Il tempo ha rotto l'orologio
di Mimmo Grasso
E' una foto degli anni 50. Tre coppie di sposi , uguali e diverse come carte
da gioco, sono appoggiate alla ringhiera di via Orazio per la foto-ricordo. C'è
la “rocchia” dei parenti e, ovviamente, le signore di mezza età con un odore
-nitido (lo avverto)- di vestito buono custodito nel cellophane. Una ha un
cappello bianco a tesa larga, un po' posticcio e stanco. Mi piacerebbe vederle
le mani: probabilmente hanno i calli di chi lava cumuli di piatti e di panni
con la lisciva. Ecco: questa foto ha odore di cellophane e lisciva.
La mezzaluna del golfo.
Tra poco,spuntata,sorriderà la stella diana nelle acque formando,al centro
della mezzaluna, un ideogramma o la prima lettera di un alfabeto arcano.
La topolino grigia.
Tre fotografi aggiustano i rullini.
In quegli anni Napoli era bellissima. Alcuni miei zii mi dissero che, come
Venezia, era una tappa obbligata per gli sposi. C'è stato un bel periodo (gli
anni di Bassolino sindaco) in cui il rito nuziale della foto a Napoli si è
ripetuto.
Il golfo di Napoli come anello nuziale.
E' una bella giornata di maggio (voglio pensare che sia maggio). Il cielo è
terso e sicuramente Marotta sta sulla spiaggia caricando la cartuccia della
stilografica con il blu del mare. Più su, verso sinistra, c'è sicuramente il
Pino, emulo chiomato del fumo del Vesuvio. Momenti di serenità e di gioia,
attimi quotidiani. Istanti stanti,fermi su una foto-ricordo che diventa il
ricordo-foto rubato da Giannini al tempo,mentre col sapore dell'allora durante
una passeggiata sull'asfalto del mezzogiorno.
Tuttavia c'è qualcosa di inquietante. Cosa? Forse il bisbiglio della piccola
calca? Come fa a giungere dagli anni '50 al 2006 questo brusìo? Che starà
dicendo quella donna col vestito grigio e col “tuppisso”? Sono sicuro che in questo
istante i personaggi della foto chiacchierano ma non pensano. Per questo è un
momento di felicità: è tutto programmato: succederà questo e quello, l'ansia
dell'incertezza è un ricordo anch'essa, istantanee d'istanti accucciati ai
piedi. Il dolore ti lecca le dita. Perché allora mi sento inquieto? Guardo con
attenzione: ci deve essere un particolare che il mio occhio ha registrato e di
cui non sono consapevole. Il mare è calmo. Il Vesuvio ha eruttato l'ultima
volta pochi anni addietro,quasi come un tric-trac per festeggiare la fine della
guerra. Perché questa foto, così serena e stabile, mi comunica incertezza?
(…)…
Ecco, lettore: a destra in basso ci sono due ombre. A chi appartengono? La foto
è come divisa in due campi dallo spartitraffico: di qua, di là. Forse queste
due ombre appartengono al tempo e a Guido Giannini che,si sa, camminano sempre
insieme. Sono sagome di una nostalgia antichissima, presenze incombenti sul
destino bianco delle spose, lari antichi che osservano una scena terrena e,
come il futuro oscuro, aspettano e osservano -sornioni- al di qua della scena.
…(…)
Tutti i personaggi scompaiono. Sposto la topolino. Rimangono sulla foto queste
due ombre nella metà della strada riservata al loro non scorrere,.Gia c'erano o
si sono presentate adesso nella foto?. Rimetto la foto a posto. Ho un
appuntamento con Vittorio.Sono le 10 del mattino e già sono in ritardo. Sono
tornato a casa alle nove di sera e lascio la mia ombra fuori la porta perché,
sudata com'è, non mi sporchi di carbone la scrivania e il pavimento. Il sole se
n'è andato anche dalla foto ma le due ombre sono sempre là. Misteri e misture
di Guido.
