La biografia di Mimmo Rotella
Mimmo Rotella. Lamiere
Mimmo Rotella. Lamiere. Rapsodiche stratificazioni. Saggio di Alberto Fiz
MARCA. Museo delle Arti Catanzaro
MARCA. Museo delle Arti Catanzaro
Il 29 marzo 2008 inaugura il primo Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Catanzaro e della Calabria: il MARCA. Un progetto grande e ambizioso, voluto dalla Provincia di
Catanzaro, uno di quei rari casi in Italia in cui si unisce l'intervento
conservativo di un vasto patrimonio d'arte del passato con l'esigenza di apertura
al contemporaneo, grazie ad esposizioni temporanee in successione.
Il nuovo museo si
colloca nel cuore storico della città e occupa gli spazi di un antico palazzo,
recuperato e restaurato ad hoc, edificio che ospitava, sino a qualche decennio
fa, un istituto per sordomuti e una tipografia.
Il palazzo si
sviluppa su tre piani ed è dotato di un ampio cortile e una terrazza che si
affaccia sulla città.
MARCA è un polo museale multifunzionale sviluppato su tre piani, che ambisce a confermarsi come “un museo vivo e attivo” dove possono convivere momenti artistici diversi dall'arte antica al linguaggio contemporaneo, espresso in tutte le sue forme.
Al pianterreno è stata allestita la Pinacoteca e Gipsoteca della Provincia con circa 120 opere tra dipinti e sculture, una collezione permanente che va dal XVI al XX secolo: dalla splendida tavola di Antonello de Saliba, a Battistello Caracciolo, Mattia Preti, Salvator Rosa e Andrea Sacchi. Sono inoltre conservate ed esposte un
numero assai ricco di opere di Andrea Cefalì, oltre a gessi e marmi di
Francesco Irace. L'esposizione delle opere è stata resa possibile grazie ad un
lungo e prezioso intervento di restauro compiuto su quasi tutte le opere e reso
possibile grazie alla collaborazione con la Direzione Regionale per i Beni
Culturali e Paesaggistici della Calabria.
Al primo piano si
trova la collezione Rotella, il più celebre degli artisti catanzaresi, e in
concomitanza si inaugura una mostra, a cura di Alberto Fiz, che per la prima
volta presenta in uno spazio pubblico italiano le sue grandi opere su lamiera,
realizzate tra il 1980 e il 2004.
Il seminterrato
ospita il centro polivalente di cultura contemporanea che, in occasione
dell'inaugurazione, del Marca presenta il progetto Archeologia del presente, a
cura del direttore artistico del museo, Sergio Risaliti. Gli artisti invitati
in questa occasione sono Paola De Pietri, Flavio Favelli e Davide Rivalta.
L'intento è quello di legare il linguaggio contemporaneo al territorio e alla
sua storia: Paola De Pietri, fotografa, presenta 15 scatti inediti: ritratti e
paesaggi di Catanzaro e dintorni (o provincia); Flavio Favelli, autore del bar
del Mambo, oltre ad aver progettato il bar del museo, situato sul piano,
esibisce due installazioni site-specific; Davide Rivalta espone diverse
sculture in gesso, bronzo e resina, in parte inedite, che raffigurano una
capra, un asino, un'aquila, un tacchino. Gli stessi animali compaiono,
trasfigurati, anche nelle tele dei paesaggisti ottocenteschi della Pinacoteca e
Gipsoteca, quasi a stabilire un dialogo, un collegamento tra le opere dello
stesso museo, anche se di epoche diverse, oltre che con il paesaggio locale.
Il seminterrato
verrà anche utilizzato per ospitare mostre temporanee e eventi culturali di
altro genere, in collaborazione con istituzioni locali, come L'Accademia di
Belle Arti di Catanzaro.
Biglietteria e bookshop
sono previsti al pianterreno; un altro spazio che potrà contenere installazioni
e ospitare manifestazioni è il cortile interno.
