole dissonanze. Vi sono caratteri egemonici, certamente il Messia, i potenti, gli acrobati e i pagliacci, le donne di alto- borgo e le prostitute, con quella rassomiglianza ai bordelli di François Villon, la sua grosse Margot ripresa per movenze e belletto. Vi è la morte, lo scheletro danzante della danse macabre, che tutto livella, nessuno distingue. In origine il Miserere avrebbe dovuto contenere sottoparagrafi esplicativi: uno dei capitoli fondamentali sarebbe stato dedicato all'amico filosofo Jacques Maritain, il quale certo riscontrava alcuni parametri della sua estetica nel lavoro dell'artista, come l'artista trova nel pensiero del filosofo un saldo appiglio teoretico. Nel corso degli anni sono numerosi i progetti editoriali, fin dal 1912 con una prima bozza programmatica, poi il decennio seguente coll'album Chanson françaises comprendente quattro parti ( Visione e sogni, Varie, Miserere, Guerra), che pur irrealizzato denota la tipologia allusiva cui vuol riferirsi l'artista. Quasi all'istante Rouault medita sul titolo più semplice di Miserere et Guerre, che però scarta per motivi di freschezza grafica e per lasciare in evidenza la locuzione latina, di maggiore efficacia. La decisione finale di affidarsi soltanto all'incipit salmodico, miserere (mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam), lascia comunque intendere l'oscillare fra perdono pietoso e misericordia, fra peccato e salvezza, in una dinamica degli opposti già ampiamente praticata. Di converso dai colleghi, Rouault esprime la sacralità della vita nonostante le miserie dell'uomo, e non soltanto ne fissa le eccentriche grettezze o le vertiginose possibilità, ma pone Cristo come elemento di riscatto dell'intera congerie. Ciò non significa che l'autore opti per l'esegesi catechistica o liturgica, bensì ricerca un rapporto privato con l'assoluto, appunto il sacro (benché, per dirla con Marie-Madeleine Davy, sacra è ogni cosa, consacrato è invece il luogo della presenza di Dio, là dove Egli ha posto il suo sigillo). Il locus terribilis di Rouault diviene dunque l'uomo stesso, perso e disperso resta nondimeno redimibile, ecco perché la guerra scade a elemento secondario rispetto alla recita del miserere, al perdono e alla liberazione dell'anima. La guerra di Rouault, che in letteratura potrebbe avvantaggiarsi delle parole di Louis-Ferdinand Céline e del suo Viaggio, nasce dal buio orrorifico delle trincee, si sviluppa negli anni venti, assorbe il sapore della satira di Honoré Daumier, pur senza caricaturare il dramma e la paura; ha i connotati generalizzati di una battaglia combattuta anche nell'intimo del cuore, l'estremo eli, eli, lamma sabactani lanciato per sottolineare l'impotenza della legge naturale di fronte alla pazzia dei carnefici.
Coevi del Miserere ci sono almeno altri due cicli grafici dedicati alla Guerra: citato a sproposito il Krieg di Otto Dix (1926), mai nominato invece l'omonimo di Käthe Kollwitz (1923). Il primo consta di cinquanta tavole, al secondo servono solo sette xilografie per inchiodare la mostruosità di un'epoca. A differenza di Dix che indugia sulla cattiveria macabra della morte bellica, compilando un triste inventario di cadaveri e spettri (formalmente eccezionale), il lavoro della Kollwitz e quello di Rouault si ergono sull'intento pietoso di raccontare il dramma nei suoi connotati d'immoralità, senza prendere le parti di alcuno. In entrambe le situazioni la guerra è avversata dai genitori (vedasi nel francese le tavole XXXVI-XLII), e in entrambe si tratta di un'ombra folle che s'abbatte sui giovani, tuttavia senza processare uno o l'altro degli schieramenti in campo, ma la catastrofe quanto tale. Già Francisco Goya, nei Desastres non discerneva fra gli assalitori e gli assediati, indicando piuttosto la scelleratezza degli atti umani sotto la tirannide bellica. Le tavole sono rotte aritmicamente dai paesaggi, che allargano l'orizzonte e introducono la città o la campagna, senza attribuire a esse particolari ruoli, se non d'evocazione lirica, di ricordo biografico. Non si tratta come ne Les Misères de la Guerre di Jacques Callot d'accompagnare le truppe in un folle taccuino di vedute e situazioni ambientali, o come in Goya di offrire a Madrid un rango da protagonista, compartecipe della sciagura dei cittadini, oppure in Dix, di rendere la natura chiosa di un crimine; In Rouault il paesaggio evoca o attualizza immagini che fanno parte della cultura religiosa, e in particolare evangelica, come il lago, gli scorci urbani, il monte, il porto di pesca. Per certi versi ripropone alcuni schemi narrativi di James Ensor che porta nel contemporaneo la vicenda di Gerusalemme astraendola dal contesto storico e biblico, ritrovando nelle città dell'oggi e dei suoi abitanti le atmosfere e gli incerti della Passione. Non si può, ed è stato già ampiamente negato da buona parte della critica odierna, ritenere Rouault (a differenza di Ensor) precursore dell'Espressionismo, di cui non calca i sentieri, semmai rimane vera l'impossibilità di schematizzare l'opera del francese, che trova nella tradizione, dalla poesia all'arte delle cattedrali, i propri punti di riferimento. A queste ultime, e alle grandi vetrate gotiche, Rouault pare predisporsi, non nel richiamo di una religiosità alchemica tuttora poco decifrata (Fulcanelli), quanto nel complicato eppure sintetico sistema narrativo.
