Parigi. Gli anni meravigliosi. Impressionismo contro Salon
Rimini - Castel Sismondo
Dal 23 ottobre 2010 al 27 marzo 2011
Mentre Bouguereau e i suoi amici imperversavano al Salon parigino, all'inizio degli anni sessanta del XIX secolo, quattro giovani pittori allora quasi sconosciuti, e tutti più o meno transitati dall'atelier di Charles Gleyre, cominciavano la loro lunga strada che li avrebbe portati a modificare profondamente il senso della pittura in Francia e in Europa nel decennio successivo. Sentivano forte la scossa nuova che alla pittura era venuta da Corot e Courbet da un lato e Manet dall'altro. Sentivano il corpo vivo e vero della natura davanti ai loro occhi, la luce e il colore trasmettersi in modo diverso.
Entro la misura di un'evocazione che non doveva più garantire il riferimento a
quella sorta di coreografia storica che per primi gli artisti di Barbizon
avevano mostrato di voler scardinare. Ma non era soltanto un discorso, certo
per immagini, rivolto al paesaggio, perché tutti e tre quei pittori avevano
indicato con forza come l'impatto della realtà sullo sguardo radicalmente
modificava anche l'immagine di un volto, di un corpo, di una figura.
Quando William Adolphe Bouguereau presenta, al Salon del 1864, con il numero di
catalogo 217, la sua grande Bagnante (oggi al Museo di Gand e presente in questa
esposizione), non fa altro che tener viva quella lezione raffaellesca che egli
aveva portato all'estremo limite di una lisciatura di pelle quasi diafana,
apparentemente immobile e priva di vita nella sua perfezione. E che nell'essere
addirittura troppo perfetta, tendeva alla cimiterialità. Nei medesimi anni, da
un altro spalto di storia nella stessa Parigi di Bouguereau, Edouard Manet
dipinge un'ampia tela che nell'essere identica quanto a soggetto rappresentato,
se ne distanzia fino ad apparire come la nascita definitiva di un nuovo mondo
della pittura, che per lungo tempo però si sviluppa parallelamente all'arte del
Salon. Le Bagnanti sulla Senna, nel loro essere laica, laicissima
rappresentazione di un corpo, e sua ostensione su un ricciolo di fiume dai
tenui fumi colorati quasi tizianeschi, nascono a quella inedita pittura come
rappresentazione del visibile e del veduto (Antonin Proust che ci racconta come
Manet scrutasse, lungo la Senna ad Argenteuil, donne che uscivano dall'acqua,
per farne infine un grande nudo) e come impatto vivido e poetico della
quotidianità. La bagnante non era più, come in Bouguereau, icona di una
staticità che proveniva dal mondo della statuaria quasi. E in questo senso un
utile parallelo potrebbe essere fatto con Jean-Baptiste-Paul Cabet e per
esempio la sua versione di Susanna al bagno esposta al Salon del 1861. La
bagnante era invece per Manet parte viva del mondo, e la sua pelle non più
diafana ammetteva il peso della vita.
E mentre Manet compiva questi passi di una sconvolgente modernità, i quattro
giovani pittori venivano nominati come école du plein-air. Scuola senza
esserlo, come si vedrà in seguito e anche molto bene in questa mostra. Ma
Pissarro, Monet, Renoir e Sisley cominciavano a dare al paesaggio un volto nuovo,
percorso senza sosta dalla forza della luce e del vento che spettina le nuvole.
Che faceva del colore un punto di inarrivabile consistenza, rovesciando in
questo modo il ruolo anche dell'ombra. E al principio del decennio successivo,
quando venne preparandosi la prima delle otto rassegne impressioniste, i
piccoli villaggi attorno a Parigi furono il teatro, vibrante quant'altri mai,
di una devozione totale alla luce e al colore. I nomi di quei villaggi sono
passati alla storia della pittura, da Argenteuil a Louveciennes, da Marly a
Pontoise. Essi sono come parole incise una volta per sempre, perché la visione
della natura, sotto l'impulso soprattutto di Monet, vi mutò in maniera piena e
totale. Non si trattava più d'inventare un mondo, quanto piuttosto di guardarlo,
amarlo, farlo proprio. La visione diventava ciò che l'occhio fisico comunicava
all'occhio interiore.
