La biografia di Giovanni Baronzio
Giovanni Baronzio e la pittura a Rimini nel Trecento
La scuola artistica riminese del Trecento
La scuola artistica riminese del Trecento
La mostra Giovanni Baronzio e la pittura a Rimini nel Trecento sarà l'occasione per considerare di nuovo il mistero di un ambiente artistico come quello riminese, che, fiorito in maniera repentina tra
la fine del '200 e gli inizi del '300, si sviluppò per circa un cinquantennio
per poi scomparire, incapace di rinnovarsi a confronto con le scuole bolognese
e veneta.
Operanti in una città da un lato cosmopolita per i rapporti con gli altri
centri italiani, il mondo d'oltralpe, le regioni adriatiche e l'Oriente
bizantino, dall'altro attraversata da tensioni politiche e religiose, dei
pittori riminesi si conoscono pochi documenti e dati certi.
Diversi autori di cui parlano le fonti rimangono ancora privi di opere, in una
condizione di anonimato artistico. Ciò nonostante gli studi hanno fatto passi
avanti importanti e si sono potute distinguere due generazioni. Alla prima
appartengono personalità come Giovanni (notizie dal 1292 al 1309/14), Giuliano
(noto dal 1292 al 1323) e quella ancora sfuggente di Giovan Angelo, che forse
intervenne nello spettacolare ciclo nel coro della chiesa di S. Agostino.
Successivamente troviamo attivi pittori come Pietro (notizie dal 1324 al 1338),
autore e direttore nel grande cantiere della Cappella di San Nicola a
Tolentino; Francesco (ricordato nel 1333), forse coincidente con il Maestro di
Verucchio; Giovanni Baronzio; il Maestro di Montefiore.
Artisti come questi erano certamente inconsapevoli di creare una “scuola”, invece
erano ben coscienti, per motivi di organizzazione del lavoro e di acquisizione
di incarichi, di costituire in città un gruppo piuttosto compatto. Naturalmente
potevano essere in concorrenza fra loro ma all'occorrenza formare delle società
(come fecero Giuliano e Pietro nel 1324 per realizzare un polittico nella
chiesa degli Eremitani a Padova, purtroppo perduto). Alcuni di loro erano
addirittura legati da strettissimi rapporti di parentela: si tratta di Giovanni
e Giuliano, insieme anche al più sfuggente Giovan Angelo, fra i protagonisti
assoluti della pittura riminese.
Questa situazione insieme alla prassi della bottega secondo cui i maestri già
affermati tramandavano la tecnica e la cultura artistiche ai propri allievi
favorirono sicuramente il diffondersi di un linguaggio pittorico di base, da
cui si diramarono autonome e originali interpretazioni. I modelli formali ed
espressivi con i quali confrontarsi i pittori riminesi li trovarono in Giotto,
cioè in colui che, come scrisse il pittore e trattatista Cennino Cennini alla
fine del Trecento, “rimutò l'arte del dipingere di greco in latino, e ridusse
al moderno”.
Come i loro colleghi umbri, toscani, romani, anche alcuni riminesi studiarono e
forse parteciparono al cantiere giottesco di Assisi. E' certo tuttavia che un
episodio determinante fu il passaggio del grande toscano a Rimini, poco prima
del 1300: di quel transito rimane oggi la monumentale Croce in San Francesco ma
il suo intervento si era esteso anche ad un ciclo affrescato nella stessa chiesa,
perduto per la realizzazione del Tempio Malatestiano di Leon Battista Alberti.
I pittori riminesi ebbero così direttamente in città la possibilità di studiare
la modernità della pittura di Giotto ma è da come essi continuassero ad
aggiornarsi sulle successive imprese del pittore toscano a Padova.
In quanto originali interpreti di quella modernità, fondata su una
rappresentazione pittorica più sensibile ad indagare la natura e l'uomo, i
riminesi contribuirono ad evolvere la cultura e la percezione visiva del
pubblico medievale di ampi territori, fossero essi i potenti o colti
committenti, oppure i semplici devoti in preghiera dinanzi alle immagini da
loro dipinte.
Per questo è ancora un mistero la veloce perdita di influenza della scuola
riminese. Certamente la peste del 1348 probabilmente uccise alcuni dei suoi
artisti più valenti, come Baronzio; quell'evento seppure terribile non spiega
in maniera chiara le ragioni di un declino così rapido, che lasciò spazio agli
artisti di altre aree, in particolare quella bolognese, che dalla pittura
riminese avevano tratto linfa vitale. La mostra compirà un ulteriore tentativo
di capirne qualche ragione.