Per la definizione
del percorso museologico e per la razionalizzazione degli spazi che l'edificio
presenta la Provincia di Catanzaro si è avvalsa dell'intervento di Sergio
Risaliti, direttore artistico del Museo.
L'inaugurazione
sarà accompagnata dalla pubblicazione da parte di Electa di tre volumi volti ad
illustrare i tre piani del museo: Pinacoteca/Gipsoteca e centro polivalente a
cura di Sergio Risaliti; primo piano con mostra di Rotella a cura di Alberto Fiz.
L'operazione MARCA rappresenta un'altra scommessa importante per la Provincia
di Catanzaro, che già con successo conduce l'ormai accreditata manifestazione
estiva Intersezioni al Parco Archeologico di Scolacium che coniuga e fa
dialogare l'arte contemporanea con la cultura stratificata del luogo e con il
paesaggio naturale del parco.
Molto più di un nuovo Museo
di Sergio
Risaliti, direttore di MARCA
La nascita di un nuovo spazio museale, arricchito di collezioni permanenti di pittura e scultura, è un evento che deve essere accolto con entusiasmo, in qualsiasi città questo avvenga. Un dato è certo: musei, centri d'arte e spazi culturali interdisciplinari che affiancano eventi espositivi alle collezioni e agli archivi, produzione di arte del presente e anche didattica e formazione,
contribuiscono a migliorare la qualità della vita dei cittadini. In situazioni
del genere l'esperienza estetica può trasformarsi in esperienza conoscitiva, e
la prima reazione concerne il grado di consapevolezza culturale e la
disposizione alla decostruzione critica che, in questo pur lento processo
evolutivo del tessuto sociale, tende a emanciparsi e a non regredire più. La
vera funzione moderna dei musei si esalterebbe proprio con questo spostamento
di prospettiva, al centro del quale dall'Ottocento in poi si posiziona prima
l'utente e poi la collettività. La spinta linguistica delle avanguardie tutte
tese al superamento dei valori tradizionali si espande dall'intero del discorso
artistico (comprendente anche la critica) a quello museologico e storico-artistico.
L'utenza da pubblico borghese e colto, élite cittadina, nell'epoca dei consumi
di massa e della globalizzazione è diventata utenza planetaria, turismo
mondiale. Oramai non si tratta di creare quei depositi di anticaglie o gallerie
di capolavori che furono all'origine i musei, né tantomeno spazi spettacolari,
luoghi del via vai e del consumo turistico che sembrano essere diventati i
musei nella nuova era della società trasparente (come l'ha definita Jean Baudrillard),
l'era della spettacolarizzazione dei simulacri. I musei danno il meglio di sé
quando, all'esposizione delle opere e dei manufatti, si è in grado di
affiancare un'attività didattica, ma ancora più a monte quando si è investito
almeno su due fronti, oltre quello della conservazione e della tutela: su
ricerca scientifica e sperimentazione artistica. La funzione sociale dell'arte
e dei musei può essere identificata allora tra molti estremi: da una parte
l'esaltazione attraverso la conservazione e la tutela dei valori fondativi
della storia e della cultura umana - quella in particolare locale e quella
trasversale rispetto a epoche e contesti sociali - poi l'esaltazione
dell'esperienza contemplativa - soggettiva o di gruppo - infine la tendenza a
fare dell'arte un potente attrattore simbolico e un moltiplicatore finanziario.
