Roma. La pittura di un impero
Roma - Scuderie del Quirinale
Dal 24 settembre 2009 al 17 gennaio 2010
Con la mostra "Roma. La pittura di un Impero", le Scuderie del Quirinale presentano al pubblico la rappresentazione figurativa di un periodo cruciale della storia di Roma, quello che va dal I secolo a.C. fino al V d.C. Sei secoli che vedono l'Impero Romano nascere e svilupparsi, dall'avvento di Giulio Cesare nel 49 a.C., fino allo straordinario consolidamento di strutture di potere così avanzate da tenere insieme un territorio vastissimo. In questo arco temporale, la progressiva espansione coloniale dà vita a un fermento culturale di rara intensità, tanto che l'arte della Roma imperiale può essere considerata fonte di ispirazione di canoni culturali ed estetici che hanno segnato tutta la pittura e l'arte occidentale successiva. In questa ottica è possibile inquadrare la pittura romana non solo nel suo aspetto formale ma anche come autentico linguaggio per immagini, rivelatore di aspetti dell'immaginario sociale e correlato al più generale sistema di rappresentazione di una società concreta, fondamento di tutta la civiltà successiva.
Approfondire la conoscenza della produzione pittorica, espressione tra le più immediate e autentiche, da un lato può contribuire ad una più articolata comprensione della società romana, dall'altro permette di valorizzare l'originalità di tale produzione, superando la visione di una pittura romana dipendente ed erede passiva del patrimonio classico greco.
Dal paesaggio alla natura morta, dalla decorazione scenografica alla pittura popolare, dal ritratto al mito reinterpretato secondo la tradizione romana, la mostra svela tutti i temi della pittura antica attraverso grandi affreschi, raffinati ritratti su legno, decorazioni, fregi e vedute di grande vitalità, recuperati sia dalle domus patrizie sia dalle abitazioni e botteghe popolari.
Circa 100 opere di eccezionale eleganza e raffinatezza organizzate in cinque diverse sezioni, per ricostruire, dunque, la complessità di una scuola figurativa da cui deriva lo sviluppo dei generi pittorici moderni a partire da Raffaello, solo per citare un esempio.
Tutti prestiti provenienti dai più importanti siti archeologici e musei del mondo, tra cui il Louvre di Parigi, il British Museum di Londra, il Museo Egizio de Il Cairo, i musei archeologici di Monaco, Francoforte, Zurigo ma anche il Museo Archeologico di Napoli, gli Scavi di Pompei, il Museo Nazionale Romano, i Musei Vaticani e i Musei Capitolini di Roma, musei famosi e molto frequentati in cui a volte, però, le singole opere possono perdersi. Il valore della mostra è infatti anche nel 'rivelare' pezzi magnifici e famosi, mettendoli sotto una luce di interpretazione del tutto nuova e allestite in una scenografia ideata dal grande regista Luca Ronconi che torna, ancora una volta, a curare l'allestimento di una grande mostra
Dieci domande al curatore Eugenio La Rocca
1 - Perché una mostra sulla pittura romana?
"Per ricordare che per i Greci così come per i Romani la vera grande arte era la pittura, più che la scultura. L'arte greco-romana, nell'immaginario collettivo di oggi, si associa più che altro alla scultura, visto che in numero dei documenti pittorici conservati è di gran lunga inferiore a quello delle sculture. Questa mostra vuol documentare e disegnare lo sviluppo della pittura romana nei secoli: nata all'insegna di un forte elemento di continuità con l'arte greca e diventata, a sua volta, modello ispiratore per i secoli successivi.
L'estrema carenza di pitture ha creato non poche difficoltà per una piena comprensione della cultura classica. Con la scoperta di Pompei e di Ercolano, avvenuta nel '700, le cose sono un po' cambiate, ma relativamente. Tutta la pittura pompeiana ed ercolanese preservata è a carattere ornamentale, destinata a decorare ambienti: di case e di edifici pubblici e privati. Essa è opera di abili, talora abilissimi, artigiani, ma non v'è nulla in essa pari ai cicli di affreschi dei grandi maestri del tardo Medioevo e del Rinascimento, e tantomeno pari alla moderna pittura di "cavalletto". Il problema consiste quindi nel chiedersi se, sulla base di quanto si è conservato, sia possibile capire qualcosa della grande tradizione pittorica del mondo classico. Si deve lavorare su quanto è conservato, esaminare attentamente ogni singolo frammento, studiare le tecniche pittoriche, gli schemi figurativi, le composizioni, e da questi dati ricavare i livelli cui la pittura antica era giunta in età romana. Inutile piangere su quanto non esiste più. Molto meglio osservare quanto resta con occhio nuovo, evitando da un lato di cercare a tutti i costi modelli eccellenti cui gli artigiani si sarebbero attenuti, dall'altro di studiare la decorazione parietale come un insieme, perdendo di vista la qualità straordinaria dei singoli dettagli.
