Durante un mio Gran Tour inverso,dal Sud al Nord, ho incontrato Alberto Casiraghy, l’editore di Pulcinoelefante. Sono stato a Osnago, in Brianza, nella sua casa-giocattolo sulla cui porta c’è l’insegna Fervet Opus, quasi un ex libris. Ti trovi davanti un torchio e un tirabozze di quelli di una volta con i quali Alberto elabora, da solo, a mano, uno per uno, i pezzi delle sue edizioni: massimo 30 copie numerate con echi pittorici di artisti. Siamo a circa 7.000 titoli tra pulcini (autori inediti) ed elefanti (i poeti "laureati"): un monumento dell’arte e della letteratura, un poema-mosaico, un rotulo miniato, il pavimento della chiesa di Otranto col suo "Albero della vita".
Mentre discuti con lui che ti prepara in ciotole zen la sua zuppa di verdure (e sempreché la sua amicissima Alda Merini o artisti o poeti non gli telefonino ogni cinque minuti per informazioni, consigli o semplicemente perché vogliono sentire la sua voce) ti rendi conto di aver fatto uno di quegli incontri della vita che ti confermano che hai scelto giusto a vivere come vivi perché Casiraghy è un "giusto", di quella giustizia che riscalda il cuore, di quella semplicità vissuta e spontanea d’esistere come il sasso, la spiga, il ruscello che attraversa Osnago; è una semplicità dell’essere difficile da interiorizzare, la spiritualità che comprende le persone e le cose. C’è giocosità francescana in Alberto, nel suo parlare di temi molto alti mentre dà da mangiare alle caprette e alle galline del suo piccolo giardino e ti chiedi :"Ma con chi sto, con Socrate?".
Io ho nel midollo delle ossa il terreno del sud e mi sono sentito da subito in sintonia con un poeta nordissimo. Alberto è il suo territorio: Lecco e i luoghi manzoniani. I suoi occhi azzurri sono come il cielo lombardo che, diceva Don Lisander, quando è azzurro è azzurro. La sera siamo stati insieme durante una cena nella cascina-studio di Gaetano Orazio, di cui già abbiamo parlato per i lettori di Archimagazine. Eravamo in mezzo a un campo di granoturco ("il granoturco è come il nostro dialetto", mi ha detto Alberto dagli occhi turchesi); un ghiro attraversava il filo elettrico per andare su nel soppalco di Gaetano; fagiani si pavoneggiavano e pavoni, permalosi, fagianavano. Mi hanno chiesto molte cose sui Campi Flegrei, la terra dove vivo da molti anni e ho tenuto comunque a precisare che sono calabro, vicino Crotone, che a scuola Pitagora mi copiava i compiti di matematica. Si sono informati sulle tammurriate, sui poeti del Sud, nessuno dei quali, anche molto significativo, trova spazio adeguato nelle varie antologie stampate da editori del nord. Eravamo celti e beduini che, a un bivacco, si scambiavano informazioni sulle gesta degli antenati dell’uno e dell’altro. Gaetano mi ha chiesto (a me?) notizie dettagliate su come viene vista la Madonna al Sud perché ha tredici pezzi (che ho visto: bellissimi: è lì che "appare" la tu lucis ante , cioè le tenebre) e voleva annodare i ricordi che aveva sulla Madonna-Cibele delle feste di Pagani e di Scafati (Gaetano è originario di Angri).Il ghiro intanto faceva un’altra passeggiata puntando le briciole e un cucciolo di volpe , l’animale che non dà mai un verso o un grido, si accucciava ai piedi di Alberto per prendere parte alla discussione. Non mi sono mai sentito così a casa come con loro. Quasi ero io ad averli invitati a casa mia e quando sono partito mi mancava qualcosa. Cosa? L’amore che Alberto trasmette per contagio.E’ venuta a trovarci Maria Pace Ottieri. Abbiamo parlato del padre Ottiero e dell’analisi che lui fa da intellettuale del nord che viene a fare le assunzioni al Sud (mi accorgo adesso che ho messo minuscola a nord e maiuscola a Sud). Maria Pace ha scritto un libro-inchiesta sui popoli che vengono alle nostre coste con sulla pelle sempre un destino d’incendio, come il popolo di Enea, mio coinquilino a Cuma.
E’ strano che io parli di Casiraghy coinvolgendo altre persone e animali e piante. Sto forse parlando di un uomo collettivo? Si, perché è l’antico "maestro di bottega" che vive in simbiosi creaturale con il mondo e i discepoli. Da adesso in poi lo virgoletto: "Alberto", intendendo il Casiraghy e le persone che, come me, sono in "contatto" con lui.
"Alberto" Casiraghy inizia come maestro liutaio e violinista. Si dedica altresì alla poesia,alla pittura e, dopo aver lavorato per anni nella grande editoria di quotidiani e aver fatto il pubblicitario,si spoglia di ogni mondanità per diventare l’"editore che sforna i libri in giornata", a sottolineare che quei libri sono "nutrimento", "pane quotidiano". "Alberto" è vegetariano. Gli ho chiesto se gli interessasse fare qualche lavoro sulle pelli di capra che dalle nostre parti vengono usate per costruire tammorre. Ho fatto una gaffe: ha guardato le sue due caprette un po’ triste.
