Arte

Maurizio Cattelan al Guggenheim di New York: un allestimento sensazionale

di Roberto Zanon

Raramente capita di poter visitare una rassegna temporanea in cui il rapporto che si instaura tra le opere e la “scatola espositiva” è così positivamente sinergico come accade nella mostra antologica su Maurizio Cattelan al Guggenheim di New York (4 novembre 2011- 22 Gennaio 2012).












I lavori di Cattelan nascono generalmente dallo “spiazzamento” e spesso da una “collocazione” precisa del lavoro artistico in rapporto ad una situazione e a un contesto identificati; l’impresa, sulla carta, di poter esporre queste opere tutte assieme, in un unico luogo, appariva oggettivamente quasi impossibile. Invece, una felicissima e coraggiosa intuizione allestitiva, associata ad un necessario puntuale studio ingegneristico e ad una eccelsa organizzazione del montaggio (e a questo proposito si segnala la visione del video con le varie fasi dell’allestimento nel sito web del museo) ha permesso la perfetta riuscita di tutta l’operazione.
Tutto (e non a caso la mostra s’intitola “All”) il repertorio dell’artista padovano è stato letteralmente appeso ad una struttura metallica posta in sommità al grande atrio del museo, creando un’unica armonica installazione, perfettamente godibile dalla rampa che si avviluppa attorno. La grande Rotonda del Guggenheim, realizzata da Frank Lloyd Wright nel 1959, icona del museo, ma anche fonte di innumerevoli critiche e opposizioni per una effettiva interferenza del piano inclinato del percorso con la fruizione delle opere poste nel perimetro, trova con questa mostra un equilibrio incomparabile, tale da apparire perfettamente pennellata sul lavoro  dell’artista. Sembra, paradossalmente, che ci sia stato un adattamento del luogo al corpus delle opere che così disposte acquistano un’inedita colossale forma unitaria.
Se pensiamo che non siamo di fronte all’esposizione di un architetto, e quindi ad un ragionare generalmente più avvezzo alla gestione dello spazio, ma ad una retrospettiva completa della carriera di un artista – e quindi con tutte le complicazioni che nascono nel rapporto con le opere poste alla visione - l’evento diventa etimologicamente tale, ovvero “viene fuori” letteralmente ed esuberantemente dalla consuetudine espositiva .
I paramenti perimetrali del museo svuotati, un effetto estraniante e quasi surreale per le rassegne artistiche che generalmente sono organizzate in questo luogo, amplificano e concentrano l’attenzione verso la centralità del volume primario, permettendo, tra l’altro, una visione delle opere ad una distanza ideale, senza la necessità di apporre alcun apparato di dissuasione per la messa in sicurezza dei vari lavori.
E’ un esemplare caso in cui le fotografie non riescono assolutamente a restituire quella complessa pienezza spaziale che è possibile esperire solo con una visita diretta. Anzi, la sola visione delle immagini suggerisce un effetto di affastellamento e confusione che, nella percezione reale, è categoricamente smentito, permettendo invece un rapporto opera/spettatore coerente con una scontestualizzazione che reinterpreta l’opera nel momento in cui viene presentata all’interno di una nuova cornice, nello specifico sorprendentemente unitaria e simultanea.