La mostra avrà la sua sede nella Sala delle Asse che conserva affreschi di
Leonardo. La decorazione pittorica della volta, commissionata da Ludovico il
Moro, fu progettata dal Maestro fiorentino che ideò un complesso e originale
sistema decorativo formato dai rami fioriti e fittamente intrecciati di sedici
alberi, ai quali si annoda, con un gioco prezioso, una corda d'oro. La
splendida composizione naturalistica, giunta a noi in condizioni non ottimali,
racchiude in sé profondi significati simbolici e indicazioni politiche, nonché
di encomio nei confronti del principe.
In contemporanea con la mostra, sarà allestito un percorso visivo che partendo
da via Mercanti e passando per via Dante, conduce al Castello. Una sorta di
pagina introduttiva al momento centrale allestito nella Sala delle Asse, in
grado di evocare il clima e l’atmosfera culturale della Milano sforzesca. Cento
pannelli guideranno il pubblico dei passanti alla conoscenza del maestro e, in
particolare, alla sua attività milanese e ai segreti nascosti nei suoi codici.
Il cammino, composto da immagini, testi e citazioni, è ricco di suggestioni che
si dispiegano come un “filmato” sull’opera del grande genio. I pannelli
racconteranno i codici e il loro contenuto ma anche le opere, i luoghi e i
rapporti di Leonardo con la città: i Navigli, i progetti per Milano, l’avventura
del Cenacolo, i dipinti e la committenza di Ludovico il Moro. La sezione del
percorso in via Mercanti dedicata agli studi di Leonardo sui Navigli è
realizzata in collaborazione con Navigli Lombardi e con il Museo Nazionale
della Scienza e della Tecnologia ‘Leonardo da Vinci’ di Milano Electa
pubblicherà il catalogo (con allegato Cd Rom) ed è anche partner nella
produzione dell’itinerario in via Dante dal titolo “Il Codice svelato”.
Il “Libretto d’appunti” autografo di Leonardo da Vinci Codice Trivulziano n°
2162
Giovanni M. Piazza, Curatore della mostra
Il codice Trivulziano, insieme al manoscritto B conservato a Parigi dall’Institut
de France, è il primo dei libri cui Leonardo, dopo la sua venuta a Milano
(1482) mette mano. I fascicoli del Trivulziano, che egli usò sciolti, a fogli
non ancora cuciti, accolsero note e disegni almeno tra il 1487 e il 1490, date
cui sono sicuramente riferibili i disegni relativi al tiburio del Duomo, e
probabilmente anche prima: i disegni connessi con i progetti di riforma
urbanistica di Milano sono stati collegati alla pestilenza che colpì la città
nel 1484-85, la nota e il disegno sull’eclissi di sole potrebbero riguardare
quella verificatasi il 16 marzo 1485. Il termine oltre il quale non si può
risalire è comunque il 1483, anno di pubblicazione dell’edizione veronese del
testo di Roberto Valturio volgarizzato da Girolamo Ramusio, fonte principalissima
del codice Trivulziano (e del contemporaneo manoscritto B).
Elemento che tra tutti i manoscritti di Leonardo caratterizza il codice Trivulziano
sono le liste di vocaboli, cervelloticamente considerate nell’800 il primo
esperimento di vocabolario della lingua italiana. Sono invece la testimonianza
più netta del suo lavoro quotidiano per impadronirsi degli strumenti, prima di
tutto quelli linguistici, propri dei “letterati”, necessari ad affermare la
piena dignità scientifica del lavoro degli sperimentatori, anche “sanza
lettere”, così da superare, se non ribaltare, il rapporto gerarchico (culturale
ma anche sociale) tra le arti “belle”, arti liberali, e le arti meccaniche la
cui cultura poliedrica e sperimentale nasceva nelle botteghe d’arte medievali e
rinascimentali, come quella del Verrocchio nella quale Leonardo era stato
iniziato.
Con il suo testamento dettato ad Amboise il 23 aprile 1519 Leonardo aveva
lasciato erede delle sue carte e dei suoi libri il discepolo Francesco Melzi,
che dopo la morte del Maestro, seguita nella stessa Amboise il 2 maggio
seguente, tornò in patria probabilmente entro il 1520, portando con sé nella
villa di famiglia a Vaprio d’Adda i fogli e i manoscritti ereditati, tra i
quali il codice Trivulziano, avendone a cuore l’ordinamento, come dimostrano le
sigle da lui apposte, e studiandoli per i temi che gli interessavano (si vedano
per esempio i contrassegni da lui apposti ai passi destinati al Trattato della
pittura). Morendo (nel 1570) Francesco Melzi lasciò i suoi beni al figlio
terzogenito Orazio, che a differenza del padre non si curò affatto delle
preziose carte che finirono in casse nei solai della villa, trascurate al punto
che nella primavera del 1587 il precettore dei giovani Melzi, Lelio Gavardi di Asola,
prevosto di S. Zeno a Pavia, si impossessò di 13 manoscritti, con l’intenzione
di venderli al granduca di Toscana Francesco Maria de’ Medici. Le trattative
per la cessione, iniziate a Firenze alla fine del maggio 1587, si interruppero
per la morte del Medici. Il Gavardi, sulla via del ritorno, incontrò a Pisa il
milanese Giovanni Ambrogio Mazzenta (le cui Memorie, non del tutto attendibili,
rievocano questi fatti) che lo convinse a restituire ai Melzi i manoscritti
sottratti, incaricandosi lui stesso della restituzione. Quando però il revisione
21/02/02 ( 2 ) Mazzenta, nel giugno 1588, si presentò a Vaprio con i libri,
Orazio Melzi rifiutò di riprenderseli, avendo già la casa piena di carte del
genere. Il Mazzenta li donò allora ai propri due fratelli, Guido, che ne ebbe
sei, e Alessandro, cui toccarono gli altri sette.