C'è poi la tentazione a cavalcare l'onda della globalizzazione e del turismo di
massa, che riproduce la funzione catartica dell'arte nell'epoca della globalizzazione
del tempo libero, dell'insicurezza e della paura globale (si leggano a questo
proposito le analisi di Zygmunt Bauman). Infine potremmo dire che il museo è il
fondamentale punto di riferimento di ogni gesto artistico, di ogni ricerca
scientifica e di ogni discorso critico che, al di là del momento effimero del
mercato, dell'informazione e dell'esposizione, pretendono di esistere o
resistere storicamente (cioè di essere storicizzati culturalmente e non solo
monetizzati e valutati economicamente). Questa miscela di funzioni e di
prestazioni è un flusso di energia positiva, da sfruttare assolutamente per
nutrire il corpo sociale. Un'energia fluida e liquida (come deve essere in una
modernità liquida), poliedrica e in fieri, che scaturisce da qualcosa
fondato qui e altrove, nel presente e nel passato: un misto di materialità e di
immaterialità - la materialità dell'opera in sé come oggetto concreto e
l'immaterialità della sua aura. La funzione politica e quella intellettuale
dovrebbero collaborare in questo senso per il bene della polis: quando
si tratta di incanalare questa energia, di immagazzinarla e poi distribuirla,
farne un segmento di un sistema culturale molto più articolato e complesso, che
intercetta e collega storie diverse e mondi differenti, conoscenze e sentimenti
di varia origine, linguaggi e culture locali e internazionali. Un sistema
culturale che valorizza la città e la rende città creativa, città
all'avanguardia.
Dunque, un museo così concepito, magari affiancato a un centro d'arte - come
quello immaginato al piano seminterrato del nuovo museo MARCA fortemente voluto
dal presidente della Provincia Michele Traversa e dall'assessore alla Cultura
Maurizio Rubino, qui sorretti nell'opera dai dirigenti della Provincia
capitanati dalla dottoressa Cristiano - trasforma lo spettatore da
contemplatore passivo a interlocutore attivo, la città in città-laboratorio, il
museo stesso in fucina culturale, la contemplazione dell'arte in una esperienza
inedita o quantomeno innovatrice.
Nelle nuove sale restaurate del MARCA, Museo delle Arti della Provincia di
Catanzaro, sono ora restituite alla conoscenza pubblica opere d'arte del
passato in un dialogo vitale con le opere del mondo contemporaneo: di fronte a
questo ingente patrimonio gli stessi appartenenti alla comunità locale - senza
escludere i visitatori futuri che arriveranno da tutta Italia e dal mondo -
potranno riconoscere i percorsi storici (non sempre lineari, piuttosto anodini)
di una lingua figurativa che fa parte del Dna culturale di questa civiltà e che
abbraccia almeno cinque secoli di storia. Infatti le collezioni del MARCA
iniziano con Antonello de Saliba, pictor messinese, che all'epoca (siamo
ai primi del XVI secolo) mediò tra la pittura del celebre Antonello da Messina
e il territorio locale, facendo così da sponda al rinascimento che da un secolo
avanzava in tutta Italia ed Europa: un rinascimento in cui a informazioni ed
esperienze specifiche al linguaggio artistico italiano - quelle prospettiche
per esempio del XV secolo - si sommano altre informazioni stilistiche e formali
di matrice veneta e nordica - quelle sulla pittura di paesaggio o sul colore.
