L'artista viaggiatore. Da Gauguin a Klee, da Matisse a
Ontani
Un poco al di sopra dei nostri sensi: scrittori e artisti verso Oriente di Marco Antonio Bazzocchi
La ricerca di nuove esperienze negli altrove del mondo di Gualtiero Harrison
La ricerca di nuove esperienze negli altrove del mondo
di Gualtiero Harrison
Estratto dal testo critico in catalogo della Mostra
L'artista viaggiatore. Da Gauguin a Klee, da Matisse a Ontani
Ravenna - MAR Museo d'Arte della città
Dal 22 febbraio al 21 giugno 2009
Non cesseremo di esplorare
e il fine di ogni nostra esplorazione
sarà là dove siamo partiti
e sapremo il luogo per la prima volta
Thomas S. Eliot
Era il 1951. A Brema, nel Planetario, venne condotto un esperimento su un
uccello, che d'inverno “viaggia” dalla Germania alla Valle del Nilo: la
bigiarella. Sul soffitto emisferico fecero sfilare, dinanzi all'uccello
migratore, la volta celeste con le costellazioni che vanno dal cielo tedesco a
quello egiziano. La proiezione cinematografica del moto degli astri raffigurava
ciò che ogni bigiarella percepisce ad occhio nudo durante la sua esistenza di
stagionali transumanze tra nord e sud; e l'uccello di Brema seguì senza
défaillance la carta celeste del Planetario e si posò esattamente sotto il
cielo di Luxor. Un grande antropologo e filosofo, Edgar Morin1, commentando l'esperimento - “che prova che la bigiarella
aveva in un certo modo, il cielo nella sua testa” - rileva che l'ordine cosmico
si trova integrato all'interno dell'organizzazione delle specie viventi, nel
loro sistema auto-organizzatore, “ciò che permette loro di adattarsi e di
sopravvivere”. Il sistema proprio ed unico dell'uomo - e che lo fa distinguere
dal resto del mondo animale perché ne costituisce la caratteristica principale
nel comportamento di specie - è ciò che gli antropologi chiamano “cultura”:
intendendo secondo una classica definizione, tutto ciò che ogni uomo deve
imparare a fare per essere membro d'un gruppo sociale. Include, quindi, tutta
la conoscenza, gli intendimenti comuni e le aspettative storiche che la gente
di un dato gruppo sociale condivide; e che trasmette, attraverso il processo
educativo, alle generazioni successive2.
Come accordare però tale concezione generale della cultura - come cultura umana
- colla manifestazione di grande varietà delle culture particolari, e cioè
degli speciali modi di vita selettivi dell'azione esterna e del sentimento
interiore, del pensiero astratto e della raffigurazione simbolica delle varie
società? Continuando a usare la formulazione teorica proposta da David
Maldelbaum, diventa essenziale interrogarsi sulla natura relazionale delle
somiglianze e delle differenze nelle condotte collettive connesse alle
corrispondenti rappresentazioni comunicative che caratterizzano le identità.
Ogni gruppo ha inventato un differente set di risposte agli stessi problemi che
tutti i gruppi devono affrontare. E sono problemi sollevati non solo e non
tanto dalla comune struttura biologica degli uomini quanto piuttosto dal loro
“destino”: di essere cioè insieme creature e creatori di cultura. Ma cosa
accade quando i membri di un certo gruppo sociale vengono a contatto con gli
intendimenti, le aspettative e le espressioni inventati da altri soggetti per
ciò portatori d'una cultura diversa?
All'alba della Modernità, più che le cose ed i manufatti, furono le parole e le
idee a gettare quel ponte comunicativo tra un punto e l'altro dell'antica
“spianata terrestre” - così come l'aveva concepita in Europa la cosmografia
elaborata nel suo Medio Evo - ma che s'era già fatta, nel frattempo e proprio
per ciò, ellissoide terrestre; e non sarà per caso se a Norimberga, proprio in
quel 1492, Martin Behaim porterà a termine il suo progetto “nel contempo
semplice e grandioso” di costruire il primo mappamondo sferico dl pianeta: in
quello stesso anno in cui Cristoforo Colombo decide di raggiungere per mare
l'altra metà del globo.
1492: l'anno delle tre caravelle che hanno incontrato il Nuovo Mondo, e lo
hanno “scoperto” ai conquistadores che immediatamente sarebbero sopravvenuti.
