I Longobardi. Dalla caduta dell'Impero all'alba dell'Italia
Torino - Palazzo Bricherasio
Dal 28 settembre 2007 al 6 gennaio 2008
Aperta il 28 settembre a Palazzo Bricherasio la grande mostra dedicata ai Longobardi. Curata da Gian Pietro Brogiolo e organizzata in collaborazione con la Provincia di Torino e grazie al contributo della Fondazione CRT, l'esposizione si sofferma sul periodo che va dal 400 al 700, ossia dalla crisi seguita dalla caduta dell'impero d'Occidente fino al consolidamento dei nuovi stati sorti sulle sue rovine.
L'obiettivo è di definire, nel lungo periodo, un quadro delle trasformazioni
strutturali (nelle istituzioni, nell'organizzazione dell'insediamento nelle
città e nelle campagne, nel ruolo delle aristocrazie e della Chiesa), per poter
meglio apprezzare i cambiamenti introdotti nel primo secolo di dominazione
longobarda. E il filo conduttore è quello del confronto culturale e della
progressiva fusione tra i barbari e le popolazioni romane: scontro e incontro
tra culture in un periodo storico cruciale per la storia europea, nel quale
hanno avuto origine la gran parte delle attuali nazioni. Un leit motiv che si
sviluppa intrecciando tre diversi orizzonti geografici: il Piemonte, l'Italia,
l'Occidente mediterraneo.
Il Piemonte ha un ruolo privilegiato in questa mostra non solo perché la
ospita, ma anche per ragioni storiche e per la qualità e quantità
dell'informazione prodotta dalla ricerca archeologica. In età longobarda era
una regione chiave per la sua posizione geografica di confine con i Franchi,
saldamente insediatisi nella Val di Susa fin dagli anni '70 del VI secolo, per
il ruolo delle aristocrazie longobarde in grado di esprimere, tra fine VI e
prima metà del VII secolo, re come Agilulfo (590-615) e Arioaldo (626-636),
entrambi duchi di Torino. La sua importanza politica è confermata dalla
ricchezza dei ritrovamenti archeologici della fase gota e longobarda, a partire
da quello recente e eccezionale di Collegno (a pochi chilometri da Torino,
lungo la strada per le Gallie), dove si sono potuti indagare parallelamente
l'abitato e la necropoli.
Passando al quadro nazionale, le vicende dell'Italia, dopo la caduta
dell'Impero d'Occidente (476), sono cadenzate su tre avvenimenti principali.
Nel 489-493, con il favore dell'imperatore d'Oriente la conquistò Teodorico, re
dei Goti, che cercò di salvaguardare le istituzioni romane collaborando con il
senato e le aristocrazie. Entrata in crisi quella politica di pacifica
convivenza, la svolta alla storia della Penisola venne impressa da vent'anni di
guerra (dal 535 al 553) promossa dall'imperatore d'Oriente Giustiniano per
riannettere l'Italia. Ma la riconquista non durò a lungo. I Longobardi, entrati
in Italia nel 568, posero fine alla sua unità, occupandone una parte
consistente senza essere in grado, per l'esiguo numero, di unificare l'intero
territorio in un unico regno. Nei due secoli di dominazione la guerra si
prolungò in una serie di contese locali, mentre le terre dell'Impero bizantino
venivano sempre più circoscritte, oltre che alla Sardegna e alla Sicilia, al
controllo di Roma e delle coste, necessarie queste per mantenere il dominio dei
mari.
Nelle altre regioni mediterranee, mentre l'Italia si frantumava, Visigoti e
Franchi riuscivano invece a portare a compimento il processo di fusione tra le
aristocrazie germaniche e quelle romane, costruendo regni forti, in grado di
esercitare, nel caso dei Franchi, una diretta influenza anche sui Longobardi,
costretti, almeno nei primi tempi, a pagare un annuale tributo.
