Il Bacio. Tra Romanticismo e Novecento
Amore e Morte, passioni e patriottismo nell'iconografia del bacio tra Ottocento e Novecento di Susanna Zatti
A fior di labbra. Per una fenomenologia del bacio nel cinema italiano di Gianni Canova
Il bacio come linguaggio simbolico di Lorenza Tonani
A fior di labbra. Per una fenomenologia del bacio nel cinema italiano
di Gianni Canova
In una celebre sequenza di Poveri ma belli (1956) di Dino Risi, i due bellimbusti trasteverini interpretati da Maurizio Arena e Renato Salvatori si avvicinano alla vetrina di un negozio di sartoria nel centro di Roma. All'interno, una graziosa commessa, interpretata da Marisa Allasio, protende le labbra verso la vetrina per appannare il vetro con il suo respiro e poterlo poi più facilmente ripulire con un panno. A turno, spavaldi, i due appoggiano a loro volta le labbra sul vetro, in sincrono con i movimenti della commessa, quasi a cercare un contatto a distanza, mediato dal vetro, con la bocca della vezzosa e maliziosa fanciulla. "Bacia bene…!", commenta sorridendo uno dei due. "Si, ma bacia freddo!", replica sconsolato l'altro.
Nella sua scanzonata e autoironica spensieratezza, la sequenza è a suo modo rivelatrice di una certa oggettiva freddezza che caratterizza per una lunga fase la messinscena del gesto del bacio nel cinema italiano. Mettiamola così: nel nostro cinema ci si bacia relativamente poco. Meno, in ogni caso, che nel cinema francese. E molto meno rispetto, ad esempio, al cinema americano. La differenza non è solo quantitativa, ma anche qualitativa: nei nostri film, per lo più, ci si bacia infatti con meno trasporto, con meno passione, con meno rapimento. Abbondano, certo, i baci intesi come segni e riti del cerimoniale sociale (il bacio del mafioso, il baciamano alla signora, il bacio all'anello del vescovo, il bacio sulla guancia come formula di saluto, il bacio alle immagini o alle reliquie dei santi, il bacetto a mamma o a papà…), ma scarseggiano - forse anche per la scarsa penetrazione del romanticismo sentimentale dentro la nostra cultura nazional-popolare ottocentesca - i baci passionali, romantici e sentimentali. Si pensi anche solo al comportamento emblematico, da questo punto di vista, di un autore/attore come Roberto Benigni: il quale bacia tutti in Tv (bacia Veltroni e Pippo Baudo, bacia Olimpia Carlisi a Sanremo e bacia Clemente Mastella…), ma di fatto, soprattutto al cinema, non bacia nessuno: i suoi baci discoli e monelleschi riportano il bacio a una dimensione ludica e infantile, e lo deprivano quasi del tutto della componente erotica. In molti casi, di fatto, nei film italiani non ci si bacia affatto: uno dei più grandi interpreti del nostro cinema, quasi un'icona dell'immaginario popolare come Alberto Sordi, non ha mai baciato la sua partner in nessuno dei tanti film che ha interpretato fra gli anni cinquanta e gli anni ottanta. Ha cancellato il bacio dalle sue possibili performances attoriali. E ha perfino fornito una possibile giustificazione teorica alla sua rimozione:"Il bacio non si addice al comico", ha dichiarato in un'intervista degli anni novanta.
Ma non è solo il corpo attoriale della commedia a essere refrattario al bacio: anche un autore/attore come Nanni Moretti ha sempre imposto alla sua bocca e alle sue labbra una disciplina castigatissima, e quand'anche si è concesso alla messinscena della sessualità (ad esempio in Caos calmo, 2008, di Antonello Grimaldi) ha evitato l'imbarazzo del bacio strutturando la relazione corporea con la sua partner Isabella Ferrari su una prossemica che non prevedeva il contatto bocca a bocca.
