Munch e lo spirito del nord. Scandinavia nel secondo Ottocento
Passariano di Codroipo (Udine) - Villa Manin
Dal 25 settembre 2010 al 6 marzo 2011
Nel suo progetto pluriennale dedicato alle Geografie dell'Europa, e dopo la
prima tappa costituita dalla rassegna che indagava le relazioni tra la pittura
francese della seconda metà del XIX secolo e la contemporanea pittura nella
nazioni del centro ed est Europa, Villa Manin propone il suo secondo importante
appuntamento. Per un progetto, nella sua interezza, volto a studiare alcune
delle maggiori evidenze della pittura europea tra la metà del XIX secolo e il
primo decennio di quello successivo.
Munch e lo spirito del Nord. Scandinavia nel secondo Ottocento vuole, per la
prima volta in Italia, costruire il racconto di una storia che identifichi
appunto lo spirito del Nord con la pittura in Norvegia, Svezia, Finlandia e
Danimarca. Specialmente dedicata al paesaggio, ma ben raccolta anche attorno al
tema del ritratto e della figura, la mostra, composta di circa 120 dipinti
provenienti specialmente dai musei scandinavi ma anche da alcuni altri musei
sia europei che americani, si divide in cinque sezioni. Le prime quattro
riservate alle scuole nazionali di quegli Stati, mentre la sezione di chiusura viene
dedicata a Edvard Munch, con 35 opere in totale. Dunque una sorta di grande
mostra nella mostra, prendendo in considerazione gli anni suoi di esordio
vicini alla pittura dell'artista norvegese Christian Krohg già a partire dal
1881-1883 e poi i due decenni – l'ultimo del XIX secolo e il primo del XX – che
ne hanno decretato l'universale fama e hanno creato quella sorta di sigla munchiana
che caratterizza e sigilla quel darsi allo spazio interminabile del Nord così
come è accaduto anche in letteratura.
Ma riandando alle scuole nazionali prima di Munch, alcuni dipinti a
evidenziare, prima dello scavalcamento di metà secolo, la situazione della
cosiddetta Golden Age in Danimarca, con le opere tra l'altro di Lundbye e P.C. Skovgaard.
Così come in Norvegia una breve introduzione è riservata a Dahl, Balke e Gude;
in Svezia a Larson, Berg e Wahlberg e in Finlandia a von Wright e Holmberg. Così
da indicare, appunto attorno alla metà dell'Ottocento, il senso di una scoperta
del vero naturale, che si affranca dalla nozione di paesaggio ancora
post-settecentesco che, a parte alcuni casi di straordinaria qualità da Friedrich
a Turner, rende non dissimili le varie nazioni europee in quella prima parte di
secolo.
Poi la mostra prende il suo corso solenne, e così nuovo per l'Italia, dentro la
seconda metà del XIX secolo, attenta a individuare attraverso la scelta dei
dipinti quello sguardo che ha fatto del Nord un luogo non soltanto fisico ma
anche dell'anima. E che quindi non può che trovare in Munch il suo logico e
imprescindibile punto d'arrivo. Ma prima la schiettezza, la luminosità, il
silenzio e il fragore del paesaggio nordico sono interpretazione che talvolta
vira verso una problematicità che fa dei luoghi naturali un sentimento arcano e
quasi primordiale. Questo senso del tempo fondo, la chiarità delle estati, la
profondità delle notti invernali, il velluto del muschio dell'erba, il bianco
dei fiori sotto il bianco delle lune estive, è quello che l'esposizione intende
mostrare al pubblico italiano. Ovviamente grazie alla generosità dei principali
musei di Norvegia, Svezia, Finlandia e Danimarca, che con larghi prestiti hanno
consentito di poter tracciare un panorama del tutto esaustivo di una vicenda
pittorica che da alcuni anni non cessa di affascinare, attraverso alcune mostre
sia in America che in Europa, il più vasto pubblico degli appassionati. E in
questo senso strumento imprescindibile sarà il catalogo di studio, al quale
hanno collaborato i maggiori studiosi di quelle nazioni.
Ovviamente la mostra non fa mancare alcuno dei principali protagonisti, a
cominciare, in Danimarca, da Ring, Philipsen, Syberg, Gottschalk e soprattutto Hammershøi.
A quest'ultimo, la cui vicenda straordinaria venne definitivamente scoperta
alcuni anni or sono grazie a una fortunata mostra parigina, è dedicata
un'intera sala, comprendente alcuni paesaggi ma soprattutto i fascinosi
interni. Per la prima volta esposte in Italia, le opere di Hammershøi stanno
all'apice, tra fine Ottocento e primi anni del secolo successivo, di un
percorso che nasce nella luce di cenere degli interni olandesi seicenteschi, ma
che tutto trasforma entro la misura di grigi infiniti, che talvolta virano
sugli azzurri pallidi. Dando il senso della solitudine di figure che in quegli
spazi non si muovono ma restano sospese, come il tempo potesse effettivamente
bloccarsi una volta per sempre. E non tornare più.
Per proseguire tra gli altri, in Norvegia, con Nielsen, Backer, Thaulow, Krohg,
Skredsvig; e poi Larrsson, Nordström, Zorn, Jansson, Prince Eugen, Strindberg
in Svezia; Edelfelt, Gallen-Kallela, Järnefelt, Churberg, Halonen, Thesleff in
Finlandia. Con quelle caratteristiche pittoriche che mettono sempre al centro
l'immagine dell'uomo nel grande spazio della natura incontaminata e quasi immisurabile.
Entro quel gioco che fa vicini il sentimento romantico e un certo gusto simbolista,
come per esempio è bene evidente nel grande artista finlandese Akseli Gallen-Kallela.
La parte finale dedicata a Munch, dove anche una decina di opere su carta
costituisce il necessario contrappunto all'opera pittorica, tocca il suo senso
più alto nella scelta che dei dipinti è stata compiuta, per essere messi, quei
dipinti, in relazione con i pittori scandinavi che Munch precedono. E insomma
per costituire, nel loro insieme, quel grande coro tra natura e problematicità
della stessa che danno infine il senso vero e compiuto di questa mostra e fanno
della Scandinavia una terra che è luce e notte insieme. Il massimo della luce e
il massimo della notte.