Correggio e gli Amori di Giove
La prima testimonianza su questa serie di dipinti è quella del Vasari, che ricorda come Federico Gonzaga abbia commissionato due dipinti a Correggio - per mandare all'Imperatore: cosa veramente degna di tanto principe - probabilmente in occasione dell'elevazione, da parte di Carlo V di Spagna, di Federico da Marchese a Duca di Mantova. A dispetto di queste affermazioni alcuni sostengono che fossero stati dipinti per la Sala di Ovidio nel Palazzo Te di Mantova, originariamente utilizzato come studio da Isabella Boschetti, amante di Federico Gonzaga.
I dipinti sono quattro, Ganimede e l'aquila, Leda e il cigno, Danae e Giove ed Io. La prima coppia da prendere in considerazione è Ganimede e l'aquila e Giove ed lo (Kunsthistorisches Museum,Vienna), entrambi nella collezione di Rodolfo II a Praga prima dell'attuale destinazione.
Ganimede
La storia di Ganimede, il pastorello che Giove, sotto forma d'aquila, rapì
nell'Olimpo e rese immortale come coppiere degli dei, era estremamente nota nel
Rinascimento. Nondimeno, il dipinto del Correggio fu la prima rappresentazione
di grandi dimensioni di quel mito, che Michelangelo stava “lavorando” nello
stesso periodo attraverso una serie di disegni. Qualunque parte abbiano giocato
qui desideri omosessuali o idee neoplatoniche, la versione del Correggio sembra
sufficientemente diretta. L'inclusione di un cane serve a ricordare l'occupazione
del fanciullo sulla terra ed è deliberatamente ritagliata sull'orlo inferiore
della composizione per creare un effetto di prossimità e immediatezza. La curva
della schiena del cane mette in movimento il dipinto e conduce 1'occhio
diagonalmente verso l'alto attraverso il tronco d'albero centrale,
strategicamente posizionato, fino al gruppo principale e ai piedi nudi del
fanciullo.
Il pastorello non mostra alcuna paura di volare e ha il buon senso di
aggrapparsi al grande uccello. In questa immagine Correggio rappresenta
l'aquila con estrema precisione e realismo nei dettagli, al punto che il suo
volo incerto non ci appare troppo inverosimile grazie alla straordinaria resa
del piumaggio, abilità ricordata anche dal Vasari. Con un tocco estremamente
caratteristico, egli fa aprire all'aquila il becco e allungare la lunga lingua
scura per leccare il polso al fanciullo. Fluttuando sopra la distanza
illimitata del digradante paesaggio azzurro-verde intorno al Monte Ida,
l'aquila e il bambino sono uniti nei sentimenti quanto nei corpi.
Destinati o meno a Carlo V, non si può negare che gli Amori di Giove siano
stati commissionati da Federico Gonzaga: il suo gusto per i dipinti erotici è
ampiamente testimoniato dagli affreschi del Palazzo Te, pure se resta da chiedersi
perché, tra le fanciulle, comparisse anche un fanciullo. Michael Hirst arrivò
probabilmente molto vicino alla risposta quando osservò che l'aquila era un
emblema dei Gonzaga ed essendo l'aquila sin dall'epoca romana simbolo
imperiale, in questo caso si potrebbe interpretare quale distinto omaggio per
Carlo V.
Io
Se il Ganimede riguarda l'abbraccio del dio e del mortale mentre quest'ultimo
è sollevato verso il cielo, Io ritrae invece un dio che scende sulla terra per
sedurre una fanciulla. Come narra Ovidio, Giove, per nascondere il suo
adulterio allo sguardo indiscreto di sua moglie Giunone, fece calare un velo di
oscurità sull'incontro. Correggio esclude ogni dettaglio estraneo e riempie lo
spazio con il fumo denso del dio dissimulato. Giove non è semplicemente
nascosto nel fumo; sembrerebbe piuttosto, in una brillante ispirazione
figurativa, essere fatto di esso. Incorporeo, egli sembra divenire essenza solo
quando entra in contatto con la fanciulla e mentre la sua mano destra le
scivola attorno alla vita con la sua protezione di nube, le sue labbra cercano
e trovano quelle di lei. Presto ella verrà avviluppata, ma per un momento
possiamo godere della visione fugace della sua estasi. Correggio ne distorce il
corpo non solo per creare una coscia smodatamente ampia - taglio a cui era
affezionato - ma anche per mostrare la sua gamba destra slanciata in alto e un
braccio che avviluppa mentre l'altro la bilancia. La sua mano destra gesticola
espressivamente, ma ella necessita di quel sostegno mentre apre la bocca e
rovescia il capo, dolcemente disordinato e in puro godimento. La Io di Ovidio
fugge via verso i boschi per paura di Giove: qui, invece, prende piacere dalla
sua evanescente presenza.