Ma veniamo più specificamente all’artista e poeta visto che, secondo le mie informazioni tratte dalle letture, l’attenzione è sempre stata rivolta più alla sua attività di operatore culturale, di talent scout e di editore di elevatissimo profilo che non al nucleo della sua poetica e della sua tecnica.
Dicevamo che "Alberto" è: liutaio, violinista, pittore, incisore, falegname, tipografo, poeta, il che significa che utilizza con maestria le mani. Sa infatti costruire di tutto. Il suo pollice è "polys", molteplice. La sua poesia ha a che vedere strettamente col "poiein", l’azione. Queste attività di "Alberto", i molti artisti che lui è, hanno ovviamente una modalità percettiva omogenea e il "saper fare" della mano del fabbro. Casiraghy è l’uomo del "segno". Intendo proprio quello sulla parete delle rocce, sulle fibre, sul legno, sulla cera, sull’acqua. E’, fondamentalmente, un "incisore", uno che lascia il segno. Le stesse edizioni del Pulcinoelefante hanno la bellezza, il sudore e il vissuto delle tabulae. Osserviamo allora la sua attività da questo punto di vista immaginando quali siano gli antecedenti che arricchiscono di rimandi culturali i suoi segni, vale a dire quale "discorrere" contengano le sue immagini.
La prima, sopra riprodotta, che ho trovato pubblicata nel catalogo del "Pulcinoelefante" edito da Scheiwiller, è di Marco Carnà e ci dà lo spunto alla tesi che ci gira in testa (sì, la testa qui riprodotta; e state attenti ai vostri piedi. Vi informo altresì che l’edizione Scheiwiller del 1997 è quella della collana "All’insegna del pesce d’oro" il che sta a sottolineare l’unicum di un catalogo editoriale che diventa un libro di poesia). La seconda immagine è una figura de "Le
tentazioni di Sant’Antonio" di Bosch. Utilizziamo entrambe come combinazione (perché sono proprio e letteralmente com-binazioni) per la cassaforte di "Alberto".Si aprono, lettore, gli universi storici dei "minimalia" che vanno dai "grilli" descritti da Plinio il Vecchio (incisioni su pietra con soggetto fantastico), alle miniature sui salteri alle incisioni numismatiche ai sigilli. E, volendo essere pignoli (oculati?) come penso siano gli incisori, poiché le prime notizie di queste figure fantastiche ci parlano di un autore di nome Antiphilos l’Egiziano, stiamo parlando di una tradizione artistica di qualche migliaio di anni, come le epigrafi, poco visibile perché è quella che si trovava nei cassetti, sugli anelli, sulle ceralacche, sulle monete, in qualche capitolo di Baudolino di Umberto Eco. Sono dettagli , invisibili, da specialisti-collezionisti, omologhi ai simboli alchemici degli incisori delle zecche di stato. Casiraghy ha al centro della Lombardia il Duomo di Milano, un monumento gotico. Chi ha passeggiato lungo il perimetro del Duomo (con lentezza, mi raccomando, perché ci sono voluti centinaia di anni per edificarlo ed è poco educato sbrigarsela con una visita veloce) , chi è salito su verso i pinnacoli, chi ha sostato sotto Notre Dame, chi ha letto "Le dimore filosofali" di Fulcanelli e sa come si scriveva in realtà "Fulcanelli" intuisce subito a cosa mi riferisco. A cosa? Alla storia del fantastico e al fantastico della storia.
Guardiamo il logo del "Pulcinoelefante:
Basta confrontarlo con questa riproduzione schematica di animale gotico nella conchiglia:
per avere un’illuminazione sul senso del lavoro di Casiraghy. Guarda bene, lettore. Non ho preso a caso uno degli animali gotici nella conchiglia. Il logo del Pulcinoelefante ha, in alto a sinistra, il simbolo di una conchiglia, la tua attuale @, la chiocciola del tuo orecchio obbediente ai suoi labirinti perché obbedire significa ob-audire.
Siamo, dunque, nella sphera enkykleata o sull’orlo di una schiza lineare, una linea di confine tra reale e allucinatorio? I disegni con i quali Casiraghy orna e onora i libri dei suoi autori (fra i quali Alda Merini che, tra l’altro, ha avuto da lui un contribuito determinante in termini di pubblico) inseriscono densi riferimenti e commenti visivi ai testi. Ho sott’occhio proprio una raccolta della Merini edita da Frassinelli dove il ductus del maestro ricorda esplicitamente le decorazioni dei rotoli e degli exultet medievali, là dove in limine al testo il copista (il tipografo-incisore, nel nostro caso) adorna il codice con miniature tratte da un repertorio codificato di simboli come il tralcio di vite o altri oggetti stilizzati secondo un design molto colto. Il testo viene trattato con l’atteggiamento che un benedettino aveva verso la "tradizione-traduzione" col suo valore (oggi si chiama "mission"; avrà a che vedere coi missionari?) da tramandare, conservare e, perché no, "restaurare" quanto a significato dell’opera d’arte e dell’arte poetica.
Penso allora di poter dire, nel rispetto delle due grandi linee che attraversano la percezione di "Alberto" ( Magno?) che i suoi lavori visivi siano pulcini quanto a dimensione grafico-editoriale ed elefanti quanto a spessore storico, a estensione temporale (per inciso, l’incisore delle immagini cui ricorre Casiraghy è un artigiano di novant’anni, Porazzi, che lavora a mano il legno di pero).
Osserviamo le simmetrie analogiche, per esempio, tra questi due lavori, separati da 800 anni:
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