Questo contesto storico fa da cornice a trasformazioni strutturali nelle
istituzioni, nella cultura, nell'economia e nella società, trasformazioni che
la mostra intende delineare pur nei limiti della conservazione dei manufatti.
Il progetto espositivo ha il suo completamento presso l'Abbazia della Novalesa,
fondata nel 726 dal nobile franco Abbone, dove viene proposta una selezione di
sculture e di altri manufatti artistici che illustrano l'evoluzione dell'arredo
liturgico nell'Italia nord-occidentale tra il VI e il IX secolo.
I LONGOBARDI TRA STORIA E MITO
Gian Pietro Brogiolo
Nei celebri versi dell'Adelchi (Dagli atri muscosi e dai fori cadenti...) e
in modo più ragionato nel Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica
in Italia, pubblicati entrambi nel 1822, Alessandro Manzoni esprimeva, in
chiave antiaustriaca, un pesante giudizio negativo sui Longobardi. Un grido di
dolore da fine della civiltà, da day after, non molto diverso da quello
tratteggiato, in un quadro europeo, da Brian Ward Perkins in un suo volume del
2005, dal titolo assai esplicito: The Fall of Rome and the End of Civilisation,
nel quale sostiene, per alcune regioni dell'Impero d'Occidente, un ritorno non
solo all'età del Ferro, ma addirittura all'età del Bronzo. Con queste
drammatiche conclusioni, lo studioso inglese riprende con nuovi argomenti
l'interpretazione catastrofista che già era stata, nel XVIII secolo, proposta
da un grande storico britannico Gibbon, in opposizione all'idea ora prevalente
nella storiografia occidentale, di una lunga e feconda transizione dall'Impero
romano a quello carolingio, attraverso la formazione degli stati nazionali
europei.
Anche sulla "questione longobarda", ovvero sugli effetti della dominazione di
questo popolo scandinavo che dopo alcuni decenni di stanziamento in Pannonia si
trasferì definitivamente nel 568 in Italia, un'altalena di punti di vista
percorre l'intera storiografia italiana, dal Medioevo fino ai nostri giorni.
Alla rivalutazione che ne fecero nel XIV secolo autori come Galvano Fiamma a
supporto dell'espansionismo dei Visconti che si consideravano naturali eredi
dei Longobardi, si contrappose un riscontro fortemente critico in Flavio Biondo
(1392-1463), mentre più positive furono le considerazioni espresse da Niccolò Machiavelli (1469-1527), Cesare Baronio (1588-1607) e Ludovico Antonio Muratori
(1672-1750).
Perseverando in questa doppia lettura, la storiografia dei secoli XIX e XX
dipinge i Longobardi di volta in volta come crudeli invasori che provocano una
netta cesura della civiltà classica (da Carlo Troya a Giampiero Bognetti) o
come un gruppo già in larga misura romanizzato che, una volta insediato nelle
terre dell'Impero, collabora proficuamente con le aristocrazie locali nel dar
vita ad una nuova nazione (da Carl von Savigny a Gioacchino Volpe fino a Walter
Pohl).
I Longobardi sono peraltro solo uno dei popoli che si insediarono nelle terre
dell'Impero romano d'Occidente, fin dagli inizi del V secolo, quando le
fortificazioni sul Reno vennero superate da gruppi di Germani che dilagarono
nella Gallia e nella Hispania, mentre in Italia Alarico saccheggiava Roma.
L'Impero trattò con alcuni (Visigoti, Burgundi, Franchi), altri (gli Unni di Attila)
riuscì a sconfiggerli, riuscendo a sopravvivere fino al 476, quando il
comandante militare Odoacre depose Romolo Augustolo e rispedì le insegne
imperiali all'imperatore d'Oriente.
Un giudizio sui Longobardi non può dunque prescindere da una parallela disanima
dei nuovi stati romano barbarici che si affermarono, al termine di lunghi
conflitti spesso intestini in Gallia con il regno dei Franchi e in Hispania con
quello dei Visigoti.