Si leggano a questo proposito le belle pagine in catalogo di Maria Teresa Sorrenti
che con perizia e proprietà ci restituisce le notizie utili a comprendere
l'opera di Antonello de Saliba assieme alla fisionomia dell'autore. Estraggo a
questo proposito un breve passaggio dal testo della Sorrenti, per noi utile a
chiarire la vicenda: “Nel 1504, un nobile catanzarese, fra' Vincenzo Coco,
commissionava a ‘Magister Joannes desaliba, intagliator, et magister Antonellus
desaliba, pictor, eius filius… quondam yconam altitudinis palmorum vigenti et largitudinis
palmorum sexdecim… prout in designo ey tradito et ostento per ipsos magistros, et
illarum figurarum prot describitur in dicto designo manu mey infrascripti notarii'”
il che conferma la consuetudine della committenza nell'affidare a padre e
figlio, ciascuno per le proprie abilità e specializzazioni, l'esecuzione di
complessi apparati decorativi quali polittici, gonfaloni e custodie nei quali
le indiscusse qualità di Antonello si coniugavano ai pregevoli lavori di
intaglio del genitore”. La collezione della Pinacoteca riorganizzata nelle sale
del MARCA attraversano epoche diverse, il Seicento, il barocco e si proiettano
ben oltre (vi si ammirano tra l'altro opere di Battistello Caracciolo, uno dei
maggiori artisti nati dalla costola di Caravaggio, di Mattia Preti, vera star
locale il cui successo si estende in molte parti dell'Italia di allora,
Salvator Rosa, Andrea Sacchi) e si procede poi attraverso la storia dell'arte
del Settecento locale fino a intercettare figure dell'Ottocento determinanti
l'evoluzione artistica della scena meridionale come Andrea Cefaly e Francesco Jerace
che, grazie alle loro esperienze non provinciali (Andrea Cefaly lavora e studia
attivamente a Napoli con Palizzi), fecero di Catanzaro, in quello scorcio di
tempo, una città europea. Andrea Cefaly sembra riassumere nella propria ricerca
molte delle istanze fiigurative del tardo Ottocento: interessi per il gusto
romantico letterario e neo-gotico, verismo e naturalismo positivista, una sensibilità
e un gusto che spaziano dai macchiaioli e dai napoletani agli impressionisti
europei, interesse alla ritrattistica borghese, attenzione a temi sociali,
qualche influenza pompier e simbolista.
Inoltre, e qui sta l'eccezionalità di MARCA, a tutta questa storia - così
antica e illustre, si è aggiunta la vicenda storica di Mimmo Rotella e una
selezione del patrimonio di opere appartenenti alla omonima Fondazione, un
cospicuo fondo messo a disposizione di MARCA per incentivare la conoscenza
dell'arte di questo grande maestro. Mimmo Rotella è stato uno tra i maggiori
artisti dell'Italia del dopoguerra e anche della prima contemporaneità. La
presenza delle opere di questo artista è di fondamentale importanza per la
completezza del percorso storico e artistico inanellato all'interno delle sale museali:
funge da punto di raccordo tra la tradizione, il passato e la modernità. Le
lamiere del maestro di Catanzaro, i suoi décollage, offrono al pubblico locale
la possibilità di un veloce aggiornamento in diretta sui temi e le pratiche
moderne, e di converso aggiornamento su alcune delle vicende più significative
dell'arte del secondo Novecento: quella dell'informale e della Pop Art, del New
Dada e di Fluxus, per non dire di performance, environment e graffitismo,
che Rotella anticipa o almeno in certi casi avvicina in parallelo. Mimmo
Rotella rappresenta una ricchezza non solo per MARCA e il suo sviluppo futuro:
chi trarrà beneficio da questa collezione è la città tutta, la società locale,
il mondo culturale e produttivo di Catanzaro e provincia. Bene ha fatto
l'amministrazione provinciale allora a creare questo ponte tra Catanzaro, MARCA
e la Fondazione Rotella. Un ponte che, lo sappiamo, aveva i piloni già
impiantati qui a pochi passi da queste sale museali dove l'artista è nato e ha
vissuto. Sarà allora importante non dimenticare la casa Rotella e creare un
sistema di relazioni culturali e di progetti coinvolgendo magari anche
università, accademie e Soprintendenza, fin nell'immediato futuro.
Una collezione, abbiamo detto, agisce come medium cognitivo ed emozionale e
libera informazioni di varia natura e modelli linguistici o culturali utili
allo spettatore nella vita di ogni giorno. E poi l'esperienza dell'arte fungerà
per lui da stimolo per meglio interpretare la distanza o la vicinanza con il
passato: evidenziando poi con messaggi perturbatori, e per questo salutari, la
perdita o scomparsa di valori, significati, simboli, la mutazione di stili di
vita e comportamenti sociali, la trasformazione (a volte drammatica) di luoghi
e tratti del paesaggio urbano o di quello naturale. In questo senso deve essere
letto e interpretato il primo progetto interno alla programmazione di Marca, qui inteso e fatto funzionare
sia come museo e collezione sia come centro di produzione di arte
contemporanea. Con Archeologia del presente - è questo il titolo del
progetto realizzato per l'inaugurazione di MARCA - si è voluto creare un
dialogo e un corto circuito tra l'arte attuale, la sensibilità presente e la
ricerca di oggi, con quanto di permanente e storicamente consolidato si trova
esposto nel museo stesso. Si badi bene che i progetti di Paola De Pietri,
Flavio Favelli, Davide Rivalta sono tutti interventi site specific:
ovvero opere pensate, progettate ed eseguite sul posto, per questo contesto.
