La biografia di Alexander Calder
Calder - Roma - Palazzo delle Esposizioni
Su Alexander Calder. L'amicizia di Ugo Mulas
Testi storici su Alexander Calder
Su Alexander Calder. L'amicizia
di Ugo Mulas
Alexander Calder, 1898-1976
Glass Fish, 1955
Filo di ferro e vetro
Dim: 58.4 x 108 cm
Calder Foundation, New York
© 2009 Calder Foundation, New York
L'ambiente, l'uomo, l'amicizia hanno influito, spesso in modo decisivo, sul mio lavoro. E Calder ne è stato un protagonista. Per lui volevo fare qualcosa di molto bello, volevo delle fotografie che fossero significative del suo atteggiamento - dell'aspetto giocoso della sua opera - e poi fotografie affettuose, con la moglie, con le figlie coi nipoti, nella casa americana, a Roxbury, in quella sull'Indre, a Sachè, insomma foto da album ricordo. Dalle foto non doveva trasparire altra intenzione che quella di dichiarare il mio amore per la sua opera e la gioia che mi dava la sua amicizia. Un omaggiototale cercando di cogliere anche l'aspetto fisico, da patriarca un po' ironico, un po' burlone.
Mi piaceva il fatto che si dedicava a tutto con uguale intensità, che riuscisse a costruire dei forchettoni o dei mestoli per la cucina non meno belli delle sue sculture e, soprattutto, quei buffi lampadari costruiti sovrapponendo a cerchio due serie di forme da budini, e i supporti in filo d'ottone - che sono al tempo stesso sostegno molleggiato, protezione e manico - fatti per certe tazzine di porcellana, forse perché particolarmente care a Louise o forse semplicemente perché avevano perso il loro manico.
Cosė mi piace l'impegno e l'abilità con cui si muove per realizzare delle teste o delle figure con un solo filo di ferro, senza mai tagliarlo, come si fa un disegno su un foglio senza staccare la matita. Oppure le gouaches fatte senza pennelli, giocando sul movimento e l'inclinazione del foglio sul quale prima ha raccolto chiazze di colore: ne vien fuori un che di casuale e di controllato che non è l'automatismo dei surrealisti ma un suo modo molto tipico di giocare con la fortuna, col caso.
Avevo deciso di fotografarlo il più possibile e di fotografarne anche le opere, passando da una mostra all'altra, andando nei musei, nelle sue case e in quelle dei figli, nelle case dei collezionisti in America e in Europa.
Nonostante tutto questo correre credo di non aver fotografato che una minima parte di quello che ha prodotto: per esempio mi spiace non aver fotografato il grande auditorium dell'università di Caracas. Ma la cosa più triste è che dopo tanto lavoro ne è venuto fuori un libro ... sbagliato. Volevo che fosse bello, ho rifatto da capo quattro o cinque volte l'intera impaginazione,
prima con dei grafici, poi da solo, cercando di annullare l'impaginazione cioè facendo in modo che per ogni pagina ci fosse una sola foto, e spesso una sola foto nelle due pagine. Non è stato sempre facile trovare due foto che andassero bene l'una accanto all'altra.
Oggi non lavorerei più cosi, sento che le fotografie devono avere il loro margine, in modo che si senta dove cominciano e dove finiscono e in modo che non sia la pagina a costringere nella sua misura la fotografia, ma ogni immagine abbia la propria misura indipendentemente da quella delle pagine. Insomma volevo fare una cosa che piacesse a Calder come lui aveva fatto cose per me e per Nini, e adesso ho un grosso dubbio: che il libro non gli sia piaciuto così come non è piaciuto a me.
Calder
Roma, Palazzo delle Esposizioni
Dal 23 ottobre 2009 al 14 febbraio 2010