Finora sono state pochissime le mostre basate sulla pittura antica, ed è questo il vero punto di forza di questa esposizione. Si vuole ricostruire lo sviluppo della pittura romana nei secoli, sottolineandone da una parte la continuità con la pittura e l'arte greca, e dall'altra la sua importante funzione di ponte per gli sviluppi futuri della pittura bizantina e medievale e, tramite di esse, della moderna pittura europea".
2 - Questa mostra è il trionfo del colore quando invece nell'immaginario collettivo il mondo antico è in bianco e nero. Qual è la verità?
"Nella Roma antica i principali monumenti pubblici e le statue erano policromi, erano adoperati marmi colorati di provenienza differente, i marmi bianchi erano utilizzati nell'ambito di un più complesso gioco di colori, sculture e stucchi erano dipinti con fresca vivacità.
E' però diventato un luogo comune identificare il "classico" con la trasparenza dei marmi bianchi, e questo semplicemente perché le sculture hanno perso per lo più qualunque traccia del colore superficiale di cui erano rivestite, inoltre perché della pittura e della decorazione di edifici ed ambienti è conservato relativamente poco. Tutto nel mondo antico era colorato".
3 - Parliamo molto spesso di pittura romana e pompeiana sovrapponendole. E' corretto?
"Non proprio. Per capire lo sviluppo della pittura romana Pompei ed Ercolano non sono sufficienti. La pittura pompeiana è uno fra i tanti elementi costitutivi per la comprensione del fenomeno della pittura romana, ma non il solo. Siamo per di più fortunati perché Pompei è
localizzata in un'area artisticamente molto feconda, vicina a Pozzuoli e a Napoli, oltre che, evidentemente, a Roma stessa. I più ricchi magistrati romani avevano case lussuose sul golfo di Napoli, ivi compresi i membri della famiglia imperiale, ed è questo forse il motivo per cui le botteghe artigianali che hanno lavorato nei centri poi colpiti dall'eruzione del Vesuvio dovevano essere tra le migliori dellepoca.
Tuttavia, quando si parla di "pittura romana" si intende un periodo ben più ampio.
Pompei è distrutta nel 79 d.C., mentre il periodo storico di riferimento arriva fino al V secolo d.C. Va tenuto presente, inoltre, che parlare di "pittura romana" è impreciso. L'impero di Roma era così ampio, con uno sviluppo territoriale dalla Spagna fino ai confini con la Mesopotamia, da rendere inverosimile la costruzione di un rigido sistema artistico unitario.
La corte imperiale ha probabilmente dettato le leggi artistiche fondamentali, valide per tutto il territorio romano, ma è altrettanto certo che non sono mancati linguaggi artistici più o meno differenziati rispetto al centro del potere. Per tale motivo è molto meglio parlare di "pittura dell'impero romano".
4 - È la prima volta che in Italia avviene un confronto diretto tra i ritratti del Fayoum e la pittura romana. Come mai?
"Il concetto-base di questa mostra è la presentazione di un quadro dell'evoluzione della pittura di età romana secondo una distribuzione per temi. Nella sua organizzazione abbiamo dovuto tenere conto di quanto non è preservato. Se per il periodo che va dal I secolo a.C. fino al I secolo d.C. possiamo lavorare sui materiali rinvenuti a Pompei e ad Ercolano, dopo il principato di Tito, che ha regnato proprio negli anni in cui è avvenuta l'eruzione del Vesuvio (79 – 81 d.C.) si devono recuperare materiali per altre vie.
E' stato possibile utilizzare frammenti di decorazioni parietali rinvenuti a Roma stessa, ma per fortuna una migliore conoscenza dei risultati raggiunti dalla pittura in età medio- e tardo-imperiale è basata sui meravigliosi ritratti di mummie su legno provenienti dall'Egitto, e noti come ritratti del Fayoum.
