Gioiello contemporaneo: Premio Internazionale Mario Pinton a Padova
di Roberto Zanon
Con lo scopo dichiarato di offrire nuovi stimoli e opportunità allo studio e alla ricerca nell'ambito della gioielleria contemporanea, forma di espressione artistica che vanta una particolare tradizione nell'area padovana, è stata istituita la prima edizione del Premio Internazionale Mario Pinton.
“Castelli, miniature, astri ed alchimia; la Padova carrarrese nel gioiello
contemporaneo” è stato il titolo ispiratore per i sessanta artisti orafi che
nello spazio patavino dell'Oratorio di San Rocco hanno esposto la loro opera.
Il gioiello contemporaneo di ricerca è, nel composito comparto
dell'”oreficeria”, l'ambito più avanzato nella sperimentazione, dove la
concettualità diventa espressione tridimensionale attraverso la tecnica.
Tecnica che nella maggioranza dei casi non dovrebbe diventare un vincolo ma - e
questo è anche uno degli insegnamenti lasciati dal professore Mario Pinton,
capostipite della “Scuola Orafa Padovana” - elemento da valorizzare.
In occasione di questa mostra-concorso (che ha visto vincitrice l'opera di
Graziano Visintin), l'articolato e strutturato tema che era stato individuato
ha permesso a tutti gli artisti partecipanti di sviluppare delle logiche
compositive, talvolta sofisticate ed oscure altre volte più esplicite, in cui
comunque e sempre si è attivata una riflessione sulla Padova del Trecento.
Speculazioni cui il pubblico viene sollecitato nell'interpretazione percettiva
che ogni opera restituisce. Certo, il legame significante, molte volte, deve
essere attivato dalla spiegazione dello stesso progettista, caratteristica
questa, del resto, di molta arte contemporanea. Un approccio che diventa quindi
più difficoltoso, ma che permette di uscire dalla superficialità che esprime un
“bello “ o un “brutto” arbitrario e restituisce, alla fine, un'accresciuta
conoscenza al pubblico, che in questa operazione di lettura diventa
protagonista. Un esempio di come l'operazione di trasmissione del messaggio
composito data dall'oggetto in quanto tale accoppiato all'autografa descrizione
dell'Autore, arriva da Stefano Marchetti che così introduce il suo lavoro:
«Nell'opera di Giovanni Dondi dell'Orologio è possibile intravvedere,
chiaramente, lo spirito che ha traghettato l'occidente medievale verso la
modernità. Da orafo ho ritenuto che l'astrario potesse essere un contenitore
perfetto per il mio racconto, un legante tra l'estetica orafa della Padova del
'300 e quella contemporanea. L'affascinante e superato modello Tolemaico che
sta alla base della progettazione dell'astrario, diventa nel lavoro di Giovanni
Dondi un espediente per la sperimentazione di nuove idee, come ad esempio
l'adozione della misura dei secondi negli orologi meccanici. Da un modello
“inesatto” viene originato un pensiero ancora oggi in funzione.
Nella costruzione del mio lavoro, ho immaginato più un'idea confusa, uno
schizzo primitivo ed ancora surreale, alla Magritte, piuttosto che il risultato
finale. Ho utilizzato leghe la cui composizione deriva dalle monete padovane
del tempo: dalla “mistura” dai primi conii Carraresi del 1328, alle leghe più
ricche di argento del 1390. Ho giocato con le sfumature ottenute, perché la
Storia, come l'Arte, è anche frutto della continuità non solo delle violente
mutazioni. Le leghe delle prime monete coniate dai Carraresi erano le stesse
utilizzate dai loro predecessori. L'orologio di Dondi ha in fondo un debito nei
confronti del mondo arabo come il telescopio Hubble lo ha, del resto, nei
confronti degli olandesi o di Galileo. Mi è piaciuto pensare a Giovanni intento
ad ideare qualcosa di grande, ma con pensieri rivolti anche alla semplicità del
quotidiano. I pensieri di un uomo che la leggenda vuole aver importato a Padova
la famosa gallina.
E allora penso che se chi ha inventato la lancetta dei secondi ha anche
importato il gallo, non può che essere un signore assoluto del suo tempo».
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