Tutto nasce immaginando una geometria di riferimenti e suggestioni fluida e
decentrata che comprende l'interno del museo (le collezioni e i servizi, le
opere della Pinacoteca e Gipsoteca e le funzioni a servizio del pubblico - in
specifico il nuovo bar-spazio ristoro) ma anche l'esterno, la città e il
territorio complesso della provincia, un contesto demo-etnoantropologico che si
estende tra la costa e le catene montuose dell'Appennino calabrese.
Flavio Favelli è uno scultore che costruisce o ricostruisce luoghi pubblici:
nel senso però che restituisce alle persone luoghi che prima di essere nella
realtà sono incubati nelle pieghe della memoria. Partendo da qui, da questo
mondo virtuale del rimosso, a poca distanza dall'oblio, egli ritrova (come Proust)
qualcosa del nostro passato: un universo familiare e condiviso che comunque ci
appartiene ancora, nella doppia dimensione di memoria e di desiderio, tra il
feticcio e il reperto. Egli ha la forza di voltarsi indietro, non per un
desiderio di nostalgia anacronistica nei confronti di una tradizione passata.
Come scrive Benjamin il suo desiderio (magari malinconico) è quello di
ricomporre l'infranto, cioè i pezzi frammentari della nostra storia, una storia
che è fatta non solo di memorie e di affetti, ma anche di cose, di oggetti, di
architetture e di design.
Anche Davide Rivalta si azzarda a entrare in un territorio che solo
apparentemente può apparire anacronistico. E pur evidenziando formalmente e con
la scelta programmatica del genere e del soggetto un suo legame con la
tradizione e il linguaggio classico dell'arte - uno è il figurativo e
l'agreste, nell'altro caso si tratta di animali e nature morte, ovvero paesaggi
arcadici e landscape naturalistici -, la sua opera è del tutto figlia
della nostra epoca. Quella di Rivalta è infatti un'opera che incorpora il
linguaggio plastico moderno di Fontana e quello dell'Arte povera, così come il
gesto informale e quello performativo; ma poi di questo nostro tempo senza
centralità assume il progetto centrifugo tipico di molti artisti che attraverso
l'arte vogliono conoscere il mondo di fuori e con esso l'altro, il diverso,
sfidando categorie e ideologie, il progresso e la tecnologia, l'idea di
evoluzione meccanicistica e consumistica. Rivalta cerca gli animali ma in
definitiva cerca il loro ambiente, e la scultura vive soprattutto dal momento
in cui - almeno dal punto di vista dell'arte - è restituito allo spettatore
qualcosa di originario e fondativo. Un'esperienza che qui è quella della natura
(vista dalla parte dell'altro). Ancora una volta la natura, dunque, ma come
desiderio di un diverso umanesimo. Un umanesimo uscito dall'orbita del moderno
e del postmoderno. Rivalta restituisce a tutti noi un mondo quasi perduto in
cui la relazione tra soggetto e oggetto è possibile a partire dal ribaltamento
delle logiche di interpretazione e della prospettiva con cui ci impossessiamo
del mondo. Siamo noi gli altri, i diversi: siamo noi a essere guardati. Quasi
intrusi o marziani nella natura. E questa stessa sensazione ci accompagna anche
nel mondo delle opere, nell'universo dell'arte. Sono le forme, le materie, le
decisioni formali che ci interrogano.
