Stefano Bruzzi. La poetica della neve
Stefano Bruzzi: un macchiaiolo tra Piacenza e Firenze
Piacenza - Fondazione di Piacenza e Vigevano
Dal 29 ottobre 2011 al 19 febbraio 2012
Due mostre parallele per riconfermare a Stefano Bruzzi il ruolo di reale protagonista che, ad un secolo dalla scomparsa, gli spetta nella storia della grande arte italiana dell’Ottocento.
Le promuovono, nelle loro sedi, la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi (22
ottobre 2011 - 19 febbraio 2012) e la Fondazione di Piacenza e Vigevano (29
ottobre 2011 - 19 febbraio 2012), a Piacenza. La prima esposizione è curata da
Andrea Baboni, la seconda da Andrea Baboni e Leonardo Bragalini; entrambe sono
corredate da un catalogo.
Di Bruzzi, l’esposizione allestita nella storica sede piacentina della
Fondazione di Piacenza e Vigevano propone una cinquantina di opere, a
documentare come egli sia stato – e non a caso lo ricorda il sottotitolo della
mostra - “Un macchiaiolo tra Piacenza e Firenze”. L’affascinante esposizione
proposta dalla Ricci Oddi si sofferma su un genere che l’artista coltivò con
passione e che segnò uno dei vertici della sua pittura, “La poetica della
neve”, i paesaggi innevati dalla luce tersa e cristallina.
Stefano Bruzzi (Piacenza, 1835- 1911) visse e operò lungamente a Firenze a
stretto contatto con la cerchia dei macchiaioli, condividendo con essi
l’anelito verso una nuova pittura di rappresentazione della realtà. Fu artista
di fondamentale importanza, particolarmente tra gli anni cinquanta e Sessanta
del diciannovesimo secolo, per l’incisivo contributo alla nascita della nuova
pittura del vero. Ignorato anche dalla critica più attenta, forse perché visse
sempre un poco appartato, Bruzzi sviluppò una poetica della natura tra le più
alte del secondo Ottocento italiano, indissolubilmente connessa al paesaggio
dell’Appennino piacentino. In questi luoghi l’artista compose un vero e proprio
poema pastorale di commovente complessità, nel quale il trascorrere delle
stagioni nel silenzio degli spazi larghi e profondi è reso con un sentimento
sacrale della natura. In questo scenario uomini e bestie compiono le quotidiane
fatiche secondo uno schema antico e apparentemente immutabile. Egli fu in
Italia una delle prime personalità che, con grande talento, subito dopo la metà
del secolo, diede un contributo sostanziale al nuovo e autonomo modo di porsi
dell’artista riguardo al dato reale.
Tra le 50 opere esposte in Fondazione, assumono particolare rilievo i dipinti
eseguiti tra 1855 e 1880, periodo nel quale Bruzzi può considerarsi tra i
principali interpreti della pittura italiana di paesaggio; opere che svelano
significative affinità con quanto andavano eseguendo i contemporanei
macchiaioli. Sono presentati alcuni capolavori straordinari, come la Mietitura
a Le Perteghette, il monumentale Cadon le foglie e il Che c’è?, dipinto
notissimo per esser stato divulgato da una incisione che conobbe notevole
diffusione; non mancano preziosi inediti come la Veduta del litorale di
Nettuno, Pescatorelli, Pascolo a Caselle.
Nel paesaggio innevato, soggetto monografico dell’esposizione alla Ricci Oddi,
che l’artista esprime una particolare complessità e ricchezza di raggiungimenti
stilistici.
Dal 1865 ai primi anni Ottanta – arco temporale in cui è compresa la maggior
parte delle opere esposte – pastorelli e pecore, contadini e spaccalegna nella
fatica del lavoro quotidiano, interpretati nella luce cristallina del paesaggio
innevato, assumono valori pittorici e stilistici di profonda suggestione. Il
biancore luminoso della neve avvolge ogni cosa intorno e l’abituale scenario appare
all’artista come trasfigurato. Gli azzurri, violetti e rosati del manto nevoso
si accendono e si spengono con il variare della luce e le sagome di uomini ed
animali, protagonisti della scena, assumono un nuovo risalto nelle colorazioni,
proiettati contro quei cieli limpidi e profondi dove la luce si riverbera.
L’esposizione comprende alcuni capolavori ritrovati: Prime giornate di bel
tempo , esposto a Milano, presso la Società per le Belle Arti di Brera nel
1872; il mirabile Spaccalegna, datato 1873; Mulattieri dell’Appennino, in due
suggestive versioni databili intorno al 1875; In cammino; Ritorno all’ovile e
La mandria sperduta, presentato all’Esposizione Nazionale di Milano nel 1881,
giudicato dal “macchiaiolo” Nino Costa come “uno dei migliori quadri
dell’esposizione…per carattere, sentimento intimo, e sincero della natura”.