La mostra non prende una posizione netta rispetto alle due tradizioni storiografiche
che ho ricordato e che si fronteggiano da mezzo millennio nel giudicare le
cause della fine dell'Impero in rapporto alle invasioni (che la storiografia
d'Oltralpe, tedesca e anglofona, ha da sempre definito con il termine più
positivo di migrazioni di popoli). I contributi del catalogo sono stati perciò
affidati a studiosi che hanno maturato idee differenti su queste vicende. Così
come diversi sono oggi i pareri, non solo degli studiosi ma anche della gente
comune, nel cercare di capire una situazione storica per certi versi simile a
quella tardo-antica, che ci pone di fronte ad una massiccia e inarrestabile
immigrazione che, come 1500 anni or sono, ci sta portando assai rapidamente (in
Italia in meno di vent'anni) verso società multietniche, multiculturali e multireligiose
che saranno certamente diverse (anche se ci risulta arduo capire quanto e come)
rispetto a quelle alle quali noi europei ci eravamo abituati da più di un
millennio. E non è difficile scorgere nelle contraddittorie interpretazioni
delle vicende che accompagnarono la fine dell'Impero d'Occidente un riflesso
del dibattito attuale tra chi vede l'immigrazione come un'opportunità non solo
economica ma anche di arricchimento culturale e chi ne paventa i rischi e le
prospettive incerte. E' dunque non privo di interesse ripensare ad un periodo
simile al nostro, anche se poco hanno al riguardo da insegnarci le vicende di
quel passato ormai lontano, che si incanalò su percorsi diversi da nazione a
nazione.
I Longobardi. Dagli imperatori ai re barbari
Dagli imperatori ai re barbari, articolata in tre nuclei tematici, apre
l'esposizione dedicata ai Longobardi soffermandosi anzitutto sulla
trasformazione dello stato e delle aristocrazie, laiche ed ecclesiastiche.
Nella prima parte, Simboli e rappresentazione del potere, vengono esposti
alcuni oggetti esemplificativi del ruolo e dei simboli della rappresentazione
del potere, dall'imperatore Onorio (inizi del V secolo) ai re barbari in
Occidente.
Disco bratteato
Cividale del Friuli, necropoli Cella, cosidetta Tomba del cavaliere
Inizio VII secolo
Oro sbalzato
Museo Archeologico Nazionale di Cividale
Nella seconda parte, Le trasformazioni delle aristocrazie, trovano spazio
oggetti (epigrafi e ritratti) che illustrano l'evoluzione dalle aristocrazie
tardo-romane a quelle militari dei regni. Famiglie senatoriali come quelle dei Simmaci, dei Nicomaci, degli Anici o dei Lampadi (dei quali è presente in mostra il
dittico) occupavano posti rappresentativi nell'amministrazione, come per
esempio quello di console.
Con l'arrivo dei Longobardi le fonti alludono solo sporadicamente alle
aristocrazie tardo-antiche. Le nuove élites legate alla corte del re sono
costituite dai capi militari. Vengono rappresentati in armi, a cavallo, come
nelle celebri raffigurazioni dello scudo di Stabio e della fibula circolare di Cividale, esposti in mostra. In ritratti ravvicinati, è possibile osservare la
tradizionale acconciatura di capelli, folte barbe e baffi come negli anelli
sigilli (ad esempio quello della tomba 2 di Trezzo), in alcuni bassorilievi
(eccezionale è quello di Novara) o nella singolare decorazione di un vasetto in
ceramica recentemente rinvenuto negli scavi di Vicenza.
Un nuovo leader: il vescovo
Raccoglie quegli oggetti che si riferiscono
al ruolo del vescovo, che dal 400 al 600 consolidò la sua influenza sul potere
grazie all'espansione del Cristianesimo e al suo importante ruolo nella società
tardo-antica. Con la conversione dei barbari dall'arianesimo al cattolicesimo,
i vescovi diventano un sostegno fondamentale alla politica dei re barbarici,
mentre il papa di Roma assume una funzione di indirizzo morale per l'intero
Occidente.