Il tempo è in Guido Giannini un fanciullo che gioca col guscio di una
tartaruga, ama lo star nascosto, comunicare per metafore:
Ora è un giovane lavoratore a giornata che su una scala aggiusta il
filo elettrico di un lampione d'epoca (dietro, le cellette di vetro di un
hotel-alveare, una costruzione logico-geometrica sulla quale si sutoscolpisce
un torso umano irregolare). Questo garzone con ai piedi le scarpe da tennis del
suo futuro aggiusta, seminudo e manualmente, un ex lampione a petrolio ma ho
il sospetto che lo stia disattivando perché, come è noto, il tempo lavora
meglio al buio.
Ora è un vecchio accovacciato su un cesto di vimini zeppo di scarpe usate
perché il tempo ama le scarpe: le vostre, quando le buttate, lui le aggiusta e
finiscono ai piedi di altri uomini.
Guardate le sue: quella di sinistra ha il cuoio spaccato a bella posta perché il callo che ha sul mignolo del piede non gli faccia male mentre trasporta i passi di molti uomini. Se vi trovate ai parcheggi, spesso vi capita di essere avvicinati da zingare che si offrono per leggervi la mano. Se vedete un signore che guarda per terra le vostre impronte, è lui, il tempo,che sa leggere i piedi perché i piedi spesso fanno il miracolo di camminare sull'acqua. Ecco. Ha scelto dal cesto quelle che gli servono (istintivamente nascondo i miei piedi sotto la scrivania), ha messo a tutte i lacci per annodare i destini e se le (li?) carica addosso in un sacco, come un papà Natale che diventa un papà Mortale.
Ho visto un lavoro di Kounellis fatto così: la foto di un baffuto e barbuto e
panciuto Orco che trasportava un sacco sulle spalle. Guardate bene la foto di
Guido: non vi sembra un sacco che cammina? Non ricorda quegli esseri strani di
cui parla anche Plinio, soggetti della glittica arcaica (testoni con le gambe)
e che ritroviamo (qui,là) nei lavori di Bosh? E' certo che, se ci mettiamo
nascosti dietro la seicento che adesso si ferma in sosta nella foto, vedremo
che la parte anteriore del sacco ha la bocca, i denti cariati, gli occhi
(sognanti). Il tempo con la sua rigatteria, le sue foto, cammina da solo sulla
strada dove col gesso qualche bambina ha disegnato il gioco della settimana.
Vuoi vedere che si è preso le bambine e le ha messe nel sacco?
Le persone che laggiù stanno in pausa a pensare ai fatti loro sono così piccole solo per una questione di prospettiva? Certamente no: il tempo è babau e quelle sanno che per non essere divorate dal tempo occorre far finta di stare a perdere tempo, di mettersi in posa sospese fuori dal tempo, le braccia conserte, le mani sui fianchi, come fanno alcuni
uccelli che si fingono zoppi se arriva il predatore. Chi ha insegnato agli
uccelli a far finta di avere un'ala rotta? Chi ha insegnato a Napoli a far
finta di non poter volare? “Fate la carità”, “Fresco all'anima dei vostri
morti” (e tendono la mano al tempo che, prodigo, li arricchisce della sua
vacuità di senso).
Il tempo nella Napoli di Guido ama la musica perché la musica è sua madre: i
vocalizzi di sirena splendono nel bianco e nero (non grigio:bianco e nero),
accordano il suonatore di tromba che ripete in forma sonora i vicoli di Napoli.