La Guerre di Rouault è composta di eserciti evocati per scarni dettagli, si tratta allora di una battaglia d'anima in cui la vittima resta sempre l'uomo, e la vittima principale torna a essere l'uomo del Vangelo, la Verità. Le trincee di Dix sono costruite coi resti di cadaveri anonimi, come anonimi sono quelli contati da Céline nell'incipit straordinario del Viaggio; anonimi e disperati, difettano di senso, non riconoscono una verità per cui valga la pena essere sterminati come insetti o che lenisca un tale patimento. E se davvero una Verità esistesse, sarebbero i potenti a ucciderla per gettare la colpa su qualche nemico (illuminante pare la conclusione dei Desastres di Goya che terminano con la sua "inopportuna" resurrezione - e l'inquietante domanda ¿Si resucirá?, aprendo al sistema misterioso dei successivi Disparates); anche per la Kollwitz la morte patriottica manca di significato, non merita nessuna attenuante alla condanna; le madri sono perciò chiamate a difendere i figli, in un contesto di totale assurdità. In Rouault, di converso, il senso della morte, persino l'insensatezza della guerra, trovano ragione nel sacrificio di Cristo, per le cui sofferenze siamo stati liberati, non soltanto dalle indigenze del corpo, ma dallingiustizia del'la società, quella che scelse di liberare Barabba anziché il Messia. Si esercita in questa forte presa di coscienza, un umanesimo nuovo che scardina il più semplice significato storico dell'umanità per aprirsi alla dimensione superiore e indecifrabile, di fatto inquietante - come ogni cosa incomprensibile alla ragione - del sacro. Sacro che diventa per Rouault l'unico sistema possibile, la sola occasione di leggere coerentemente ciò che a prima vista sembra separato o diviso (laddove è indissolubile); seppure percorrano strade differenti, i grandi artisti "figli della guerra" dimostrano una saggezza - magari aneddotica - che sconvolge l'etica del tempo: quando, a chilometri di distanza Rouault firma la lastra XLVIII Au pressoir le raisin fut foulé (Col torchio, fu pigiata l'uva, 1922), si collega sentimentalmente alla Kollwitz: Saatfrüchte sollen nicht vermahlen werden (I semi da frutto non devono essere macinati, 1941/42); oppure, la contestazione mossa ai sacerdoti della LI Loin du sourire de Reims(Lontano dal sorriso di Reims, 1922) guarda al dissenso di Goya, non come atto di accusa odioso e nihilente alla Chiesa, bensì presa d'atto della limitatezza di ciascun vivente, dunque anche del clero. Rouault non può che accettare le miserie della sua schiatta (LII Dura lex sed lex [Legge dura ma legge, 1926]), e nella notte in cui le paure prendono il sopravvento e il mondo si spegne, egli accende la fiamma materna della Vergine di Fin des Terres (tavolaLVI, una delle acquatinte più intense, antieroiche, antiche, del maestro) a baluardo, anzi voto, di tutte le genti. Con la dolcezza di Duccio, la luminosità di una vetrata o di una scultura mutuata dai calvari bretoni, Maria è l'unica immagine femminile che ha nei tratti la soavità di una bellezza che perdura in eterno, senza i contegni grossi delle altre protagoniste del Miserere(diversa della madre che offre il figlio come olocausto bellico in Das Opfer [L'offerta, 1922/23] della Kollwitz). La Madonna che obbedisce alla chiamata di Dio, come il Cristo paolino "obbediente fino alla morte, e fino alla morte sulla croce", è lo scrigno migliore per salvaguardare il futuro di tutti i popoli; affatto di carne e ossa, ella contrasta con la maternità laica e dolorosa della Kollwitz, la scimmiesca forza in cui la madre abbraccia il corpo defunto del figlio (Frau mit totem Kind [Donna con bambino morto, 1903]). Con queste due immagini, una trionfante di misericordia, l'altra di dolorosa pietà, si comprende il valore del diario emotivo scritto dalle anime durante il volgere del Primo conflitto mondiale. Diario che è Golgota, sepolcro, disanimo, passione, pulvis, cinis et nihil.
