Alla Reggia di Caserta opere d'arte contemporanea abbandonate tra le macerie
La denuncia del Corriere della Sera e la risposta del Ministro
La denuncia dell'inviato del «Corriere della Sera».
Quel Warhol finito tra le macerie
E il ministro Bondi dispone una verifica
Nella Reggia di Caserta opere milionarie abbandonate da due anni
Come dopo un crollo, dappertutto detriti e patina d'abbandono
CASERTA - Le macerie ci sono. Nascoste tra gli stucchi dorati, ma ci sono. Come
dopo un crollo, dappertutto detriti e patina d'abbandono. Appena entri, la
polvere copre i vetri infranti dell'installazione di Beuys con pezzi spostati e
contaminata da aste di ferro. Ecco un quadro di Anselm Kiefer appoggiato in un
angolo, nel buio. Sul muro i segni del tempo e di uno spazio vuoto: lì ci
doveva essere un grande dipinto di Schifano ma è in prestito per una mostra a
Roma.
Stanza dopo stanza, un senso di desolazione: sotto un'enorme opera di Barcelò è
accatastata alla rinfusa una scultura di Pietro Gilardi insieme a una serie di
sedie rococò e un tavolo da biliardo metà ottocento che evidentemente non si
sapeva dove mettere. Più avanti ancora, opere sparse tra resti di legni e
plastica. E poi il nulla, stanze vuote, frammenti di chissà cosa, polvere e
ancora polvere. Non resta che uscire e lo sguardo va alle tre grandi tele di
Warhol, spettrali e ancor oggi drammaticamente evocative, con quel titolo del
quotidiano Il Mattino sparato a piena pagina: «Fate presto». Sì, fate presto viene
da dire. Perché un terremoto, magari silenzioso, quasi furtivo, ma non per
questo meno devastante, si è abbattuto su Terrae Motus (già, il destino dei
nomi), una delle più importanti e preziose raccolte pubbliche di arte
contemporanea italiana: una collezione di 71 opere ideata e voluta da Lucio
Amelio subito dopo il sisma del 23 novembre 1980 e donata con un lascito
testamentario per novantanove anni alla Reggia di Caserta. Una collezione unica
nel suo genere (del valore di diversi milioni di euro), ma soprattutto simbolo
della testimonianza civile di un gruppo di artisti che hanno segnato la
tendenza culturale degli anni Ottanta.
La (re)inaugurazione del 2004
Così, mentre nel grande cortile si concludono i preparativi per l'ultima
messa in scena del musical «Cats», nelle stanze che hanno visto l'inaugurazione
ufficiale nel 2004 (e prima ancora nel 1992) di quella che avrebbe dovuto
essere la preziosissima e stabile sistemazione museale di un patrimonio
culturale, oggi si è testimoni del suo lento e drammatico disfacimento. O
meglio, non si è testimoni affatto, perché tutto questo ai visitatori è
invisibile. La mostra non esiste. Scomparsa nel nulla. E, ancor più grave,
tutto appare ineluttabile come i sacchetti di plastica della spazzatura per le
strade che portano alla Reggia, come il suk di bancarelle di materiali
contraffatti dalla camorra che ti attanaglia all'entrata dell'imponente
palazzo. Solo una piccola porta chiusa e una stele color antracite segnano il
simulacro della collezione. Ma da quella soglia nessuna richiesta di aiuto:
nessuna indignazione per un patrimonio pubblico affidato alla Sovrintendenza
dei beni culturali e ormai da quasi due anni abbandonato lentamente e
inesorabilmente a se stesso. Una vicenda che ha le stigmate di una storia tutta
italiana. Certo, innanzitutto appare tradita la memoria di Lucio Amelio,
amatissimo e odiatissimo gallerista, compagno di strada di tanti artisti,
personaggio eclettico e affascinante e con un tormentato rapporto con la «sua»
Napoli: «Napoli è la capitale delle catastrofi», ripeteva.