E' un pensionato che solo ora ha il tempo di esprimersi,un fantasma: nessun passante lo ascolta e lo guarda se non la camera buia di Guido, un bambino e un adolescente, gli unici autorizzati a vederlo e sentirlo, che vanno verso la musica tenendosi per mano: sono l'infanzia e la gioventù del suonatore che tornano dal proprio passato per ascoltarlo. Il trombettiere ha gli occhi vividi, di carbone. Indossa uno spezzato quondam elegante. Ha la cravatta e gli scarponi di chi sa che deve camminare tantissimo (d'altra parte, li ha presi dalla cesta del tempo). E' il prototipo dell' artista di strada, suona l'alzabandiera del nulla.Mentre guardo le foto le giro una sull'altra. Solo una porta una scritta sul retro: “Napoli”. E' quella del papà Mortale. Forse Guido ha visto in quest'uomo se stesso; forse il sacco che ha sulle spalle è zeppo di negativi.Su una strada presumibilmente lussuosa, ritratta in posa (fanciullescamente e femminilmente in posa) c'è un personaggio molto noto a Napoli negli anni sessanta. Suona il violino:
Da subito ho pensato che la suonatrice fosse una Sibilla o Partenope senza più
voce,costretta a sostituire le proprie corde vocali con quelle del violino.
C'era,cioè, qualcosa di scenografico, come se il soggetto stesse su un
palcoscenico. E' invece la vetrina di un negozio, con tendaggi leggeri. Nel
vetro si specchiano i palazzi di fronte. Dunque, i palazzi di fronte si
specchiano alle spalle della Sibilla? Ho paura di quello che vuol dire tutto ciò
e devo stare attento a che non metta l'arco sulle corde altrimenti si scatena
una tempesta. Giuro che, mentre lei era distratta a leggere quello che sto
scrivendo, ho frugato nella sua borsa ed ho visto un mucchio di foglie di
quercia.
Carissimo Guido,non barare: questa non è Napoli, la seconda città
dell'occidente dopo Atene,quella i cui strati storici e umani le consentono di
dire in qualsiasi evento:”Embè? Qual è la novità? Sono cose vecchi.Abbiamo
già dato”. Il fatto è che lo dichiara anche al tempo.E' l'unreal city
nascosta in tutte le città di Eliot. Tuttavia, i personaggi mitici di questo agente
in missione segreta del linguaggio hanno una loro profondità storica e unicità,
conservano un'aura (sia pure la puzza d'ufficio della City). I tuoi sono –se possibile-
ordinari, multipli, quasi seccati di dover essere visti come segni di
qualcos'altro, rassegnati a una non identità. Eliot: La terra desolat”. Giannini:
La gente desolata.
Una sera del 2005 (eravamo sotto Natale e uscimmo insieme dal laboratorio di
Vittorio Avella, tutti stretti nel Vico Freddo a rua Catalana (posso chiamare
così la serie delle tue foto?)) ti fermasti a piazza Monteoliveto e, nonostante
il freddo, ti comparvero schiocche di rossore sul viso. Giuro che vidi una
folgore blu attraversarti gli occhi. Ti chiesi cosa diavolo ti fosse capitato e
mi indicasti le pattumiere situate sotto il monumento secentesco della piazza.
Mi apparve un nobile ritto tosto e superbioso su una fontana d'acqua
prosciugata (un nano, Guido: forse non avevano i soldi per scolpirlo in scala
naturale) e, ai suoi piedi, millenni di pattume. Era, Guido, un'installazione
“naturale”, creata inconsapevolmente dal popolo. Camminare per Napoli con te,
che la conosci e la vivi nella simultaneità dei suoi tempi, è prepararsi a
incontrare il meraviglioso.
Ti propongo, come nel Castello dei destini incrociati, un gioco sì che
dai tuoi scatti ( sei, Guido, l'ultimo fotografo che scatta camminando
lentamente) si possano costruire infinite storie e racconti e intrecciare le
storie: inserisci su ogni vertice dell'esagono un personaggio e segui il
tracciato delle linee (ovviamente in senso antiorario).
Ecco che la vita dell'uno si colora del vissuto dell'altro.
Tutta Napoli sta in questi sei n-personaggi.
Stampa dopo, se vuoi, le nuove immagini che fotograferai con questo obiettivo
ma usando l'acido del sudore del popolo.