Si è in precedenza detto che nonostante i tempi funesti, nonostante la tempesta in arrivo, o appena scossa, Rouault assicuri a ciascun uomo il riscatto attraverso il sacrificio di Gesù, attraverso la fede del suo operare. Altri interpreti gli opporrebbero la forza illuminante della ragione, e del suo - altrettanto valido - consiglio. Fede e Ragione che stabiliscono criteri nuovi per l'estetica contemporanea, riunite nello straordinario capolavoro di Guernica, dove l'occhio divino-lampada illumina la scena e cerca un compromesso fra i due ordini. Fede e Ragione che non possono esaudire le necessità intime di tutti gli uomini (poiché la geografia cambia valori e riferimenti), né tanto meno possono spiegare ciò che è insondabile, pertanto devono lasciare posto al mistero. La fede di Rouault invece vuole risposte sicure, addirittura le fornisce: egli guarda con meraviglia ai cristiani antichi, di cui sente la confraternita, la loro forza di condividere la Passione per liberarsi dal mondo; egli non vuole concepire tale affrancamento fuori dall'autonomia dell'amore per e di Cristo. È vero tuttavia che l'insufficienza di Fede e Ragione sia per l'arte un motivo su cui meditare. Il riscatto umano potrebbe perciò compiersi in altra maniera, all'abbandono totale alle leggi della natura, alle leggi della vita, che è appunto un fenomeno essenzialmente insondabile; abbandono al reale, nel senso di ciò che si sperimenta nel pieno dell'esercizio di coscienza. Si potrebbe dire, agostinianamente, abbandono al donum che è l'esistere, senza però schemi mentali, senza indicazioni preordinate. In un'ottica di estetica globalizzata il limite di Rouault dunque non è parlare di sacro, ma di un sacro troppo cristianizzato per essere di ciascuno, di un sacro che è religioso e non prescinde da certe valutazioni di ordine culturale. Questa è d'altronde la sua forza: la differenziazione tra pietas religiosa e civile rende il Miserere uno dei più gradi progetti culturali (comunque estetici e forse etici) del Novecento.
Rouault, nella vastità di un messaggio grandioso, cerca l'unione delle parti in un complesso unico di verità, indica insomma la strada e la meta, ripercorre i passi plotiniani, convinto che tutto dall'Uno procede, e all'Uno l'uomo, essere intelligente che partecipa del Nous, desidera in qualche modo tornare; tuttavia non coniuga il nuovo umanesimo con un linguaggio che sia di tutti e per tutti, mentre assapora il rapporto singolare di comunanza con Cristo. Vi è senza dubbio l'intuizione di una realtà imprescindibile dall'individuo, però sembra pessimisticamente disperare dalle capacità di arbitrio, libero arbitrio, di ciascuno. L'arte non può difatti essere un sacerdozio, deve poter dialogare e comunicare senza barriere, né deve dare motivo di costruirle; Guernica, per esempio riesce a dimostrare con un alfabeto aperto lo svilimento della dignità operato dalla barbarie contro la vita, e nel contempo lascia una fuga di speranza. Mater Materiadi Umberto Boccioni, ugualmente, fa esplodere e rientrare la materia in un big bang esaltante, l'atto primordiale della Genesi, privandosi di attributi restrittivi. Semplicemente chiamando a entrare e poi erompere dalla Madre, dalla Vita. L'invito di Rouault è tanto poderoso quanto di fatto indirizzato agli uomini di fede, e di fede cristiana. Si legge, fra le righe della sua genialità, il distacco diffidente dal suo simile, lui (homo homini lupus) perde il giusto rapporto con la realtà, che è piena di singoli esseri buoni o cattivi, pur sempre uomini. Rouault, che non è mai moralista, ha tuttavia costruito la sua morale diffidente. "Abbi pietà di me, o signore,/ poiché è grande la tua misericordia./ E giacché la moltitudine dei tuoi perdoni/ è infinita: cancella le mie iniquità".