Mediterraneo. Da Courbet a Monet a Matisse
Genova - Palazzo Ducale
Dal 27 novembre 2010 al 1 maggio 2011
Dipingere il mare, la sua vastità, l'idea che dell'infinito e tuttavia anche della prossimità vi s'inscrive, è cosa che nel XIX secolo assume una rilevanza difficilmente dimenticabile. Se a nord sono le visioni fortemente spirituali di Friedrich o le tempeste baluginanti e magmatiche di Turner, a sud la costa del Mediterraneo, e naturalmente il suo immediato entroterra provenzale, è il punto d'incontro di più generazioni di pittori francesi, sicuramente cinque, che dall'ambito del classicismo prima e del realismo poi, si tendono fino alla dissoluzione del colore nella materia mirabile di Bonnard quasi al confine con la metà del XX secolo.
La mostra di Palazzo Ducale vuole studiare, facendo ricorso a circa 80 dipinti
provenienti da musei e collezioni di tutto il mondo, questo itinerario magico
dentro il colore, che a Van Gogh fece così scrivere: «Colore cangiante, non sai
mai se sia verde o viola, non sai mai se sia azzurro, perché il secondo dopo il
riflesso cangiante ha assunto una tinta rosa o grigia.» Eppure la costa del
Mediterraneo francese si impose con notevole ritardo nella percezione che i
pittori avevano del paesaggio in quell'inizio di XIX secolo, proprio nel
momento in cui Pierre-Henri de Valenciennes pubblicava il suo celebre trattato
sulla rappresentazione della natura. Perdurava l'idea che la nozione del
Mediterraneo fosse stretta al senso dell'antichità e in primo luogo alla
romanità. Per cui il riferimento alla coste italiane, quali luoghi deputati di
questo riandare all'antico, dominava la pittura.
Un contributo fondamentale a un primo cambiamento, dopo i vasti quadri
settecenteschi con la città e il porto di Tolone di Joseph Vernet prestati dal Louvre
e poi quelli di Robert e Constantin a Valchiusa da cui la mostra prende le
mosse, venne da Gustave Courbet, che nel piccolo villaggio di pescatori di Palavas,
a sud di Montpellier, dipinse alcuni dei suoi capolavori. In mostra ve ne sono
almeno un paio, a sancire il drastico cambiamento di rotta che pone l'uomo, o
il suo essere assente, davanti alla grandezza del mare. A questo tempo del
realismo si possono certamente ascrivere anche le opere di Félix Ziem e di Émile
Loubon, con i loro quadri realizzati attorno a Marsiglia, Antibes e Nizza. Così
come quelli di Paul Guigou e Adolphe Monticelli. La cosiddetta scuola di
Marsiglia che si staglia a metà secolo con la volontà di descrivere il reale
con tutta la sua forza di presentazione e dichiarazione.
A questo primo tempo della mostra ne succede un secondo, quello in cui alcuni
grandi dell'impressionismo danno conto, in molti quadri sublimi, delle loro
visite, o lunghi soggiorni, in Provenza e lungo la costa del Mediterraneo. Da Cézanne
a Monet, da Renoir a Boudin a Van Gogh. Cézanne che dalla fine degli anni
sessanta coltiva quello spazio, sia esso il mare o il bosco, come la nascita di
una continua, sempre nuova bellezza. Renoir che proprio vicino a Cézanne
dipinge, nel 1882, scorci bellissimi di natura all'Estaque. E in mostra a
Palazzo Ducale vi sono due capolavori realizzati proprio da Cézanne e Renoir
all'inizio del 1882, quando il secondo lascia la Sicilia per raggiungere all'Estaque
Cézanne che dipinge. E giunto da poco lì realizza, fianco a fianco all'amico
pittore, il cavalletto fissato un po' più in basso rispetto all'altro, forse il
quadro più cézanniano della sua storia e certamente uno dei più bei paesaggi
tra i suoi. Inquadrando la piccola valle, le rocce e il cielo mentre Cézanne,
un poco più su, scavalca con lo sguardo le rocce stesse, inquadrando l'azzurra
e non scalfibile distesa del mare.
E ancora i due soggiorni di Monet, presente con una decina di opere, nel 1884 a
Bordighera e nel 1888 ad Antibes, quando il mare è come un tappeto di pietre
preziose. O Boudin, che solo pochi anni dopo rincorre la scia di Monet davanti
al Forte di Antibes, aprendosi a una visione che torna quasi vicina a quella
della realtà di Courbet. E poi i due anni provenzali di Van Gogh, tra i primi
mandorli fioriti e i campi di grano. Ognuno di questi pittori approfondisce il
suo mondo, nell'inesausto cammino tra il colore e la costruzione con il colore.
Anni cui seguono quelli del post impressionismo, che hanno soprattutto in Signac
tra Saint-Tropez e Antibes la loro punta di diamante. Ma anche Van Rijsselberghe,
Cross, Valtat, Guillaumin, Manguin, Camoin solo per dire di alcuni. E dentro
una luce precipuamente francese stanno quei quadri che Edvard Munch dipinse a
Nizza, nel corso di un periodo di convalescenza, tra 1891 e 1892, quadri quasi
tutti in mano privata. Da farci comprendere come l'impatto con la luce del
Mediterraneo non sia invano per nessuno, solo se consideriamo che Munch, quando
scende a Nizza, è già diventato il Munch che tutti abbiamo in mente. E pur
tuttavia la pressione della luce e del colore sulla sua pittura non lo lasciano
mai indifferente.
La sezione dedicata alla pittura dei Fauves è certamente significativa, con
quadri di autori quali Matisse, Derain, Marquet, Braque, Friesz, Dufy, in quel
loro indicare come il Mediterraneo, soltanto pochi decenni dopo, sia cosa ormai
completamente diversa rispetto alle visioni di Courbet. Già pienamente dentro
la modernità di un secolo che si veniva appena aprendo. E semmai chiudendo
dentro ampie zone di colore quella che era stata la dispersione del colore di Monet
sul mare davanti ad Antibes nel 1888.
E poi nella regione provenzale, e sulle rive del Mediterraneo, la presenza, a
XX secolo ampiamente iniziato, di Felix Vallotton, Chaïme Soutine e Pierre Bonnard,
il pittore che più di ogni altro ha saputo consegnare la strabiliante lezione
di Monet al secolo nuovo. Nella partecipazione che il colore fa dello spazio e
del tempo. Nel rendere quello spazio e quel tempo realtà solo della pittura. Dove
non è più la descrizione dei luoghi mediterranei e provenzali, ma piuttosto la
dimensione della visione ininterrotta.