Pastorale di Saint Germain
Metà del VII secolo
Argento, pietre dure, legno
Musèe jurassien d'art et d'histoire, Delémont, Svizzera
Il mondo antico sopravvive, pur cambiando, soprattutto grazie alla continuità
della Chiesa come istituzione (un vescovo in ogni città con una rete di chiese
battesimali distribuite nelle campagne e una comunità di fedeli che va al di là
delle singole nazioni) e come ideologia, che si traduce non solo in
consuetudini collettive scandite da feste religiose e processioni, ma anche
nella conservazione, all'interno delle biblioteche dei monasteri e dei vescovi,
di tanti testi profani classici. La continuità con il mondo antico si ravvisa
anche nella conservazione di molti monumenti e del loro apparato decorativo, in
particolare dei palazzi del potere, oltre che nell'ininterrotto uso delle
chiese paleocristiane. Il prestigio di una città viene misurato, oltre che per
la sua dimensione, dal numero delle reliquie dei santi - dapprima dei martiri
delle persecuzioni poi dei primi vescovi - che a partire da sant'Ambrogio
vengono utilizzate sia come baluardo protettivo di fronte ai nemici, sia come
strumento di coesione sociale e politica interna. E nel paesaggio urbano erano
tenuti in gran conto anche altri relitti del passato: codici, oreficerie,
suppellettili di pregio che costituivano il tesoro dei potenti.
I Longobardi. Vivere in città e in campagna
La sezione Vivere in campagna e in città racconta, grazie all'esposizione
di manufatti delle lussuose abitazioni (in mostra quelli inediti della villa di
Faragola in provincia di Foggia, i mosaici delle ville e domus del Ravennate,
le decorazioni del palazzo di un ricco signore visigoto rinvenute a Pla de Nadal
in Spagna) e alle ricostruzioni multimediali dei successivi edifici più poveri
in materiali deperibili, le trasformazioni più marcate tra il V e il VII
secolo, quelle che si manifestarono nelle strutture insediative, e nei modi del
vivere quotidiano.
Ricostruzione dello Stibadium, Villa di Faragola (Ascoli Satriano)
Metà V secolo circa
Diversi sono i pareri, allo stato attuale della ricerca, sull'origine dei
processi che portarono alla scomparsa pressoché generalizzata delle lussuose
residenze romane. Per alcuni si svolsero all'interno della società tardo-antica
che, persa la dimensione imperiale, dovette adattarsi ad ambiti ed economie
regionali, nelle quali le merci mediterranee (ceramiche fini da mensa e anfore
di produzione africana e orientale) cominciano ad affluire in modo selettivo.
Nelle città bizantine senza palesi contrazioni, non solo a Roma (come esemplificano
i materiali inediti dai nuovi scavi della Crypta Balbi) ma anche nei porti
spagnoli (Cartagena), franchi (Marsiglia) e italiani (Napoli, Otranto, Ravenna),
dai quali raggiungono poi solo alcuni centri dell'entroterra.
Per altri la crisi interna, determinata da uno stato di guerra endemico, venne
aggravata dai barbari che, a differenza degli immigrati attuali, si insediarono
da padroni, controllando lo stato e l'esercito, acquisendo forzosamente
proprietà e affermando proprie tradizioni e stili di vita.
I Longobardi. Insicurezza e paura: fortificazioni e tesori
La mostra prosegue con la sezione Insicurezza e paura: fortificazioni e
tesori nella quale vengono proposti alcuni manufatti che illustrano il clima di
insicurezza di quel periodo, che porta alla militarizzazione della società,
accompagnata da una crescente attenzione rivolta ai sistemi di difesa. Le città
vengono cinte da mura sempre più possenti. Lungo le strade e nei punti
strategicamente rilevanti sorgono castelli per iniziativa dello Stato. Anche le
popolazioni locali riscoprono i siti di altura come sede abitativa.