Ma quale anno fatidico di tempi nuovi dovremmo pur ricordarlo perché nel mentre
il Mondo Vecchio ultimava la sua Reconquista, con la disfatta a Granada
dell'ultimo regno islamico; e nel mentre ancora, con la cacciata degli Ebrei
dalla Spagna, completava l'unità e l'unicità cattolicissima del suo côté
occidentale. Il 12 ottobre Cristoforo Colombo inginocchiato sulla spiaggia
d'un'isola, che aveva appena battezzato San Salvador, così aveva pregato Iddio
Onnipotente ed Eterno: “Tu hai permesso che, tramite il più umile dei Tuoi
schiavi, il Tuo sacro nome possa essere conosciuto e diffuso in questa metà
finora nascosta del Tuo impero!”. E' poco rilevante che per lui, in quell'altra
mezza parte del globo avrebbe dovuto stare, d'accordo con Marco Polo, il Catai,
o altre terre ma alle sue immediate vicinanze; e per ciò appunto lui
s'incaponiva a cogliere anche il più minuto segnale che potesse permettergli di
confermare tale suo radicato “convincimento”. Quel che da quel giorno veramente
conta è come venne - da allora e per cinque secoli - “contornato lo
sconosciuto”3. Ed il raffigurare, appena un anno dopo
con così tanta fantasia questa parte nuova del mondo - illustrandola con
immagini di uomini, non solo divoratori delle carni d'altri uomini e bevitori
del loro sangue, ma con il volto impresso tra i seni, o con un solo occhio al
centro della fronte, o con la testa di cane, fu l'autentica “scoperta” di quel
che, fino ad allora era stato l'ignoto non perché nascosto, ma perché non
ancora così raccontato. Ed il viaggio si apre allora su esperienze di alterità
sempre più radicali che immortalano Colombo come colui che non solo ha
stabilito il primo contatto tra due mondi: perché gli ricama addosso la
realizzazione del più notevole di tutti i viaggi della Modernità; e da quel
momento in poi l'avventura umana fu destinata a trapassare attraverso il sogno
della traversata, da un mondo e l'altro verso l'infinito, sino a delineare “le
coordinate d'una nuova pratica europea della rappresentazione”4. L'essenza del viaggio s'è, insomma, incarnata in quella
della scoperta. Fino al 1492, solo pochissimi ardimentosi avevano arrischiato
di varcare le frontiere dell'isolamento nel quale si viveva nel nostro pianeta.
Il mondo era molto piccolo ed estremamente frammentato. Da allora, invece, il
viaggio divenne il paradigma della conoscenza, né ha mai più cessato di esserlo
nel corso dei successivi cinque secoli: per terra e per mare, nell'aria e nello
spazio extraterrestre, gli obiettivi sono rimasti gli stessi anche se son
cambiati i mezzi. Alcuni hanno corrisposto a leonardesche chimere, altri hanno
attuato oggetti che neppure le fantasie del passato avevano fatto esistere
nell'immaginazione dei più remoti viaggiatori5.
Narra, però, Vasari di Donatello e Brunelleschi come dei primi artisti della
storia europea a mettersi in cammino “per seguir vertute e canoscenza”:
sospinti, da quel desiderio di libertà che rinasceva ai loro tempi. Recatisi a
Roma ne conobbero le rovine, e non badando al tempo né al denaro fecero
dissotterrare capitelli e colonne, per poterli studiare e disegnare. Anche se
la loro arte, così come quella di tanti altri loro coevi è ben altra cosa “d'un
semplice ritorno al mondo apparentemente immobile dell'Antichità”; perché la
rinascenza piuttosto consiste proprio nell'aver gettato le basi del futuro
suscitando nei diversi domini dell'essere e del sapere umano, “più
interrogativi che risposte”: fu piuttosto frequentazione della modernità
europea che sopraggiungeva “per conciliare unità e diversità”6.
Ed in ogni modo vale per questi uomini, d'una emergente Europa, quel che
costituisce la specificità per gli uomini di ogni altra particolare epoca in
ogni altra parte dell'ecumene: sempre l'atteggiamento che si elabora per
relazionarsi al mondo corrisponde alla concezione iconica con cui ce lo si
rappresenta, e proprio secondo la propria epocale proiezione grafica che
raffigura lo stare dell'uomo nello spazio cui, per altro, si sente
d'appartenere. Gli artisti contemporanei di Cristoforo Colombo furono capaci di
trasformare nel verso della “proiezione prospettica” le loro precedenti
rappresentazioni visive perché anch'essi intrapresero, con la loro sensibilità
emotiva, la stessa lotta alla quale gli esploratori, coll'ormai acquisita
esperienza della loro “arte del viaggiare”, s'erano destinati per schiudere
all'umanità “le porte della terra e dell'universo”: e per costruire la strada
verso un mondo in cui gli uomini si facessero capaci di aprire anche se stessi
per comunicare, per conoscersi e insieme progredire.