E' solo uno dei grandi soggetti della pittura romana, ma è anche quello per il quale non si può parlare effettivamente di pittura decorativa, ma in molti casi di pittura colta. Tra l'altro, sarà interessante poter vedere a diretto confronto alcuni documenti pompeiani di altissimo livello qualitativo, tale da oltrepassare il limite della pittura decorativa, con i ritratti del Fayoum. Apparirà chiara tra di essi una continuità che non è solo tematica, ma anche artistica".
5 - In mostra saranno rappresentati più di quattro secoli. Sono in qualche modo riconoscibili nelle opere i cambiamenti storico-politici dell'Impero Romano?
"I cambiamenti storico-politici in qualunque periodo comportano un mutamento dei rapporti tra artisti e committenti. E' il committente a indirizzare l'artista chiedendogli un'opera con un determinato soggetto, lavorando talvolta con lui per la definizione più dettagliata degli elementi costitutivi della composizione, per la scelta dei colori, più o meno cari, per i tempi di lavorazione che gli concede.
Ora, è chiaro che ci sono differenze sostanziali tra la produzione di apparati decorativi per ambienti, e la produzione di ritratti. Nel primo caso entrano in campo anche le variazioni del gusto, mai così percepibile come nel passaggio tra i cosiddetti quattro stili pittorici pompeiani, nei quali il pendolo oscilla tra scenografia barocca e fantasiosa, e organizzazione regolare e apparentemente semplice delle pareti.
In tutto l'arco della pittura dell'impero le trasformazioni di gusto sono state ben più numerose, ed
hanno comportato in età tardo-antica un progressivo abbandono della pittura a favore di una decorazione parietale a commessi di marmo di più colori, anche con pannelli figurati, oppure di una decorazione a mosaico. La pittura perde slancio a favore di nuove tecniche e nuove materie che rispondono meglio alle esigenze della società al momento di trapasso verso il medioevo.
Contemporaneamente cambiano i modi della rappresentazione imperiale. Dall'immagine dell'imperatore primus inter pares, si bassa gradatamente all'immagine dell'imperatore quale simbolo del potere di Roma, superiore e distaccato dai magistrati e dal popolo, con lo sguardo rivolto diagonalmente come in muto colloquio con Dio. Lo stile si adegua alla nuova simbologia imperiale e accentua un'impostazione frontale, distaccata, delle immagini.
Difficile percepire a fondo il rapporto tra il committente e l'artista alla nostra epoca, quando tale rapporto si è definitivamente spezzato, o meglio è stato trasformato in qualcosa di diverso, che sembra accentuare, almeno in apparenza, l'autonomia dell'artista: in apparenza, perché in ogni caso l'artista è soggetto all'influenza della società entro cui vive, ed ai sistemi economici e commerciali vigenti. La posizione del committente è ora occupata dal gallerista, che ha il potere, a determinati livelli, di lanciare o al contrario di svalutare l'opera di determinati artisti.
6 - Le differenze stilistiche all'interno della pittura romana coincidono con dei passaggi a livello storico? Oppure i vari stili non sono legati tra loro?
"Gli stili romani sono stili basilarmente decorativi, e non coprono interamente il significato che diamo al termine "stile". Comunque, come nel caso del mobilio moderno, distribuito anch'esso per "stili", al passaggio tra determinati stili decorativi può corrispondere un analogo significativo passaggio storico.
Ad esempio, l'evoluzione dal secondo al terzo stile pittorico coincide con l'affermazione del potere di Augusto; l'evoluzione tra terzo e quarto stile con il principato di Nerone e con la sua propensione per il fasto; anche se, in realtà, le gradazioni interne tra i vari stili presentano situazioni assai più complesse.
In un lavoro recente, sulla base dei più recenti scavi eseguiti sul Palatino, nell'area compresa tra il tempio di Apollo e la c.d. Casa di Augusto, ho proposto di anticipare la cronologia delle fasi finali del secondo stile e dell'avvento del terzo stile, finora datati in un periodo compreso tra il 20 e il 10 a.C., perché la costante presenza di elementi egittizzanti nella decorazione pittorica in queste due fasi può essere meglio spiegata con la presenza di Cleopatra a Roma, nei giardini di Cesare, tra il 46 e il 44 a.C. All'epoca era l'amante di Cesare, da cui aveva avuto un figlio, ed è facile supporre che la regina fosse giunta a Roma con uno stuolo di artisti e artigiani al suo servizio, ai quali si deve probabilmente l'avvio di un drastico mutamento di gusto nella città.