Eppure la storia del Salon, più che non si creda, è storia anche di
partecipazioni da parte di tutti i giovani pittori impressionisti, che ovviamente
vedevano in quel luogo lo spazio per una possibile affermazione. Pur
contraddicendo con le loro opere il senso di una stucchevole musealizzazione.
Ma per esempio Bazille, a proposito di un suo quadro accettato al Salon del
1870, non riesce a trattenere l'entusiasmo: «Tutto il mondo lo vede e ne parla.
Molti ne dicono più male che bene, ma insomma sono lanciato.»
E la mostra di Rimini vuole indagare, per la prima volta in Italia, e facendo
ricorso a circa novanta opere provenienti da musei e collezioni di tutto il
mondo, proprio questo capitolo affascinante, quando il nuovo giunge e un grande
muro viene opposto a quel giungere. Ma anche quando attraverso quel muro, il
muro del Salon, passa il fascino che accende e accompagna la dimensione della
pittura. Non a caso Frédéric Chevalier, in un articolo sul Salon del 1877 per
la rivista «L'Artiste», e intitolato significativamente L'impressionismo al
“Salon”, dopo avere compiuto un paragone con quanto Giorgione a Venezia e
Correggio a Parma fecero per svecchiare «la severità dello stile alto», così
prosegue: «L'impressionismo ha finito per entrare al Salon ufficiale. Da questo
punto di vista, analizzando non per partito preso le opere dei diversi artisti
contemporanei, ci si rende conto della sua importanza entro il movimento
naturalista dei giorni nostri e si dà il giusto valore agli elementi di
rinnovamento che esso contiene.»
Non sarà del resto inutile ricordare come, ovviamente al di là di Manet, al
Salon siano stati a più riprese accettati Monet e Pissarro, Sisley e Degas,
Bazille e Renoir, Cézanne e Guillaumin, Morisot e Fantin-Latour, solo per dire
dei principali artisti più o meno riconducibili all'impressionismo e tutti
presenti in questa mostra, anche con opere precisamente esposte nei Salon o
rifiutate nella loro partecipazione. Tra gli altri, soprattutto Corot e
Daubigny dalla Giuria ufficiale del Salon, spingevano affinché i rappresentanti
della giovane pittura francese fossero accolti tra le alte cimase.
La mostra quindi, articolandosi in tre sezioni di carattere tematico (la prima
Volto, corpo e figure, la seconda Nature sospese, la terza Lo specchio della
natura) pone a confronto sui medesimi soggetti i pittori del Salon con gli
impressionisti e prima di loro gli artisti legati a Barbizon. E lo fa anche
dopo una lunga ricerca di opere sparse in molti musei francesi di provincia,
che detengono dipinti, talvolta di grande formato, dei pittori legati al mondo
ufficiale e che mai si vedono nelle mostre. Di modo che quello che alla fine
risulti sia un vero capitolo della storia artistica in Francia nella seconda
metà del XIX secolo.
Perché l'esposizione tocca proprio questo periodo, con il suo punto d'avvio
però legato a un famoso quadro di Ingres del 1800. Dipinto nel dicembre del
1800, dunque da un Ingres appena ventenne, il Torso maschile rappresenta,
secondo le parole di Vincent Pomarede, «un approccio realista e sensuale al
corpo umano, unito a un lavoro raffinato sulla luce e sul modellato e a una
perfetta sapienza di tocco. E già a questo punto traspare la sua idea
successiva sulla realizzazione del corpo, che rifiuta i principi dell'anatomia
a favore della naïveté e dell'impressione suscitata dal modello.» Questo
precoce dipinto, concesso in prestito dall'École nationale supérieure des
beaux-arts di Parigi, e che proprio per le ragioni di immediata modernità
addotte da Pomarede aprirà la rassegna riminese, entro i dettami dell'Accademia
ma già aperto con lo sguardo sul futuro, venne realizzato da Ingres per
partecipare, come in uso tra gli allievi dell'Accademia, al concorso denominato
della “demi-figure peinte”. Tradizionalmente chiamato “Prix du torse”, venne
creato nel 1784 da Maurice Quentin de La Tour. Nell'edizione del 1800, Ingres
colse il primo premio, che gli venne consegnato il 2 febbraio 1801.
