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Dova, la maturità e il percorso Milano - Galleria Cafiso Arte RACCONTO BRETONE Gianni Dova Attraverso questa breve lirica, Gianni Dova (Roma 1925 - Pisa 1991) rivela il suo modo d’essere o, per meglio dire, il proprio stato esistenziale fatto non solo d’arte oggettiva ma anche di scritti teorici e"letterari". Sembra che nel testo citato l’artista romano, milanese d’adozione, ricordi - forse inconsciamente - le lettere di Vincent Van Gogh al fratello Theo. Per lo meno sotto l’aspetto della tensione emotiva e di quella più propriamente tecnico-pittorica. Entrambi scrivono di colori, di luce, di visioni interiori e di altri "maestri," famosi per Van Gogh, storicizzati e "museificati" per Dova, ma amati da entrambi. Inoltre egli era un tutt’uno con il cosmo - quello spiritualizzato e quello più strettamente artistico. In breve, il pittore fu un panteista nel senso più stretto del termine. Dova da sempre è stato in continuo fermento intellettuale, ma il suo pensiero, così come il suo fare arte, era tutto incentrato sulla commistione "pittura-natura", vale a dire sul rapporto uomo-universo. Si potrebbe fare una lunga lista delle sue varie esperienze espressive. Crediamo non ne sia il caso, chi lo conosce sa che il suo percorso era un perenne investigare il significato della vita in tutte le sue espressioni. Chi invece lo ha soltanto sentito nominare, o di lui ha visto solo alcune delle innumerevoli opere - quadri, ceramiche, serigrafie, sculture -, potrà scoprirlo in una bella retrospettiva presso la galleria "Cafiso Arte" a Milano. Una mostra che intende percorrere, in un tourbillon di immagini, l’avventura artistica di Gianni Dova che qui inizia nei primi anni ’50 tramite alcuni storici dipinti rappresentativi della sua esperienza "nuclearista" - si ricordi che fu tra i primi interpreti, assieme a Bertini, del "Movimento nucleare"- fondato da Enrico Baj e Sergio Dangelo - dal 1951. Una tappa - assieme a quella "spazialista" di Lucio Fontana - per lui fondamentale, come si può trarre da questo suo scritto: "L’universo è buio: noi speriamo, invece, che l’infinito sia azzurro, sia questo cielo di luce pulita senza nuvole, senza confini". Si prosegue poi con gli anni ’70 contraddistinti da un "immaginario" di stampo surrealista e contrassegnati dalla sua possente energia psicologica. Per poi spingersi fino agli ultimi manufatti degli anni ’80, i cui soggetti sono prettamente inerenti alla tematica "floreale", con composizioni incentrate su giardini e paesaggi. Quest’ultima fase della lunga attività dell’artefice costituisce il fulcro della rassegna intitolata, non a caso, Dova, la maturità e il percorso. L’esposizione però non scorda di esplorare i passaggi intermedi: le iniziali esperienze "concretiste", o per meglio intendersi "cubiste", la fase "materica," e ancora gli anni ’60 in cui Dova, dialogando con i mostri sacri Ernst e Lam, interpretava il suo fare arte con metafore di intenso accento d’organicità, articolata ancora una volta in figurazioni parasurreali. A fare da contraltare gli inizi degli anni ’70, quando ci fu una fase di studi in cui l’immagine tese alla rarefazione acquistando evidenza pressoché totemica, ma pur sempre tendente all’onirico. E infine si torna - come nel lungo peregrinare, non solo artistico, del pittore - agli anni ’80, dove vi fu una fase "magica" nella sua produzione. Qui è la Natura a farla da padrona, quasi che, presagendo la propria dipartita in piena maturazione "estetica" - Dova morirà, infatti, una decina di anni dopo -, la sua infinita e appassionante vicenda creativa dovesse, infine, concludersi in una "condizione appunto come d’immersione in una fascinosa medianità sostanzialmente d’accento naturale", come rileva nel bel catalogo Enrico Crispolti. Informazioni: Articolo pubblicato il 17 giugno 2005 |