Come si spiega questo disagio? questo reiterato rifiuto? Probabilmente, solo chiamando in causa i paradigmi culturali ed emozionali che hanno presieduto alla costruzione dell'immaginario del cinema italiano. Che sono paradigmi dominati da un lato dall'indiscussa egemonia del comico su tutti gli altri generi e dall'altro da una mai del tutto smentita vocazione anaffettiva nella messinscena dei sentimenti. Il bacio, insomma, è stato vissuto spesso dal nostro cinema o come incompatibile con i registri dominanti e pervasivi del comico o come disturbante epifania di un'affettività che nella maggior parte dei casi generava fastidio e disagio. Detto in altri termini: quando bacia, l'attore comico italiano non può che far slittare il bacio nei territori del grottesco, mentre quando a farlo è l'attore drammatico, tende suo malgrado a far scivolare il bacio dentro i confini del mélo. Si veda, come esempio del primo caso, Carlo Verdone in Manuale d'amore (2005) di Giovanni Veronesi. Alle prese con un'avventura occasionale, in una canonica situazione da pochade, quando bacia lo fa all'eccesso: protende le labbra in avanti, quasi a farne una protesi carnale eccessiva, e invita la sua partner ad afferrarle con le dita, e ad esclamare: "Che bei labbroni!" prima di avvicinare le sue labbra a ventosa su quelle della signora. Per evitare il rischio di annegare il comico nel patetico-sentimentale, il bacio è tutto giocato insomma sul registro dell'eccesso e della dismisura. Nel mélo invece il potenziale turbamento erotico e affettivo legato al bacio è disinnescato dal fatto che il bacio stesso è quasi sempre o proibito o rubato: è espressione cioè di una colpa passata o presente, di un tradimento, di un'infrazione ai codici etici e sociali. Il risultato - si veda ad esempio il bacio di Vittorio Gassman prima sulla spalla nuda e poi sulla bocca di Silvana Mangano in Anna (1952) di Alberto Lattuada - è che anche in questo caso il bacio non produce piacere ma caso mai rimorso, attrito, disorientamento, pentimento e magari anche bisogno di espiazione. Come accade alla contessa veneziana Livia Serpieri (Alida Valli) con i suoi baci all'ufficiale austriaco con cui tradisce la patria e il marito in Senso (1954) di Luchino Visconti: la scena in cui la sua mano inguainata in un elegante guanto nero stringe nervosa la spalla dell'amante che indossa non a caso una divisa bianca, mentre lui si china su di lei e la bacia coprendole interamente il volto e deprivandola quasi della sua identità, è una messinscena efficace e emblematica di un bacio che annienta la donna che vi è coinvolta e in cui il senso di colpa inibisce il piacere. Ma a loro modo proibiti sono buona parte dei più celebri baci del cinema italiano: si pensi anche solo al bacio struggente e sensualissimo che si scambiano Massimo Girotti e Clara Calamai sdraiati sulle rive del Po, mentre la macchina da presa li accarezza con un lento movimento che percorre i loro corpi, in Ossessione (1943) di Luchino Visconti, o ai baci fra Monica Vitti e Gabriele Ferzetti in L'avventura (1960) di Michelangelo Antonioni, così tormentati dal fantasma della fidanzata di lui e amica di lei (Lea Massari) da poco misteriosamente scomparsa tra le rocce e gli scogli di Lisca Bianca, o ancora al bacio furente e rabbioso di Marlon Brando a Maria Schneider nel primo amplesso dei due amanti chiusi nello spazio clandestino - quasi un porto franco del desiderio - dell'appartamento parigino di Rue Jules Verne in Ultimo tango a Parigi (1972) di Bernardo Bertolucci. In tutti questi casi, il bacio nasce sulla spinta del desiderio ma si invischia subito nel fantasma della colpa: è bacio proibito perché illegale, sconveniente, trasgressivo, traditore, eversivo, in ogni caso - quasi sempre - destinato a produrre infelicità negli incauti amanti che non hanno saputo resistere alla tentazione. C'è una venatura moralistica, senza dubbio, in questo modo reiterato di mettere in scena il bacio nel nostro cinema: ma cè 'anche, è bene ribadirlo, una scarsa dimestichezza con l'idea di un amore felice e di un sesso appagato, capaci di svincolarsi dall'idea punitiva del peccato. Forse non è un caso, allora, che il parroco del piccolo paese siciliano in cui si svolge Nuovo cinema Paradiso (1988) di Giuseppe Tornatore eserciti una sistematica censura proprio sulle scene di baci, tagliando con le sue affilate forbici di curato di campagna tutte le pellicole proiettate nella sala cinematografica locale: non solo quindi i baci rapinosi del cinema hollywoodiano, ma anche i baci casti, i dolci baci e le languide carezze di film italiani come La cena delle beffe (1941) di Alessandro Blasetti, La terra trema (1948) di Luchino Visconti, Riso amaro (1949) di Giuseppe De Santis. Il taglio, il vacuum nella proiezione, scatena in genere i boati di disapprovazione del pubblico in sala, ma confinando il bacio nella sfera del non visibile lo ammanta ancor di più di un'aura proibita e peccaminosa. Lo rende cioè ancor più desiderabile.Tanto che il giovane protagonista sceglierà proprio la cabina di proiezione per strappare il primo bacio alla ragazzina di cui è invaghito. E per baciarla dimenticherà di controllare lo scorrimento del rullo con la pellicola nel proiettore e causerà, con la sua distrazione, l'interruzione dello spettacolo: quasi a dire che o si guardano gli altri che si baciano (magari accontentandosi di sperare di vederli baciarsi…), o ci si bacia smettendo di guardare.
di Gianni Canova
Curatore della mostra:
Il Bacio. Tra Romanticismo e Novecento
Pavia - Scuderie del Castello Visconteo
Viale XI Febbraio, 35 - Pavia
Dal 14 febbraio al 2 giugno 2009
Estratto dal testo in catalogo Silvana Editoriale