La notizia della generosità di Orazio Melzi indusse molti a chiedergli in dono
carte e libri leonardiani; il più insistente, Pompeo Leoni, «scultore aulico»
di Filippo II, promettendo al Melzi i favori e gli onori della corte di Madrid
(compresa la nomina al Senato milanese), ottenne, insieme ad altri fogli
sciolti e libri, anche i sette manoscritti già passati ad Alessandro Mazzenta e
da questi restituiti al Melzi, e più tardi tre di quelli di Guido . Anche il Trivulziano
fu tra i codici che dalla collezione Melzi passarono a quella del Leoni: divisa
tra Milano (nel palazzo di via degli Omenoni) e Madrid, questa dovette alla
fine comprendere, oltre ai moltissimi fogli sciolti che formarono il Codice
Atlantico e la raccolta oggi a Windsor, anche tutti i manoscritti di Leonardo
in forma di libro ad eccezione dei manoscritti C e D.
Dopo la morte di Pompeo Leoni (Madrid, 1608), e dopo lunghe e complesse vicende
ereditarie, le carte e i libri di Leonardo finirono in possesso del genero di
Pompeo, il milanese Polidoro Calchi, dal quale furono, alcuni se non tutti,
venduti (1622) al conte Galeazzo Arconati (il cui figlio, Francesco Maria, si
servì dei manoscritti leonardeschi per compilare il trattato Del moto e misura
delle acque). L’Arconati possedeva almeno undici manoscritti leonardiani,
compreso il Trivulziano, tanti essendo quelli che, con atto rogato a Milano il
21 gennaio 1637 dal notaio Matteo della Croce, donò alla Biblioteca Ambrosiana.
Una clausola della donazione riservava al donatore il diritto di asportare i
manoscritti dalla Biblioteca quando volesse più agevolmente studiarli. A quanto
sembra, l’Arconati si valse di questo suo diritto per riprendere il Trivulziano,
che dovette poi sostituire con un altro autografo non ancora identificato
(forse, ma non è certo, il manoscritto D) dal momento che il numero dei codici leonardeschi
in Ambrosiana rimase invariato. Il Trivulziano scomparve quindi per più di un
secolo, fino a quando lo ritroviamo in possesso di don Carlo Trivulzio.
Nel fascicoletto di note che don Carlo Trivulzio premise, com’era sua abitudine
fare con i manoscritti in suo possesso, al codice leonardesco, si legge tra l’altro:
«1783, 5 gennaro. Questo codicetto di Leonardo da Vinci era del signor don
Gaetano Caccia cavaliere novarese ma domiciliato in Milano, morto l’anno 1752 alli
9 di gennaro sotto la parocchia di S. Damianino la Scala. Io Carlo Trivulzi l’aquistai
dal detto cavaliere intorno l’anno 1750, unitamente a un quinario d’oro di
Giulio Maioriano [don Carlo indica così una moneta, abbastanza rara e che oggi
sarebbe dai numismatici definita un tremisse, dell’imperatore d’Occidente dal
457 al 461, Giulio Valerio Maggioriano], e a qualche altra cosa che più non mi
ricordo, dandoli in cambio un orologio d’argento di ripetizione che io due anni
avanti avevo comprato usato per sedici gigliati: ma che in verità era ottimissimo;
che però questo codicetto mi viene a costare sei in sette gigliati». Secondo
questi calcoli di don Carlo dunque, il manoscritto gli sarebbe costato
l’equivalente di 120 giorni di salario di un garzone muratore di quel tempo.
Informazioni
Il Codice di Leonardo da Vinci nel castello sforzesco
Luogo: Milano - Castello Sforzesco - Sala delle Asse
Periodo: dal 24 marzo al 21 maggio 2006
Orari: 9.00 - 17.30. Lunedì chiuso. Ultimo ingresso ore 17.00
Ingresso: intero 3 Euro; ridotto 1,50 Euro
Catalogo: Electa
Info: tel. 02 88463825
Per informazioni e prenotazioni:
Ad Artem 02 6596937 - fax 02 6599269
Opera d’Arte 02 45487400 - fax 02 45487401
Articolo pubblicato il 28 aprile 2006
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