Gli stili hanno sempre, alla loro base, una trasformazione del gusto che è a sua volta sintomo di trasformazioni sociali, talora anche complesse. Lo stile, come l'arte nel suo insieme, non possono essere mai disgiunti dal sistema sociale entro cui si muovono, nel mondo antico come nel mondo moderno".1
1 Primo stile: detto stile strutturale, o dell'incrostazione, si data a partire dal 150 a.C. all'80 a.C. Caratteristica principale di questo stile è l'imitazione delle costose pareti in marmi policromi, in alcuni casi ottenuta mediante il ricorso ad elementi in stucco a rilievo.
Secondo stile: detto anche stile architettonico, si colloca nel periodo che va dall'80 agli anni 30/20 del I sec. a.C. La novità principale è l'introduzione sulle pareti di effetti prospettici, forse grazie anche all'influsso delle scene teatrali.
Terzo stile: detto stile ornamentale, si sovrappone inizialmente al secondo stile (all'incirca dagli anni 30/20 del I sec. a.C.) per giungere fino ad età claudia (41-54 d.C.). Le pareti sono di norma monocrome (preferibilmente scure), al centro delle quali a tinte più chiare erano dipinti pannelli che raffiguravano scene tratte dal repertorio mitologico, o paesaggi.
Quarto stile: detto dell' illusionismo prospettico, si affermò in età neroniana e si contraddistinse per l'inserimento di architetture fantastiche e irrazionali. Abbandonando la "sobria eleganza" del terzo stile, si fece ritorno alle architetture scenografiche del Secondo, inserendo dettagli fantasiosi.
7 - Il nostro titolo Roma. La pittura di un impero è molto evocativo, richiama alla mente il potere.
"La mostra vuol essere l'espressione di una società, la società durante l'impero romano, più che del potere imperiale.
Per rappresentare l'espressione del potere, avremmo dovuto avere a disposizione un altro genere di pittura, che purtroppo manca quasi completamente: quello connesso con le forme di rappresentazione imperiale.
Abbiamo, è vero, un tondo proveniente dall'Egitto con la raffigurazione dei busti di Settimio Severo, di Giulia Domna e di Caracalla (il volto dell'altro figlio, Geta, è stato abraso), e abbiamo i frammenti di un ciclo pittorico a Luxor, con la raffigurazione dei tetrarchi. Ma è troppo poco per imbastire un discorso coerente, e inoltre le due opere non sono trasportabili. Abbiamo a disposizione solo la produzione a carattere privato, anche qualora alcune delle ville romane e pompeiane fossero state di proprietà di membri della famiglia imperiale.
Comunque sia, dobbiamo immaginare che fosse molto diffuso il costume di possedere nelle case private come negli edifici pubblici – ad esempio nei tribunali – ritratti degli imperatori e della loro famiglia, esattamente come al giorno d'oggi sulle pareti delle scuole e di determinati uffici compare la fotografia del presidente della repubblica. I ritratti in pittura, simili ai ritratti del Fayoum o alle icone bizantine, dovevano essere tanto più facilmente maneggevoli che non le sculture o i ritratti in marmo".
8 - Stiamo parlando di una città, di un impero dove ci sono colore e immagini dappertutto, che rapporto avevano i romani con lo spazio e con la rappresentazione bi e tridimensionale?
"Era un mondo di immagini, dove si viveva entro le immagini, ma dove in realtà vigeva un concetto visivo dello spazio che non corrisponde affatto a quello moderno. Siamo abituati a ragionare entro una logica che è stata impostata dai primi grandi architetti del Rinascimento, principalmente da Brunelleschi e Leon Battista Alberti. Da loro abbiamo appreso a concepire una visione tridimensionale, in profondità, basata su un complesso gioco di schemi prospettici a fuoco unico. E' quella prospettiva su cui si basano le composizioni pittoriche di Masaccio, l'articolata costruzione della piazza del Duomo di Pienza e, qualche tempo dopo, la piazza del Campidoglio di Michelangelo.