La militarizzazione della società ebbe conseguenze anche sugli aspetti del
vivere civile: le tasse fondiarie non vennero più raccolte capillarmente,
l'amministrazione venne semplificata, il potere passò dai funzionari civili ai
capi militari. Testimonianze indiretta di quel periodo di incertezza e di
pericolo sono anche i numerosi tesori, costituiti da monete (come quelle
recentemente rinvenute nello scavo della chiesa di Pava in provincia di Siena),
gioielli (in mostra quelli rinvenuti a Desana) e suppellettili preziose (quali
il piatto argenteo di Isola Rizza e quello di Arten o i vasi liturgici di San Galognano,Siena) nascosti in momenti di difficoltà e poi non più recuperati dai legittimi proprietari.
Piatto in argento da Isola Rizza
Fine del V - inizio del VI secolo
Argento
Museo Civico di Castelvecchio, Verona
I Longobardi. Rituali della morte
La società multietnica dell'età delle invasioni trova un peculiare riflesso
nei Rituali della morte, ai quali è dedicata una corposa quarta sezione. I
Romani continuano a seppellire nelle necropoli antiche o in quelle sorte presso
le chiese, soprattutto in rapporto alle presenza di reliquie (sepolture
cosiddette ad sanctos), e affidano il ricordo del defunto ad un testo
epigrafico. Componenti sempre più consistenti della società longobarda adottano
nel corso del VII secolo l'uso di costruire cappelle funerarie private, come
quella costruita da Gunduald, commerciante di schiavi e proprietario terriero,
nel 680 a Campione d'Italia. Venne utilizzata per quattro generazioni fino a
che l'ultimo discendente, Totone, la donò al monastero di Sant'Ambrogio di
Milano.
Fibule a staffa da Villalta
Seconda metà del V secolo
Argento, almandini, paste vitree, ferro
Museo Naturalistico Archeologico di Santa Corona, Vicenza
La maggior parte dei Longobardi continuava peraltro ad inumare in necropoli in
campo aperto, con sepolture deposte, in modo regolare, a righe parallele. Tombe
che si caratterizzano per la forma, quali quelle delle fasi più antiche
sormontate da case in legno, e per il corredo, la cui ricchezza è in rapporto
al genere, all'età e alla posizione sociale del defunto che vede al più alto
livello gli uomini con armi. Mentre al livello più basso della società i servi
vengono talora sepolti nei cortili presso le abitazioni di povere capanne. La
presenza di alloctoni in Italia è segnalata oltre che dai corredi, in casi
eccezionali da consuetudini ancestrali quali la deformazione cranica che veniva
praticata da alcune popolazioni nomadi.
In questa sezione trovano spazio numerosi corredi tombali longobardi provenienti
dalle più importanti necropoli italiane, da Cividale del Friuli, Nocera Umbra, Trezzo
ecc. e dal Piemonte: oltre a quella di Borgo d'Ale, quattro corredi da
Collegno, recentemente scoperta e scavata dalla Soprintendenza archeologica del
Piemonte. Si tratta di oggetti di oreficeria e di alto artigianato, che si
ispirano alle produzioni bizantine oltre che alle iconografie tradizionali dei
popoli barbarici. Ed è proprio nelle manifestazioni artistiche che si avvertono
i sintomi di quel processo di fusione tra i popoli in grado di dar vita, tra VI
e VII secolo, alle nuove nazioni europee che usualmente definiamo come
romano-barbariche.
Tomba femminile 47 dalla necropoli di Collegno
Ultimo trentennio del VI secolo
Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo di Antichità Egizie, Torino
I Longobardi. La scultura tra chiese e monasteri
La mostra allestita negli spazi espositivi dell'Abbazia di Novalesa, si
configura come integrazione di approfondimento dell'esposizione di Palazzo Bricherasio
e intende illustrare uno degli aspetti più rilevanti della produzione artistica
tra VI e VIII secolo - la scultura funeraria o liturgica destinata agli edifici
di culto - e di farlo in uno dei luoghi più significativi del Piemonte alto
medievale per la rilevanza delle vicende storiche e la ricchezza dei
rinvenimenti archeologici, di cui è in via di completamento l'intervento di musealizzazione.
