Arte & dintorni. Beni Culturali e corruzione.
Restauri puliti e restauri sporchi - Intervista a Fabiano Ferrucci
di Marcello Mottola
Il fenomeno delle mazzette è diffuso anche nel settore dei beni culturali, ma sembra interessare poco i media. E' recente la notizia di una mini-tangentopoli del restauro tutta campana, con a capo nientedimeno che il soprintendente del Ministero dei Beni e Attività Culturali Enrico Guglielmo (prima soprintendente per i beni architettonici di Napoli e successivamente soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici delle province di Caserta e Benevento).
Enrico Guglielmo, che doveva svolgere le funzioni di controllo sui beni del
patrimonio culturale, è stato arrestato nel Luglio 2009 dal Nucleo di polizia
tributaria della Guardia di Finanza di Napoli, con accuse gravissime per reati
di associazione a delinquere, corruzione e turbativa d'asta.
Dalle indagini è emerso che, dal 2003 al 2007, Guglielmo ha sistematicamente
favorito nell'aggiudicazione degli appalti un cartello di imprese specializzate
nel settore dei beni culturali legate a Luigi Lucci. Risulterebbero così
pilotate le gare per il restauro e la valorizzazione del Castello di Baia (per
un importo di oltre 12 milioni di euro); quella del Reale Albergo dei Poveri di
Napoli e l'appalto per il sito reale borbonico di Portici; ma anche gli
incarichi professionali per Palazzo Reale e per il teatro San Carlo, gli
incarichi per gli allestimenti del castello di Baia ed il progetto per la
valorizzazione storico culturale delle aree dei comuni di Bacoli, Quarto e
Monte di Procida.
A Fabiano Ferrucci, docente di Restauro presso l'Università degli Studi di Urbino
"Carlo Bo'", restauratore con oltre vent'anni d'esperienza nel
campo, poniamo alcune domande.
Si può parlare di una tangentopoli dei restauri, di una
"restauropoli"?
A partire dal 1994, ovvero dall'emanazione della Legge Quadro sui lavori
pubblici, detta legge Merloni, il restauro di dipinti, sculture, libri e di ogni
tipologia di opera d'arte, è stato assimilato ai lavori edili. Le imprese edili
sono travasate in questo settore specialistico e non c'è da meravigliarsi che i
vizi endemici di quel mondo ce li ritroviamo, oggi, anche nei beni culturali.
Quale aggravante, va considerato che attualmente il principio di trasparenza
che ha ispirato la Legge Merloni si è molto affievolito. Bisogna ricordare che la
Merloni nacque come reazione a Tangentopoli, per contrastare la prassi
clientelare che aveva generato connivenze tra imprese esecutrici, funzionari
pubblici ed esponenti di partito.
Purtroppo siamo un paese dalla memoria corta ed oggi siamo tornati a meccanismi
di affidamento discrezionale; meccanismi che nelle mani sbagliate diventano
facili strumenti per truccare le gare.
Parlare però di una restauropoli mi sembra eccessivo. Il problema della
corruzione nel settore del restauro non ha mai superato il livello dei
funzionari. Alla classe politica il restauro delle opere d'arte non interessa
un gran che, poiché le cifre del settore non sono poi così imponenti. Sono
certamente più accattivanti settori come la sanità o le infrastrutture,
rispetto ai beni culturali.
E' ormai sempre più diffusa l'opinione che le gare nel settore dei restauri
le vincano sempre le stesse imprese. Ma è così facile truccare le gare?
La legge è fatta in modo da lasciare ampi spazi di manovra a chi ha pochi
scrupoli. Uno dei sistemi che si sta maggiormente diffondendo per selezionare
le imprese a cui affidare i lavori di restauro si chiama "offerta
economicamente più vantaggiosa". E' decisamente pericoloso. Lascia alla
discrezione della stazione appaltante "valutare uno o più degli aspetti
qualitativi dell'offerta che concorrano, insieme al prezzo, all'individuazione
della soluzione più idonea a soddisfare l'interesse sotteso all'indizione della
gara". (Art. 81, comma 1, del decreto legislativo n. 163/2006).
Come funziona?
Chi redige il bando di gara stabilisce alcuni elementi di valutazione. Ogni
impresa, oltre ad una riduzione del prezzo di perizia, propone migliorie al
progetto ("ulteriori molteplici elementi ritenuti adeguati, in relazione
all'oggetto dell'appalto)". La commissione di gara valuta quindi le
offerte e, in relazione ai parametri stabiliti nel bando, assegna punteggi, il
tutto in base al suo "insindacabile giudizio"; chi raggiunge il
massimo punteggio si aggiudica il lavoro.
Sembrerebbe un metodo dettato da un giusto fine, ovvero selezionare la
migliore offerta non solo attraverso il valore dell'elemento prezzo, ma anche
dell'offerta tecnica. Cosa c'è che non va?