Anche Paola De Pietri cerca l'altro e il diverso: prima di tutto cerca un tempo
diverso. Per lei fotografare significa darsi la possibilità di rallentare il
battito del tempo, il fluire delle visioni, l'impressione della realtà stessa.
Questo rallentamento apre inedite esperienze: lascia varchi all'altro,
all'inatteso. È ancora l'epifania, cioè il manifestarsi di un diverso tempo
dell'esserci. Un esserci che sembra connotarsi immediatamente di un'aura
speciale, come direbbe Walter Benjamin. Osservando il mondo con questo tempo
(la famosa durata di cui parlano sia Merleau-Ponty sia Roland Barthes) è come
se le cose potessero ancora situarsi in una magica e sorprendente distanza,
un'insopprimibile distanza che le rende anche icone. E come icone, le cose di
Paola De Pietri, appaiono ritratte con ferma attenzione per il dettaglio e la
veridicità, eppure si sostanziano di una indimenticabile ma significativa figuratività
metafisica. Sono forme del figurale piuttosto che riproduzioni figurative.
Allora le cose, i paesaggi o le persone che abbiamo di fronte sono più vere del
vero, sono esattamente dove ha inizio e corso la loro autenticità, la loro
fondazione ontologica. Nominarle significa vederle e incontrarle non nel nostro
universo di controllo ma in una zona franca, spostata piuttosto verso l'al di
là che di qua, laddove è il fondamento originario, quel loro essere nonostante
noi. In uno spazio ma ancor più in un tempo che è quello originale del loro
venire al mondo. Anche Paola De Pietri, allora, parte dall'arte per andare
verso il mondo, per restituire, attraverso la bellezza e la verità,
un'occasione di conoscenza precedente o estraniante. Il nome delle cose,
questo è il progetto di Paola De Pietri è un omaggio a questa terra e anche un
lavoro sui fondamenti del linguaggio visivo, anzi sul linguaggio stesso in
un'estensione concettuale e formale che abbraccia le osservazioni logico-metafisiche
di Wittgenstein, quelle fenomenologiche di Merleau-Ponty, e quelle
socio-politiche di Michel Foucault.
Dunque un museo, oggi come mai, deve essere un luogo vitale, aperto, in
movimento capace di condizionare l'evoluzione culturale del singolo individuo e
delle comunità, fondando e rifondando modelli e paradigmi cognitivi, la trama di
emozioni e sensazioni estetiche e morali che costituiscono il nostro essere al
mondo. Si spiega allora come e perché i musei funzionino come attrattori e diffusori
di ottimismo sociale, anche quando generano critiche e perplessità, sconcerto o
stupore. Va inoltre rilevato che musei e i luoghi d'arte in genere sono
considerati in gergo tecnico spazi relazionali, cioè luoghi che favoriscono le
relazioni umane e gli scambi culturali fra individui: scambi che sono
interdisciplinari e multiculturali.
Laddove si genera questo sistema di relazioni e di scambi - così virtuoso tra
arte, spazi pubblici, spettatori - solitamente si sprigionano energie creative
che hanno una ricaduta positiva sia dal punto di vista sociale sia economico.
Gli analisti del settore sanno bene che con la nascita di un museo o di uno
spazio espositivo cambia il volto di interi quartieri e addirittura muta la
fisionomia di intere porzioni di città, che da questi nuovi insediamenti
culturali vengono rigenerate e corroborate da nuovi transiti e flussi, quelli
di utenti e di consumatori, di moltitudini e gruppi, nonché dalla ricaduta di
interessi e commesse in molti settori della produzione, del commercio e della
ricerca. Le cosiddette città creative, a forte offerta di cultura e produzione
artistica o artigianale, sono oggi considerate nel mercato globale, che è anche
un mercato dell'immateriale, città appetibili, fortemente attrattive dal punto
di vista del turismo, dell'industria e della finanza. Anche la città e la
provincia di Catanzaro potranno dunque trarre giovamento da questa nuova
istituzione pubblica (qualcosa di molto più complesso di un semplice servizio o
accessorio). Tutto questo è tanto più eccitante perché l'attesa si è protratta
negli anni, e la speranza di vedere riunite in un solo edificio le funzioni museali
e conservative a quelle espositive oggi non viene delusa.