Nella sezione una selezione di opere, provenienti quasi esclusivamente
dell'Italia nord - occidentale, consente di seguire il percorso delle forme e
della produzione tra V e VIII-IX secolo e ne evidenzia due aspetti specifici:
la complessità delle componenti culturali di questa produzione, in cui
intervengono sia elementi della tradizione germanica sia - in misura
determinante - influssi dal mediterraneo orientali. Due reliquiari, quello
merovingio da Novalesa e un'eulogia della Terrasanta da Bobbio suggeriscono uno
dei tanti canali di trasmissione di linguaggi figurativi e stilistici nell'alto
medioevo occidentale.
Reliquiario in osso
Legno rivestito da placchette in osso decorate
Susa, Museo Diocesano d'Arte Sacra
Le opere esposte offrono un ricco panorama della scultura destinata ad articolare gli spazi liturgici e a perpetuare la memoria dei defunti in Piemonte, Lombardia, Liguria: una grande lastra da Barletta ci ricorda quale fosse il linguaggio della scultura tardoromana e - attraverso il confronto con alcune raffinate opere del tardo VI-inizio VII secolo - consente di mettere immediatamente in evidenza il radicale cambiamento linguistico, con l'abbandono del pieno rilievo e il passaggio al bassorilievo e al graffito, dapprima scelti come nuovo mezzo espressivo, quindi imposti come pressoché unica forma dalle condizioni produttive drammaticamente mutate. Le lastre esposte a Novalesa e quelle presenti a Torino consentono tuttavia di individuare anche una continuità produttiva nelle grandi città, per una committenza altissima che consentirà la trasmissione dei saperi tecnici e dei repertori iconografici lungo tutto il VII secolo, il cosiddetto secolo vuoto. Saranno in particolare le botteghe attive a Pavia a elaborare, tra la fine del VII e l'inizio VIII secolo, un linguaggio raffinato, di cui danno prova le due lastre funerarie da Sant'Agata in monte e i frammenti da Santa Maria d'Aurona a Milano. Particolarmente importante è la sezione piemontese, sia per la rilevanza della produzione scultorea della regione, la cui conoscenza è continuamente incrementata dalle indagini archeologiche, sia per la possibilità che si è concretizzata di riunire per la prima volta i frammenti di un arredo proveniente da Novalesa, divisi tra Novalesa e Torino dalle vicende conservative, ma anche una serie di arredi opera delle medesime maestranze attive per i più importanti luoghi di culto piemontesi alla fine dell'VIII secolo.
Pilastrino o cornice
Metà dell'VIII secolo
Calcare
Milano, Santa Maria d'Aurona
Milano, Civiche raccolte d'arte del Castello Sforzesco
Informazioni
I Longobardi. Dalla caduta dell'Impero all'alba dell'Italia
Luogo: Torino - Palazzo Bricherasio
Via Teofilo Rossi angolo Via Lagrange - Torino
Periodo: dal 28 settembre 2007 al 6 gennaio 2008
Inaugurazione: 27 settembre, ore 19.00 - Palazzo Bricherasio
Orari: lunedì: 14.30 - 19.30; da martedì a domenica: 9.30 - 19.30; giovedì e sabato: 9.30 - 22.30
Ingresso: 7,50 Euro; ridotto: 5,50 Euro; bambini (6 - 14 anni): 3,50 Euro; Audio guide: singola 3,00 Euro - doppia 4,50 Euro
Catalogo: Silvana Editoriale, Milano
A cura di: Gian Pietro Brogiolo
Info: tel. 011 5711811 - fax 011 5711850