In entrambi i casi alle opere più importanti sono affiancati i deliziosi e
freschi bozzetti di studio, dipinti dal vero, utilizzati dall’artista per le
più vaste composizioni elaborate in studio. Alcuni disegni di pregevole fattura
mostreranno la prima ideazione di figure poi riprese nei dipinti.
Due mostre, un unico percorso ideale, per ridare a Stefano Bruzzi quella
dimensione assolutamente nazionale che gli compete.
Stefano Bruzzi. Breve biografia
Stefano Bruzzi è nato a Piacenza nel 1835. Mente portava a termine gli studi
umanistici ebbe i primi insegnamenti sul disegno da Bernardino Massari. Poi,
per desiderio di conoscere più ampiamente la vita artistica del suo tempo, si
recò a Roma nel 1854. Qui allora tra i paesaggisti godeva meritata fama
Alessandro Castelli e nello studio di codesto maestro, senza iscriversi
all'Accademia, venne acquistando gli elementi di una ottima tecnica pittorica.
A Roma entrò nella compagnia dei giovani artisti di quel tempo come Stefano
Ussi, Enrico Gamba, Raffaele Casnedi coi quali frequentò l'accademia privata
del modello Gigi. Vera intimità ebbe con Nino Costa col quale andò a dipingere
dal vero ad Albano, all'Ariccia, al lago di Nemi; questo importante sodalizio
durò fino al 1857. Dal Costa fu presentato ad Arnold Böcklin, che poi rivedrà a
Firenze, del quale conservò l'amicizia e la stima fino agli ultimi anni del
grande pittore svizzero. Erano i tempi che Stefano Ussi dipingeva La cacciata del
Duca d'Atene, Enrico Gamba I funerali di Tiziano e fuori Roma cominciavano a
farsi conoscere Telemaco Signorini e Vincenzo Cabianca. Dopo una dimora di
quattro anni a Roma, quando gli parve d'aver imparato quanto era necessario per
poter dire quello che sentiva, si ritirò a Roncolo di Groppallo, sull'appennino
piacentino, e vi si trattenne salvo un breve periodo di tempo a Bologna e
Milano (1860-63), fino al 1874. Qui immerso nella pace e nella tranquillità
potè dedicarsi a dipingere il paesaggio nel continuo mutare delle stagioni, dai
caldi meriggi d'estate al gelo delle nevicate d'inverno, popolandolo di
contadinelli e di contadinelle, di pecore, di asinelli, di bovini, di cavalli;
propio nello studio degli animali il Bruzzi ha rivelato una straordinaria
finezza di osservazione che accompagnata ad una moderna impaginazione
dell'ambiente hanno fatto collocare le sue grandi composizioni agresti fra gli
esiti più alti di tutta la pittura italiana dell'800. Nel 1875 la necessità di
avviare i suoi figli (si era sposato nel 1860) ad una carriera e il legittimo
desiderio di dare un campo più vasto alla sua produzione artistica e di
contrarre amicizie coi pittori più celebrati, lo consigliarono di fissare la
sua residenza a Firenze, dove allora le nuove visioni dell'arte, in
contrapposizione alle forme accademiche, venivano ora concretate in opere di
autentico valore ed imposte all'ammirazione di tutti. Alcuni nomi primeggiavano
fra gli altri: Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Serafino De Tivoli,
Filippo Palizzi, Gerolamo Induno, Vincenzo Cabianca, Vito D'Ancona, Domenico
Morelli. Il Bruzzi trovò un ambiente doppiamente favorevole: primo perchè
quella scossa "macchiaiola" era consona ai suoi sentimenti d'artista
e secondo perchè egli stesso dette ai paesaggisti toscani una apprezzata
cooperazione per la rinascita dell'arte di quel tempo. Va ricordato che durante
il lungo soggiorno fiorentino, durato venti anni, il Bruzzi non mancò mai di
tornare a Roncolo di Groppallo, specialmente l'estate, per trarre sempre nuove
ispirazioni dal suo amatissimo Appennino. Nel 1895 accogliendo l'invito
dell'Istituto d'Arte Gazzola a presiedere la cattedra di "Figura"
ritorna nella nativa Piacenza. Nel 1897, invitato alla Biennale di Venezia,
espose il Don Chisciotte, un dipinto di grandi dimensioni considerato il suo
capolavoro, riscuotendo uno straordinario successo di critica e di pubblico.
Stefano Bruzzi moriva nel 1911 a Piacenza, dipingendo fino agli ultimi giorni
con immutata passione.
Informazioni: tel. 0523 311116