Nel mondo antico tutto questo non c'era.
Gli antichi avevano un differente concetto di piazza, che era per lo più uno spazio interno interamente circondato da porticati, architettonicamente poco variato se non con l'utilizzo di una ricca decorazione scultorea e architettonica.
Ogni grande edificio pubblico, anche i Fori Imperiali, aveva intorno a sé alte recinzioni che ne impedivano la vista dall'esterno. Per tale motivo, per poter ammirare ad esempio il Foro di Augusto, si doveva superare un'alta parete di tufo, tuttora preservata in parte, dal lato della Suburra, e dopo aver superato una galleria di passaggio neanche troppo monumentale, si entrava nella piazza centrale.
Ma anche da lì non si aveva subito l'effetto d'insieme.
Si doveva avanzare lungo un percorso nel quale ci si doveva sentire schiacciati dal peso dai porticati da un lato, del podio del tempio con le sue imponenti colonne dall'altro, prima di giungere in un'area dove si poteva ammirare l'insieme.
Eppure, anche in questo caso, si era ben lungi dal poter percepire la complessità del piano progettuale del Foro. Quelli che sono i suoi elementi costitutivi, le grandi esedre laterali, erano sbarrati alla vista dalla fila di colonne dei porticati.
Malgrado le differenze in pianta, l'effetto visivo negli alzati per uno spettatore che passeggiava per i Fori Imperiali era variato solo negli apparati decorativi, non nel taglio delle piazze, più simili a enormi cortili tutti uguali. Nulla di più differente rispetto all'effetto che si doveva provare superando vicoletti e stradine prima di giungere al colonnato berniniano di San Pietro e, dopo averlo superato, ammirare il colpo d'occhio di una piazza circolare.
Ciò che era di fondamentale importanza per i Romani era il colore, il movimento delle superfici, quindi gli attici, la decorazione scultorea e architettonica. Ma lo spazio in quanto tale era uno spazio ripetitivo.
E' una concezione più bidimensionale dello spazio che non tridimensionale: basata piuttosto sulla lunghezza e sulla larghezza, e poco sulla profondità come elemento morfologico costitutivo, come avviene nelle piazze rinascimentali, dove ogni elemento, chiesa sul fondo, palazzi, fontane, sono uniti in un sistema prospettico unitario.
Al contrario, l'arte greca e romana è prevalentemente bidimensionale, nell'architettura, come nella scultura e nella pittura. La scultura antica ha sempre bisogno di avere dietro di sé un'ideale parete di fondo cui la scultura si aggrappa come un elemento essenziale, ancorchè non visibile, della costruzione artistica. Si pensi ad esempio al celeberrimo Laocoonte, tutto esteso il larghezza e non in profondità.
E' più simile ad un altorilievo che ad un'opera effettivamente tridimensionale.
E' che gli scultori greci e romani non amavano le deformazioni dei corpi causate da una costruzione dell'immagine di scorcio o in profondità. Il fatto che un braccio sembrasse in tal modo più corto dell'altro, era per loro un elemento otticamente fastidioso. E' il motivo per cui l'immagine poteva anche essere rappresentata in movimento violento, ma non doveva superare determinati limiti di profondità per non incorrere in deformazioni ottiche sgradevoli per i loro occhi. Essi conoscevano benissimo le regole del gioco, e potevano realizzare scorci sbalorditivi. Ma, tranne taluni brevi periodo della loro storia, non furono realmente interessati a proseguire in tali ricerche, limitate per lo più a singoli oggetti nello spazio."
9 - Ma quindi esiste già la prospettiva nella pittura romana?
"Il concetto della prospettiva non è stato il medesimo nei secoli. Si potrebbe affermare che non esiste una rappresentazione prospettica in sé, bensì numerose interpretazioni del reale su base visiva, e secondo metodi che mutano nel tempo e da paese a paese.
Scarsamente interessati al sistema di prospettiva lineare a fuoco unico "inventata" dagli architetti italiani nei primi decenni del Quattrocento, gli artisti greci, come poi quelli romani, distribuivano gli oggetti nello spazio liberamente, senza rigide costrizioni prospettiche, ed in primo luogo evitando scorci "deformanti". In tal modo non v'è alcuna fusione tra spazio e oggetti, che sembrano essere disposti l'uno a fianco dell'altro, o l'uno sopra l'altro, lasciando l'impressione di una certa instabilità dell'immagine.