Si può riconnettere a questo viaggio a Roma, antesignano delle successive
pratiche del viaggiare coltivate dagli artisti del XX secolo scorso e di quello
precedente, il contributo antropologico alla mostra su “L'Artista Viaggiatore”
dedicata al “recupero memoriale” d'una estetica che si sviluppa a seguito del
vagabondare. Perché se è vero che gli artisti europei (alcuni almeno) hanno
viaggiato molto, i loro sono stati soprattutto viaggi di formazione: al modo di
quello romano dei due italiani rinascimentali; e forse perché i Musei non
esistevano ancora, a determinare in modo essenziale la relazione che noi
pratichiamo con le opere d'arte e che, avviata dalla civiltà dell'Europa
moderna. Da due secoli si “intellettualizza” sempre più, l'Ottocento ha vissuto
dei musei - come diceva André Malraux - nel senso che essi “hanno imposto allo
spettatore una relazione affatto nuova con l'opera d'arte”: quando al godimento
della vista dobbiamo aggiungere la successione delle scuole che ci richiede la
“coscienza d'una ricerca appassionata”: “una ricreazione dell'universo di
fronte alla creazione”7. Il “viaggio artistico” dell'Ottocento
ha allora in un certo senso “completato” la percezione museale dell'arte, se si
può dire che, rimanendo a Parigi, Baudelaire non ha visto Pier della Francesca,
Michelangelo, Masaccio. In ogni caso il confronto d'un quadro del Louvre con un
dipinto di Arezzo, di Roma, di Firenze: sarebbe stato “il confronto tra un
quadro ed un ricordo”. Oggi le conoscenze di un turista vacanziero sono più
estese di quelle di coloro le cui riflessioni sull'arte “rimangono per noi
rivelatrici o significative” - come seguita a dire Malraux - ma i cui punti di
riferimento sono stati limtati a due o tre musei, una certa quantità di
fotografie, qualche incisione. Il turista vacanziero invece ha la ventura di
esistere in un'era in cui la sua esplorazione artistica del mondo gli fa
ammassare anno dopo anno, viaggio dopo viaggio, la riunione sterminata di tanti
capolavori, a cui però mancheranno quei pochi contenuti nel museo della città
in cui continua a vivere ed a ritornare a fine viaggio.
I tedeschi chiamano passione del vagare - Wanderlust - questo affascinante tema
filtrato dal linguaggio dell'arte, ma che si può anche leggere
contestualizzandolo in questa più recente storia che ho appena finito di
narrare. La Wanderlust dell'artista tuttavia è ben altra faccenda: quando,
durante questi ultimi due secoli della nostra era, ha stimolato i più disparati
palesamenti artistici ma che, appunto, oggi è simultanea e concomitante a quell'altra
dell'individuo che viaggia durante le sue ferie, e che va chiaramente distinto
dall'artista-viaggiatore, che muovendosi, invece, lavora! Ma sarà poi vero che
per profondità dei contatti che quest'ultimo stabilisce con i luoghi che visita
e per la sua passione per l'alterità umana che incontra, l'artista viva la sua
esperienza in maniera così tanto inconciliabile con quella che sta vivendo
l'altro? L'animo umano dell'uno così come quello dell'altro sono stati, in
entrambi i casi “magicamente” sollecitati a vagabondare, tornando all'usanza
antica di quel comune loro progenitore che ha continuato a muoversi per
centinaia e centinaia di migliaia di anni, e che quindi potrebbe indurci
all'espediente retorico di tornare ad unificare tutti noi, suoi discendenti,
nella stessa specie di homo migrans, la cui differenziale potenzialità
simbolica si attualizza in una medesima “intenzionalità al muoversi verso una
meta solo ipoteticamente pre-definita” […].
1. E. Morin, Introduzione al pensiero complesso, Milano, Sperling&Kupfer, 1993 (1990)
2. D. Maldelbaum, On the Study of National Character, in "American
Anthropologist", vol. 55, 1953, pp.174-187
3. J. Heers, Cristoforo Colombo, Milano, Rusconi, 1983 (1981)
4. S. Greenblatt, Meraviglia e possesso. Lo stupore di fronte al Nuovo Mondo,
Bologna, il Mulino, 1994 (1991)
5. J-P. Duviols, Le Mirroir du Nouveau Monde, Paris, Presses universitaires de
Paris-Sorbonne, 2006
6. F. Lestringat, Des sauvages et des homes, in “D'un regard l'autre”:
l'exposition-manifeste du muse du quai Branly, septembre 2006, pp. 18-26
7. A. Malraux, Il Museo dei Musei, Milano, Arnoldo Mondadori, 1957 (1951)