In primo piano, proprio alla base della tela in angolo, è la testa di un cervo,
dipinto molto lievemente sopra le rocce, quasi certamente un ripensamento. È
mostrato mentre beve dall'acqua ai piedi di lo. La grande urna di terracotta si
collega all'acqua: era l'antico simbolo convenzionale per la sorgente di un fiume,
e rimase un luogo comune nel Rinascimento. La sua inclusione nel dipinto deve
alludere al fatto che il racconto di Ovidio inizia narrando di tutti i fiumi
nella Valle di Tempe e continua affermando che il padre di Io, Inaco, era un
dio fluviale, e che ella aveva colpito l'attenzione di Giove ritornando dal
ruscello di suo padre. Quanto al cervo, l'ipotesi più plausibile è che, in
accordo con la tradizione dei romanzi medievali, rappresenti il desiderio
amoroso.
Il formato alto e sottile del Ganimede e della Io suggeriscono chiaramente
paralleli con le due Allegorie, della Virtù e del Vizio, e avrebbero avuto
senso visivamente ai due lati di una porta. Ganimede sarebbe stato posto alla
sinistra e la Io alla destra, e il modo in cui sono illuminati supporta questa
opinione.
Le altre due tele, la Danae (Galleria Borghese, Roma) e la Leda (Gemäldegalerie,
Berlino), hanno un formato diverso. Sebbene 1'altezza sia la stessa, hanno un
forte sviluppo orizzontale e sono molto più quadrate della maggioranza dei
dipinti secolari dell'epoca.
Danae
Il padre di Danae era Acrisio, re di Argo. Avvertito da un oracolo che un figlio
di lei lo avrebbe ucciso, la imprigionò in una torre. Nel dipinto il Correggio
riproduce scrupolosamente questa condizione, non solo mostrandola giacente su
un letto a baldacchino splendidamente ampio, con la cortina indaco e oro e i
montanti ornati di scudi classici, ma offrendo anche un punto di vista fuori
dalla finestra su una splendida distesa di cielo azzurro, in cui le nuvole sono
sfumate con accenni di verde turchese. La precauzione fu naturalmente resa
inefficace dall'arrivo di Giove, che sedusse Danae tramutato in pioggia d'oro.
Nella tela una nube sovraccarica si libra sopra il letto e una pioggia dorata
comincia appena a staccarsi dalla sua massa. Tre gocce sono sospese nell'aria,
altre già depositate sono visibili nei panneggi che in parte celano il corpo di
Danae. In basso, Cupido, rappresentato come un ragazzo di una decina d'anni,
siede familiarmente all'estremità del letto, con l'oro del baldacchino fra le
cosce e la gamba arretrata che penzola al di là del bordo. Il ragazzo guarda in
su verso la nube, e con la mano sinistra lentamente aiuta Danae a togliere il
lenzuolo bianco che è la sua ultima copertura e attraverso il qual percepiamo
le dita di lui e di lei. Con la mano destra egli indica esplicitamente, seppur
superfluamente, al sesso di Danae, che è sul punto di apparire. In quanto a Danae
stessa, sebbene afferri gli orli del lenzuolo, non sembra che lo stia trattenendo.
Al contrario, le cosce sono aperte sotto la stoffa. Non si unisce a Cupido nel
guardare verso il cielo, ma ella è una spettatrice eccitata che assiste al suo
stesso svelamento. Sostenuta da cuscini soffici, sorride mentre guarda in giù
oltre i piccoli seni alti, verso la lattea distesa del ventre.
Come per Io, i capelli sono disciplinati entro boccoli non troppo rigidi, che
qui si fanno cadere giù per la nuca e sulla spalla destra. La Danae del Correggio
è un'adolescente, una sorella maggiore di Cupido, che anche se sta ricevendo
una visita dal signore di tutti gli dei, rimane mortale e umana.
Nell'angolo destro in basso sono due piccoli amorini, di cui uno alato,
impegnati in attività che resterebbero enigmatiche se non fosse per
l'indicazione particolareggiata di un dettaglio, inserito dal Vasari nel mezzo
di una descrizione. Egli fa riferimento ad alcuni “Amori, che delle saette
facevano prova su una pietra, quelle d'oro e di piombo, lavorati con bello artificio”,
in altre parole al fatto che stiano provando i due tipi di frecce d'amore, come
descritte da Ovidio: “Un dardo che suscita amore e uno che lo scaccia”. Al loro
fianco è una faretra piena di frecce le cui penne sono rosse e blu,
presumibilmente per distinguere tra frecce d'attrazione e di repulsione. Come
in altri dipinti, anche qui il Correggio ha catturato la serietà leggermente
laboriosa di bimbi totalmente assorbiti dalle loro faccende, e del tutto ignari
delle preoccupazioni degli adulti.
