Ugo Riva. Un artista contemporaneo e la classicità
di Fernando Noris, curatore della mostra
Come ogni realtà vivente, anche i materiali dell'arte seguono le vicende e le
traversie temporali della nascita, della crescita e della consunzione. Quando
l'artista li sceglie, sa già che l'atto della sua creazione non li conserverà
in eterno nella condizione che lui riesce a fissare, per ora, in questo
istante, in quella data forma. Molti saranno i frangenti che concorreranno a
trasformarli in semplici memorie di quello che fu l'atto iniziale di una genesi
progressiva e mai per sempre definita. Nella bellezza di questa precarietà
consiste il mistero soprattutto della scultura, la più in apparenza consistente
delle forme artistiche, e in realtà tra le più fragili per la lievità delle
terrecotte, le tarlature dei legni, la corrosione dei metalli, la friabilità
delle pietre, lo squamarsi delle patine colorate. Il ridursi spesso a frammenti
fa assumere, a questi segni artistici del divenire, il linguaggio interrotto
dei sussulti e degli strappi dello scorrere del tempo. A ben guardare, sino al
recente Fauno ripescato nelle acque di Sicilia, questo è il destino di quanti
capolavori ancora ogni giorno ammiriamo. Scalfiti e levigati da intense assenze
materiche essi ci si consegnano come testimoni frammentati e sublimemente
episodici di una ricorrente allegoria del Tempo. Prima infatti di qualsiasi
altro significato tematico o storico o estetico, essi si fanno portatori di
questa perenne dialettica tra presente e futuro, orientando le nostre letture a
una riflessione pazientemente e intimamente esistenziale. A qualcosa di ciò
sembra ricondurre l'osservazione del lavoro di Ugo Riva. Il presente delle sue
realizzazioni, pregnanti di densa e materiale consistenza, sembra tutto teso a
precorrere le scansioni di un tempo-oltre, con cui esse saranno chiamate, prima
o poi, a fare i conti, per essere, da questa futura dimensione, assunte,
inglobate, metabolizzate. E anziché lasciare alla casualità degli eventi
l'insieme di queste trasformazioni, è lo stesso scultore ad intervenire con
modificazioni espressive, che enunciano dichiaratamente la sua intenzionalità
di porle come studiati filtri temporali; al domani delle sue opere lo sculture
intende essere presente fin d'ora, con interventi stilistici che mirano a
togliere al Tempo la sua intransigente, e ormai non più sostenibile dopo
Einstein, presunta assolutezza e il suo ineluttabile dominio. I Signori del
Tempo, Il Tempo del Tempo e Imperturbabili Dei raccontano l'orgoglio di questa
semplice, e insieme titanica, intuizione. Figure pacate, di classica serenità,
stanno immobili di fronte al perenne scorrere del tutto, condensandolo, e come
raffrenandolo, in una affermazione di lirica sospensione. La coscienza che
coglie se stessa è la vera misura del reale. Il resto è pura contingenza.
Inutile all'arte, come forse è inutile alla Vita. Sarà anche per questo che le
citazioni irrompono come bagliori di luce del presente nel presente: una Nike
di Samotracia che sostituisce l'Angelo dell'Annunciazione, La Beata Ludovica
Albertoni di Bernini, sempre più vivida nella sensualità di Estasi, gli Amanti
di Manzù in Non si può sfidare il cielo, le plastiche figure di Piero della
Francesca in I segreti di Piero, le cariatidi sacrali di Angeli. E' in questa contemporaneità
del tutto che l'invenzione di Ugo Riva si esercita, senza sentirsi ospite di
nulla, ma tutto ospitando all'interno di un crogiolo alchemico e purificatore.