Le vicissitudini del nuovo museo MARCA solo legate a fatti importanti della
vita culturale cittadina, strettamente collegati al territorio ma capaci di
proiettarsi al di fuori di esso, addirittura oltre oceano (è il caso dell'opera
e della storia di Mimmo Rotella). E poi MARCA è punto di approdo di un processo
di avvicinamento e di perfezionamento museologico che ha origini molto lontane.
Ma siamo solo all'inizio di un nuovo percorso. Perché già dopo l'inaugurazione
dei nuovi spazi recuperati con il restauro dell'ex Istituto per sordomuti e
dell'annessa tipografia - un restauro che va apprezzato per come si è svolto e
concluso - la struttura non si dovrà ridurre a deposito conservativo. MARCA in
accordo con l'Amministrazione e le Soprintendenze dovrà dar vita a una serie di
iniziative espositive collegate alle sue collezioni, poi all'arte del presente,
così come dovrà farsi promotrice di ricerca e di studi storico artistici e di
critica - con particolare attenzione all'ingente patrimonio di arte locale che
ancora merita valorizzazione e in certi casi ulteriori approfondimenti, nuove
interpretazioni, nuove attribuzioni. Penso che dalla costola di MARCA potranno
nascere quaderni di studio, pubblicazioni specifiche, iniziative editoriali,
per mettere in collegamento il museo stesso con la ricerca universitaria, con
la conoscenza e promozione del territorio e del suo patrimonio storico-artistico
e paesaggistico. E poi dovranno crearsi iniziative di dialogo e di
collaborazione con l'Accademia di Belle Arti, patrimonio anch'esso di
creatività e di sperimentazione, così necessario per lo sviluppo e
l'innovazione della società locale, e altrettanto decisivo per la vita futura
di MARCA (che senza un contatto reale con la formazione e sperimentazione
artistica locale, nazionale e internazionale sarebbe privato di una funzione
importantissima e vitale).
Così MARCA nasce per molte ragioni, ma tre sono di fondamentale importanza. Era
urgente, necessario, improcrastinabile riunire le belle raccolte di arte
pittorica e plastica entrate a far parte del patrimonio della Provincia a
partire da quel nucleo di collezione già costituitasi in tappe successive tra
la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento prima come Museo e poi come
Pinacoteca provinciale - e su questa storia si leggano le belle pagine di
Corrado Iannino pubblicate in questo catalogo. Quella della Pinacoteca e del
suo ingente patrimonio è una storia che rimonta agli inizi della nascita di
un'Italia moderna e industrializzata. Quando si gettarono le basi di una
moderna museologia, funzionale a uno stato democratico, che iniziava a sentire
il patrimonio artistico come bene pubblico da tutelare e conservare, da
conoscere e valorizzare. Così si legge nel testo succitato di Corrado Iannino:
“Quando il 4 maggio 1879, in piazza dei Tribunali, si inaugura a Catanzaro il
Museo Provinciale, questa nuova struttura culturale assolve a una pluralità di
scopi, alcuni dei quali immediatamente avvertiti dalla classe dirigente
dell'epoca. Intanto, per come si evince dal discorso pronunciato dal suo primo
direttore, Domenico Marincola Pistoja. Secondo il direttore, con la fondazione
del Museo i Catanzaresi concorrono ‘al politico Risorgimento della Patria …
producendo frutti abbondanti di sapere e civiltà'. E cioè, Catanzaro,
attraverso il suo nuovo Istituto, ritrova le sue radici culturali e si mette al
pari con altre realtà territoriali della Penisola, seguendo il nobile esempio
‘di quelli di Lombardia, di Terra del Lavoro, di Terra d'Otranto'. In secondo
luogo, la presenza di un contenitore artistico, specifico, in città avrebbe
impedito la dispersione di beni culturali in una Calabria, in quel momento
quasi vergine agli scavi che, nel passato, ha visto il suo patrimonio ‘portato
fuori d'Italia nei musei di Vienna e di Berlino'”. Ed è con questi sentimenti e
con queste aspettative che è nato quel Museo provinciale ottocentesco da cui
oggi si genera il nuovo MARCA. Ancora Iannino ci illustra la storia e la
ricchezza del patrimonio e correda di tante altre notizie questa bella storia museologica.