Leda
L'ultimo dipinto considerato è il più esplicito di tutti. Mentre gli altri
si occupano dell'anticipazione della passione e delle sue prime estasi, qui è
rappresentato l'atto. E' un fatto noto che Luigi, il figlio di Filippo, Duca
d'Orléans, Reggente di Francia durante la minore età di Luigi XV (1715-23) e
proprietario del dipinto, turbato dall'immagine dell'amplesso amoroso della
donna, e forse dal suo sorriso appena accennato, arrivò a infierire sulla tela
con un coltello e a distruggere interamente il volto di Leda. Il quadro Fu successivamente
restaurato ma per avere un'idea del suo aspetto originale bisogna rivolgersi ad
una copia che rivela due differenze fondamentali rispetto alla versione
restaurata: la prima concerne lo sguardo abbassato e il sorriso, che erano
entrambi molto più caldi; la seconda riguarda la torsione della testa e del
collo. La testa della Leda del Correggio era totalmente disposta su un lato, e
proseguiva la serpentina del collo del cigno. E' probabile che l'audacia di
questa concezione fosse eccessiva per i restauratori.
A differenza delle altre mitologie degli Amori di Giove, Leda era un soggetto
relativamente comune e con molti precedenti antichi. Ma La trattazione di Correggio
differisce dalle altre perché illustra Leda seduta frontalmente, con il cigno
fra le cosce. Ella siede comodamente sull'argine, usando i vestiti abbandonati
come telo, le dita del suo piede destro penzolano nell'acqua, mentre con una
mano aiuta il cigno ad unirsi a lei, mantenendo l'equilibrio. La vellutata
morbidezza del suo compagno contrasta in maniera indimenticabile con la calda
vita della carne di lei, contrasto carezzevole e temperato da quell'abilità di
sfumato in cui il Correggio eccelle. Se pure qualcuno avesse mai potuto
descrivere questa scena in termini di stupro, nulla potrebbe essere più lontano
dalla concezione del Correggio: la fanciulla si sta divertendo col cigno dalle
dimensioni maneggevoli, ed il cigno con lei. Leda è al centro della
composizione, al contrario della Danae disposta diagonalmente, e ci sono molti
più elementi sussidiari rispetto al dipinto Borghese. Al di sopra della sua
spalla sinistra si scorgono due episodi aggiuntivi: l'approccio iniziale del
cigno, col becco aperto come per parlare, e la resistenza di Leda chiaramente
tiepida e speranzosa, poi la sua dipartita e il ritorno di Leda alla normalità
mentre la sua ancella l'aiuta a rimettersi le vesti, presumibilmente la stessa
ancella che osservava intenta i preliminari. Il suo vestito è dello stesso
colore, sebbene anch'ella abbia abbandonato alcuni dei suoi indumenti esterni,
specialmente il mantello blu. Alcuni ritengono che queste figure secondarie
siano ancelle di Leda che indulgono in una specie di bizzarra orgia di cigni,
mentre i tre musici sull'altro lato, che suonano una lira e due flauti,
rappresentano la distinzione fra l'amore divino di Leda e il più vile rapporto
delle sue compagne.
Il gruppo sull'altro lato di Leda, di nuovo subordinato e posto in secondo
piano, rappresenta un ovvio parallelo ai personaggi di supporto nella Danae. Di
nuovo, Cupido è un ragazzo, non un bimbo, distinto dagli amorini. Egli pizzica
una lira, con la faretra al fianco che non lascia dubbi sulla sua identità, e
sembra deliziato alla piega degli
eventi. I due amorini soffiano nei loro strumenti e appare ragionevole interpretare
la differenza fra questi e la lira come una sottolineatura del contrasto fra
gli aspetti di amore più terreni e più elevati.
Altro fattore di grande interesse del dipinto è il paesaggio. Il talento del Correggio
come pittore della natura è sottovalutato, ma bisogna ammettere che nei suoi
quadri generalmente si riduce ad uno scorcio atmosferico in distanza o ad un
limitato sfondo boscoso. Qui, tuttavia, l'artista mostra la sua abilità non
solo in una prospettiva di azzurre colline in lontananza, ma anche in una
distesa di grandi alberi che mettono in risalto le figure e allo stesso tempo
danno l'idea di una splendida esplosione di vita.
L'unico pittore rinascimentale che si possa affiancare a Correggio
nell'esecuzione di soggetti mitologici è Tiziano, che però non dimostra la
stessa attitudine a comprendere la sessualità femminile nel suo modo intimo e
moderno. Inoltre la serie degli Amori di Giove di Correggio precede
cronologicamente le scene affini che Tiziano realizzò per il sovran spagnolo Filippo
II e deve essere considerata a tutti gli effetti il primo corpus rinascimentale
di pittura mitologica.
Dal catalogo della mostra Correggio e l'antico
Roma - Galleria Borghese
Dal 22 maggio al 14 settembre 2008