Così è per le forme, cosiddette naturali, di alberi, cortecce, lancinanti rami,
lastre arrugginite e borchiate, cui viene lasciata l'intrinseca scultoreità del
tratto e dell'apparire. Tutto concorre a creare ogni singolo frammento d'arte,
perché tutto è consapevolmente, e umilmente, parte di una totalità più vasta,
non tangibile e non consumabile mai per intero da chicchessia. Ma il Tempo, nel
mistero del suo volerci condizionare inchiodandoci alla sua continua
misurazione, non è raccontabile direttamente; può soltanto essere còlto e
decodificato attraverso un sistema di simboli legati allo spazio. “Nella
concezione del mondo di qualsiasi nuovo sistema di pensiero che si faccia
avanti- ha scritto Pavel Florenskij - il problema dello spazio è proprio
centrale e prefigura la formazione di tutto il sistema. Con determinate riserve
e spiegazioni si potrebbe persino considerare lo spazio come l'oggetto proprio
e originario della filosofia, in rapporto al quale tutti gli altri temi
filosofici devono essere considerati. (Pavel Florenskij, Lo spazio e il tempo
nell'arte, Adelphi 1995) E se ciò è ritenuto valido per la filosofia, non può
non esserlo per l'estetica che ne deriva. Nella scultura di Ugo Riva le
ambientazioni spaziali sono un tutt'uno con la creazione stessa. Il vuoto che
preesisteva attorno alle sue figure nascenti, non è più tale appena esse hanno
finito per prendere vita: lo stampo, per così dire, di un pieno artistico entra
in dialogo con la rarefazione circostante, assumendo su di sé la responsabilità
di divenire unità di misura di tutte le cose e del tempo che le travaglia. Ogni
scultura dell'artista interrompe l'ovvietà e la pigrizia di luoghi e di tempi
scontati. Anzi, proprio con la forza della sua dominanza spaziale autorevole,
ogni opera diviene clessidra e meridiana di un racconto sempre presente, perché
integralmente e inevitabilmente attuale, e pure, nuovo. In tutto ciò il
ricorso, sempre più frequente, alla rappresentazione della figura umana diviene
spazio di per se stesso: architetture, prima ancora che corpi, uomini e donne,
angeli e danzatrici veleggiano verso un rigore costruttivo con la lievità di
archi e colonne dagli inafferrabili ritmi musicali, che s'intrecciano spesso su
panneggi gonfi d'esuberante ventosità. Anche il vento è come il tempo: lo si
coglie sono attraverso i suoi effetti. E sono questi dialoghi tra il piano
modellato carnale delle anatomie e i flutti rigogliosi delle vesti, che
ripropongono questa sospensione del tempo nello spazio, folgorando attimi per
sempre sospesi. La materia è quasi sempre fratta e graffiata, lacerata; e gli
scorci d'ambientazione si rivelano impudichi di verità, come nelle loro storie
di strada, costruite rasentando muri di striscianti malinconie notturne. Dalla
ruggine e dalla patina dei metalli discende, o s'innalza, un distillato
cromatico che asseconda l'intento espressivo del gesto dell'artista, quasi ad
ammorbidire in pacatezza la perentorietà dell'assunto. Raramente vien dato di
vedere come veramente un artista riesca, con i soli mezzi del proprio lavoro, a
identificarsi nel pensiero, così semplice e così sublime, che l'uomo è la
misura e la sintesi del tempo. Non perché a sua volta egli si illuda, nella
superbia già narrata dalla Genesi, di volersi fare lui stesso eterno, ma per
continuare a respirare con pienezza la realtà di quell'unico presente che ci è
dato cogliere e vivere. E proprio per evitare la tentazione, subdolamente
instillata dal serpente, le forme di Ugo Riva nei tratti e nei segni di una
inarrestabile caduta, cantano l'elegia della propria fragilità, consapevoli di
essere deboli canne incrinabili al soffio di qualsiasi refolo di vento, ma,
come diceva Pascal, di ben essere canne pensanti. In questa scelta stilistica e
formale non c'è chi non veda il profondo richiamo a un umanesimo perenne,
frutto della intelligenza di secoli di tradizione, sgranata attorno a pensieri
mai sopiti e , per fortuna, ricorrenti : dai grumi contorti di Skopas, ai resti
dilavati e corrosi del Partenone, alla ruvidezza uncinata di Wiligelmo, alle
Pietà mai finite, su su, fino ai cilindri, alle sfere, ai cubi di Piero della
Francesca e di Cézanne e al grandioso grafismo plastico di Manzù. Forse l'anima
di ogni pensiero veramente classico, a ben guardare, è stata, ed é, proprio
quella di individuare il presente come esaltazione di ogni possibile ideale,
senza tradire niente della contingenza del momento fuggente, ma assumendolo
anzi, come unica ricchezza che, nella nostra imperfezione, ci è dato
sperimentare. Se tutto ciò costituisca anche una interpretazione religiosa del
vivere, lasciamo agli esegeti. Di sicuro non lasciarsi naufragare nelle secche
del passato o evitare di ardere parossisticamente nell'attesa di un futuro, che
rimane sempre tale, può aiutare ad avvicinarsi a Colui che per definizione “ E'
colui che è”. Assumere il punto di vista di Dio sulla relatività del Tempo può
costituire un grande rischio, ma può anche aiutare, almeno qualche volta, a
conferire unità e senso ai frammenti di ciascuno dei nostri giorni. Intanto,
nell'antologica che la Provincia di Bergamo gli dedica, proveremo a mettere a
confronto qualcosa del lavoro di Ugo Riva con alcune testimonianze esemplari di
una classicità “ classica”, che dalla pienezza dell'umanesimo pittorico ci fa
pervenire segnali di persistenza di un dialogo ininterrotto tra la precarietà
del vivere e gli slanci di una tensione volta a raccontare il tentativo
dell'uomo di convivere consapevolmente con i limiti, ma anche con le risorse,
del Tempo.
Ugo Riva. Un artista contemporaneo e la classicità
Bergamo - Palazzo della Provincia di Bergamo
Dal 12 aprile al 31 agosto 2008