Ingres che rappresenterà per molti, nel campo della figura e del nudo da Gérôme
a Bouguereau e da Dugasseau a Cabanel come ben si vedrà a Rimini, il
fondamentale, e certamente ineludibile, riferimento. Fino a quel celeberrimo
dipinto di Bazille, uno dei caposaldi del nascente impressionismo, La Toilette,
rifiutato al Salon del 1870 e che chiude la parte dei nudi nella mostra di
Castel Sismondo.
Questa prima, foltissima sezione ha molti altri punti di forza. Dai corpi sacri
distesi da Henner a Bonnat, nella luce fosca di una rivelazione fortemente
spirituale e sofferta, fino ai veri e propri ritratti, che da rappresentanti
del Salon come Delaunay e Baudry, Bonnat e Carolus-Duran, Bertrand e Couture,
attraverso il sublime passaggio di Corot e Courbet, tra l'altro con quel suo
capolavoro indiscusso che è La filatrice addormentata del 1853, giunge alla
strabiliante stagione impressionista con Manet e Degas, Fantin-Latour e Renoir,
Cézanne, Caillebotte, Morisot, Bazille e Gauguin fino alla scultura di Rodin. E
infine da non dimenticare la sosta su alcuni autoritratti, da Ingres a
Fantin-Latour e Guillaumin.
La seconda sezione, dedicata al tema della natura morta, lavorando ancora sul
confronto tra gli artisti del Salon e gli impressionisti, così collocati in una
continuità sulla parete e sul puntuale raffronto, affianca il principale
pittore accademico di natura morta, Bonvin, con una notissima natura morta di
Bazille. O sul tema dei fiori, Maisiat e Benner a Fantin-Latour e Renoir, a
Pissarro e Gauguin, assieme a nature morte di frutta e oggetti di Manet e
ancora Renoir, Monet e Cézanne, entro i confini di un genere che pur meno
frequentato dagli impressionisti non ha mancato di manifestarsi in molti
dipinti splendidi.
Perché certamente il trionfo di quella che venne definita la Nouvelle peinture,
si celebra nella terza e ultima sezione della mostra, dedicata al paesaggio.
Con uno stacco perfino esagerato se si considera la pittura classica di
paesaggio in Francia nel corso del XIX secolo e soprattutto la sua prima metà,
ma certamente con un solco che resta ampio anche nella seconda parte del
secolo. Rousseau, Courbet, Millet, Daubigny, Chintreuil, Boudin ma soprattutto
Corot rappresentano, con ogni evidenza, il punto di passaggio tra un prima e un
poi e su questo l'esposizione farà la sua opportuna sosta, considerando anche
quanto pittori neo-naturalisti o di Salon come Laurens e Busson, Ségé e
Couture, Lepic e Carolus-Duran, Bastien-Lepage e Lhermitte, realizzano sul tema
dello sguardo sulla natura.
Anche qui nel confronto dapprima con i precoci paesaggi impressionisti degli
anni sessanta dell'Ottocento, come per esempio il grande quadro di Sisley del
1867, ed esposto al Salon di quell'anno, Il sentiero dei castagni a la
Celle-Saint-Cloud, o certe vedute di villaggi in Normandia realizzate da Monet
tra l'altro a Honfleur a metà di quel decennio, ma poi prendendo l'avvio quella
strabiliante stagione, gli anni settanta, che sono il pieno e autentico tempo
dell'impressionismo. Con Monet, presente in tutto con una quindicina di opere,
ovviamente al centro della scena, nel suo transito da Argenteuil a Vétheuil. E
accanto a lui le opere di Pissarro e Sisley, di Cézanne e Renoir, Guillaumin e
Morisot, Gauguin e Van Gogh. I dipinti poi di Monet negli anni ottanta, e ugualmente
compresi nella mostra, portano verso quel secondo tempo dell'impressionismo che
ne genererà la crisi e una forte modificazione. Quando lo stesso Monet,
all'apparire sulla scena di Seurat, leggermente imiterà il suo procedere. Ma
quella diventerà un'altra vicenda, sul cui limitare questa mostra s'arresta.