L'opera di Beuys in mostra
E proprio dal tragico terremoto dell'80 partì l'idea di coinvolgere gli
amici artisti: «Fate un'opera per Napoli, un'opera grande, significativa ». Ma
è tradita soprattutto l'idea di un bene collettivo affidato allo Stato che
andrebbe conservato e valorizzato per renderlo momentaneo patrimonio di tutti coloro
che si emozionano davanti alle opere di autori come Rauschenberg, Warhol,
Vedova, Beuys, Haring, Kiefer, Paladino, per citarne solo alcuni. «In qualsiasi
altro Paese una collezione tematica così rappresentativa avrebbe uno spazio e
un'attenzione straordinaria - spiega Vincenzo Trione, storico e critico d'arte
contemporanea, docente alla Seconda Università di Napoli. Non volevo credere a
quello che mi dicevano gli studenti che invitavo a visitare Terrae Motus: mi
rispondevano che era impossibile vederla. È una collezione che evoca il
ritratto di una straordinaria stagione di sperimentazioni tra gli anni Settanta
e Ottanta. È l'autoritratto, per frammenti, dello stesso Amelio. È la
testimonianza di una tensione politica e morale. Ma è soprattutto il ritratto
culturale di Napoli. Oggi sembra la profezia di un disfacimento, l'affresco di
un abisso». È come se il destino si fosse accanito con Amelio e con quello che
è il suo testamento morale. Ancor più paradossale se si pensa che Terrae Motus
ha rappresentato la preistoria dell'interesse nei confronti dell'arte
contemporanea di Bassolino e con lui quella dell'intera città. L'esperienza
importante del Museo d'arte contemporanea, MADRE, ora diretta da Eduardo Cicelyn
(e di molti interventi artistici in città) è figlia indiretta di
quell'esperienza. «Amelio è sempre stato un uomo di conflitti», spiega Nino Longobardi,
artista e suo amico fraterno. E proprio vedendo Longobardi dipingere un nuovo
quadro dedicato al terremoto parte l'idea di chiamare a raccolta gli artisti:
«Riuscì a catalizzare la loro energia come impegno civile. Terrae Motus è la
vera metafora dell'arte: distruzione, creazione, rinascita. Napoli è una città
mutilata da sempre ma anche molto amata, così hanno aderito tutti». Poi, la
voce baritonale di Longobardi si ferma. I suoi occhi celesti sembrano
trattenere le lacrime: «Lo ha tradito la malattia, molti hanno cercato di
appropriarsi del suo lavoro, di quell'idea. Un'idea bellissima e maledetta,
amata e osteggiata. Terrae Motus doveva restare a Napoli. Amelio aveva comprato
anche uno spazio, ma l'hanno lasciato solo. Poi, deluso, ha donato la
collezione a Caserta. E ora siamo all'apocalisse». Longobardi sorride e allarga
le braccia: «Già, è proprio una fine apocalittica. Tutto si tiene». Forse anche
i numeri contribuiscono al gioco dei destini incrociati: oggi ricorre
l'anniversario della morte di Lucio Amelio. Se n'è andato, ucciso dall'Aids, il
2 luglio 1994. Se vedesse quello che sta accadendo non si stupirebbe.
Sorriderebbe malinconicamente. E, come aveva già fatto, citando Rimbaud
ripeterebbe l'amaro ritratto della sua città amata e odiata: «Napoli è come un
battello fantasma senza comandante».
Gianluigi Colin
3 luglio 2008
MINISTRO BONDI DISPONE UNA VERIFICA
Il ministro dei beni culturali Sandro Bondi ha predisposto una verifica
sullo stato della collezione d'arte contemporanea «Terrae Motus» custodita alla
Reggia di Caserta. Lo rende noto il ministero di via del Collegio Romano con
una nota nella quale si precisa che la situazione descritta oggi in un articolo
sul «Corriere della Sera» «se vera, non può certo essere attribuita alla
diminuzione di fondi» e si annuncia che il ministro si impegna a visitare la
collezione per constatare di persona la situazione. Bondi, si legge nella nota
del ministero, «prende atto di quanto riportato nell'articolo di oggi sul
Corriere della Sera riguardo la collezione. Il Ministro ha già predisposto,
attraverso gli uffici di Gabinetto, un'attenta verifica di quanto sostenuto
nell'articolo. Occorre però subito precisare che la situazione descritta, se
vera, non può essere certo attribuita alla diminuzione di fondi. Il Ministro si
impegna a visitare la collezione Lucio Amelio per constatare di persona la
situazione denunciata durante una sua prossima visita in Campania». In un lungo
articolo nelle pagine della cultura, il Corsera denunciava oggi che la
collezione di 71 opere ideata e voluta dal collezionista Lucio Amelio subito
dopo il sisma del novembre 1980 e donata con un lascito testamentario per
novantanove anni alla Reggia di Caserta, si trova da due anni in condizione di abbandono
e non è visibile al pubblico.
Sovrintendente Guglielmo:
«Abbiamo fondi dimezzati»
CASERTA - Il sovrintendente della Reggia, Enrico Guglielmo, allarga le braccia:
«È avvilente. Uno arriva qui e pensa all'inerzia ma siamo in una situazione
davvero precaria. Ogni anno il ministero ci dà 300 mila euro per conservare la
Reggia. Meno della metà di sette anni fa. Si pensi solo alla manutenzione del
parco e dei continui restauri. Dobbiamo risolvere soprattutto le emergenze». «È
paradossale e incomprensibile - aggiunge - soprattutto una cosa: in ogni
confronto politico si sottolinea come i beni culturali rappresentino una
risorsa del Paese. Ma poi, nei fatti, si tagliano o si riducono i fondi».
Corriere del Mezzogiorno
3 luglio 2008