“Nel 1879, alla sua nascita, il Museo Provinciale comprende, oltre a circa 6200
monete, 110 vasi, 71 medaglioni medievali e moderni, 33 quadri. Il successivo
inventario, quello del 1896, redatto nel periodo di direzione di Oreste Dito,
storico calabrese e importante massone, comprende, invece, 54 quadri di cui
alcuni non saranno presenti poi nei successivi inventari né nel Catalogo
delle opere in pittura, stampato nel 1976, come Leccapiatti e Polenta, due dipinti a olio di Migliaccio, un acquerello su carta non meglio
identificato del XVII secolo e altri lavori. L'inventario del 14 gennaio 1925
comprende in tutto 125 opere, quello del 1931, 116. Nel 1934 il direttore
segnala la presenza di 100 quadri”. Oggi se ne contano quasi duecento. Ma nelle
sale ovviamente si è dovuta presentare una scelta, secondo una coerenza storica
e qualitativa.
Perseguendo queste primitive funzioni anche MARCA necessita di un centro di
studi specializzato sull'arte regionale e locale dal XV secolo a oggi. Qui
potranno essere studiate e attribuite alcune delle opere conservate in Pinacoteca
che ancora restano senza firma, e si dovranno ulteriormente valorizzare alcune
figure o episodi di indubbio valore nazionale e internazionale come Andrea Cefaly,
la scuola di Cortale, l'opera scultorea e in gesso di Francesco Jerace. C'era
poi la necessità di dare una casa qui a Catanzaro, alle opere di un grande
maestro contemporaneo come Mimmo Rotella. La cui storia nasce in terra calabra ma
ha superato la dimensione locale, perché come tutti sappiamo Rotella è artista
di valore e di fama internazionale. Terzo punto era la necessità e un'urgenza
ormai storica: dotare la città e gli ambienti più avanzati dell'innovazione
cittadina e provinciale di un punto di riferimento culturale. Nasce con quest'ambizione
il progetto di un centro per le arti del presente, dinamico e fluido, aperto a
tutte le forme di espressione artistica contemporanee.
La forza di un museo sta nell'essere punto di raccordo tra il passato e il
presente, tra la memoria di un luogo e la cultura contemporanea. In un'epoca
dominata dalla globalizzazione, i musei contribuiscono alla costruzione e valorizzazione
dell'identità culturale di un luogo. Identità che necessita tuttavia di
continui aggiornamenti e di nuove informazioni, che ha urgente bisogno di
aprirsi e di confrontarsi con quanto di nuovo e di inedito viene creato adesso
nel mondo. Ecco allora che un museo che incorpora in sé un centro d'arte - cioè
un luogo dove si produce e ospita la produzione attuale nazionale e
internazionale - si può trasformare in un ponte di collegamento tra locale e
globale, tra il mondo familiare e ciò che appare estraneo, tra il noto e
l'ignoto. La prima conseguenza di questa operazione culturale è l'innovazione
che si mette in moto assieme alla conservazione e tutela del patrimonio locale,
alla valorizzazione della storia e della cultura passata. MARCA è stato
costruito e organizzato museologicamente pensando a tutto questo: per essere un
luogo di esperienze e di studi, di emozioni e di scoperte. Ma anche un luogo
dove si potrà generare e rigenerare curiosità intellettuale e soprattutto
tolleranza culturale. Un luogo dove i cittadini potranno sentirsi a casa
propria e nel mondo.