Di fatto il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa si presta
a situazioni di non trasparenza. L'eccessiva discrezionalità nella scelta dei
parametri da indicare nel bando permette di "ritagliare" la gara a
misura di una specifica impresa per poi fargliela vincere a norma di legge.
Immagini un capo d'abbigliamento confezionato per star bene ad una certa
persona; un paio di scarpe ad esempio. La commissione fa la prova della
"scarpetta di Cenerentola", e guarda caso proprio Cenerentola vince
la gara e si trasforma ... in principessa. Il parallelo è ironico ma il
problema è reale, tanto che l'Autorità di Vigilanza per i Lavori pubblici si è
già dovuta esprimere con alcune determinazioni per limitare questi
"eccessi di discrezionalità".
Quindi gare con la formula dell'"offerta economicamente più
vantaggiosa", cioè le gare "a punti", sono truccate?
Non sempre. Molte sono istruite ed espletate correttamente. La normativa è
tale che chi istruisce la gara d'appalto può agire in modo pulito, se è una
persona onesta, ma può anche truccarla, se il suo livello di moralità è basso.
Dietro ad ogni procedimento burocratico ci sono esseri umani. Dipende tutto
dalla moralità del responsabile del procedimento e dei componenti la
commissione di gara.
Ma l'offerta economicamente più vantaggiosa non è l'unico sistema possibile?
La normativa permette di scegliere il criterio di aggiudicazione. I criteri
più limpidi sono quelli matematici, quelli più torbidi sono quelli
discrezionali, dove la commissione attribuisce giudizi in base a valutazioni
insindacabili.
Però anche valutare solo lo sconto economico offerto è rischioso?
Se si applica il massimo ribasso, certamente sì. E' un metodo brutale. Il
criterio di aggiudicazione al massimo ribasso porta all'affidamento di restauri
con sconti improponibili, che arrivano anche al quaranta per cento. Veri e
propri saldi, fatti sulle pelle delle opere d'arte degli operatori seri.
Il sistema di aggiudicazione al massimo ribasso, soprattutto in tempo di crisi,
spinge le imprese ad oltrepassare ogni ragionevole limite, a discapito della
qualità del lavoro e della sicurezza, mettendo a rischio, in ultima analisi, le
opere d'arte stesse.
Per tale motivo non possono esimersi da essere chiamati in causa anche gli
organi di tutela, poiché la scelta del criterio di aggiudicazione condiziona
inevitabilmente la qualità degli interventi richiesti. Non è solo un problema
di mercato degli appalti pubblici, ma è in primis un problema di salvaguardia
del patrimonio culturale.
L'impresa che si aggiudica la gara non ci rimette ad eseguire i lavori con
sconti del 40 percento?
Prima ancora di partecipare alla gara l'imprese disonesta sa già che
riuscirà, tra riserve e varianti, a far lievitare i costi. Grazie alle connivenze
tra chi dovrebbe controllare e chi dovrebbe essere controllato, sa che
rientrerà di quel ribasso spropositato.
Ma qual è allora la soluzione per uscire da un'impasse del criterio del
massimo ribasso? Quali sono i criteri matematici limpidi di cui parla?
La soluzione è quella della "media". Il sistema per evitare il
rischio di lavori mal fatti ed estromettere le imprese cialtrone è quella di
escludere automaticamente le offerte anomale, cioè troppo alte o troppo basse
(facoltà prevista all'articolo 122, comma 9 del Decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 163 - esclusione automatica delle offerte anomale). Secondo questo
criterio, messe da parte le offerte eccessive, viene individuata una media tra
le offerte rimanenti, ed il lavoro è affidato all'impresa che più si è
avvicinata alla media stabilita. E' un sistema matematico, limpido, già
adottato in larga misura dalle Soprintendenze del Ministero dei Beni Culturali
ed ampiamente utilizzato per l'affidamenti dei lavori specialistici di
restauro.
Quali sono i limiti della "media con il taglio delle ali"?
Il criterio di aggiudicazione con l'esclusione automatica dalla gara delle
offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia
di anomalia è, per legge, applicabile solo per i lavori d'importo inferiore o
pari a 1 milione di euro. Ma questo è raramente un problema, poiché le gare di
restauro specialistico sopra quell'importo sono sporadiche.
Un altro pericolo è la turbativa d'asta. Se buona parte delle imprese che
partecipano si mettono d'accordo possono "turbare la gara", e farla
vincere ad un'impresa del proprio "cartello", poiché la media deriva
dalle percentuali di ribasso stabilite dalle stesse imprese. Ma è semplice
ovviare a questo rischio, che peraltro c'è solo nelle gare ad invito che hanno
un numero circoscritto di partecipanti. Basta infatti che il R.U.P.
(responsabile unico del procedimento) inviti molte imprese (e non il numero
minimo di legge, come spesso accade).
Il metodo della "media con il taglio delle ali" è certamente quello
che meno si presta a "manipolazioni". Per questo, forse, è quello che
negli ultimi tempi corre il rischio di sparire per lasciare infelicemente il
posto all'"offerta economicamente più vantaggiosa".