Una più intima coesione era poi offerta dal colore, nel caso dei paesaggi "idillico-sacrali" da una sorta di pulviscolo lattiginoso che, come una nebbia, assorbe i singoli oggetti in un insieme compatto.
10 - Cosa dovrebbe, infine, spingere un visitatore a vedere questa mostra?
"La possibilità di vedere opere d'arte eccellenti in una eccellente condizione visiva.
E' una realtà di fatto che il pubblico italiano non ha la possibilità di vedere la pittura antica, per lo più raccolta in pochi musei se staccata dalle pareti, e in condizioni non buone di illuminazione. Né ha la possibilità di avere un quadro complessivo dell'evoluzione della pittura romana, se non spostandosi in vari musei e siti archeologici, in Italia e all'estero. In Italia sono conservati pochissimi esempi di ritratti su legno, e la possibilità di vederli a confronto con i ritratti pompeiani è certamente un motivo di enorme interesse.
Alle Scuderie del Quirinale, con Roma. La pittura di un Impero, il pubblico potrà rendersi conto di quanto fosse alto il livello qualitativo della pittura romana, e potrà farsi meglio un'idea di quanto la pittura moderna debba alla pittura antica, malgrado i grandi mutamenti di mentalità e di gusto.
Si potrà vedere da vicino, ad esempio, come molte delle tecniche pittoriche dell'età moderna, la macchia, l'utilizzo del chiaroscuro a tratteggio, la lumeggiatura, siano già presenti in epoca romana con opere che sembrano anticipare le acquisizioni del XIX e del XX secolo.
Sarà possibile ammirare a confronto opere di eccezionale livello qualitativo - come gli affreschi della villa della Farnesina, dovuti forse ad una maestranza che lavorava per la famiglia imperiale - con opere di pari livello provenienti dalla costa del golfo di Napoli, dove imperatori e membri dell'aristocrazia romana possedevano le loro ville più belle. Il frammento di parete di secondo stile da Solunto, il frammento di genio alato da Boscoreale al Louvre, il paesaggio dell'Odissea dal British Museum, tutto giocato nei toni del grigio, con una tecnica che prelude a Turner, i ritratti su vetro da Pompei e da Arezzo, nei quali si percepisce un raffinatissimo studio di introspezione psicologica, ulteriormente documentata dai ritratti su legno e su lino dall'Egitto (vengono alla mostra pregiatissimi ritratti da Londra, da Parigi, da Berlino, da Monaco di Baviera, da Francoforte, da Zurigo, da Mosca, la quale presta l'incredibile lenzuolo funerario conservato nel Museo Puskin, che sarà possibile porre a confronto con un altro lenzuolo dal Louvre, con un intenso ritratto femminile), le luminose Nozze Aldobrandine dei Musei Vaticani: sono questi solo alcuni tra gli straordinari capolavori che sarà possibile vedere nell'esposizione alle Scuderie.
Lo spettatore si renderà conto che molte ardite soluzioni artistiche raggiunte in età moderna erano state già preannunciate dall'opera dei pittori greci e romani".
Informazioni
Roma. La pittura di un impero
Luogo: Roma - Scuderie del Quirinale
Via XXIV Maggio, 16 - Roma
Periodo: dal 24 settembre 2009 al 17 gennaio 2010
Orari: da domenica a giovedì 10.00-20.00; venerdì e sabato 10.00-22.30. L'ingresso è consentito fino a un'ora prima della chiusura
Ingresso: Intero: 10,00 Euro - ridotto: 7,50 Euro
Catalogo: Skira, a cura di Eugenio La Rocca. Testi di Serena Ensoli, Stefano Tortorella, Massimiliano Papini, Barbara Bianchi, Barbara Borg, Stefano De Caro, Jaç Elsner, Andrew Wallace-Hadrill, Paul Zancker
A cura di: Eugenio La Rocca con Serena Ensoli e Stefano Tortorella. Con la partecipazione di Massimiliano Papini
Opere in mostra: 100
Allestimento: Luca Ronconi e Margherita Palli
Info e prenotazioni: singoli, gruppi e laboratori d'arte tel. 06 39967500
scuole 06 39967200