L'età di Courbet e Monet. La diffusione del Realismo e dell'Impressionismo nell'Europa centrale e orientale
Passariano di Codroipo (Ud) - Villa Manin
Dal 26 settembre 2009 al 7 marzo 2010
Con questa mostra straordinaria, ricca di capolavori, viene per la prima volta organicamente studiato e raccontato in una esposizione un aspetto peculiare della cultura figurativa europea del XIX secolo. E cioè il rapporto tra la nascita della cosiddetta scuola di Barbizon in Francia e la diffusione del realismo e del naturalismo nei Paesi dell'Europa centrale e orientale. E subito dopo, a partire dagli anni settanta a Parigi, come l'affermazione dell'impressionismo abbia segnato in modo fondamentale la pittura di molte tra quelle nazioni, addirittura fino a XX secolo inoltrato.
Viene anche idealmente aperta l'offerta espositiva di Villa Manin ad un
pubblico effettivamente soprannazionale, in considerazione del fatto che la
Villa è al centro di un territorio che, al di là dell'Italia, si estende su
Carinzia, Tirolo, Stiria, Baviera, Slovenia e Croazia, un ambito entro cui
gravitano milioni di persone di lingue diverse ma unite dal linguaggio
universale dell'arte.
Proprio in virtù di questo ambizioso progetto, la Regione Friuli Venezia Giulia
e l'Azienda Speciale Villa Manin hanno chiesto a Marco Goldin di creare una
mostra che, per tema e ambito, potesse rivolgersi a un pubblico realmente
internazionale, il pubblico “nuovo” che Villa Manin ambisce ad attrarre. Ad
affiancare i due Enti regionali è Linea d'ombra libri, con l'apporto
fondamentale anche della Fondazione CRUP, Fondazione Cassa di Risparmio di
Trieste, Fondazione CARIGO e Fondazione Antonveneta.
Facendo ricorso a 120 opere, provenienti da musei di tutto il mondo, e come
logica prosecuzione di alcuni recenti progetti curati da Marco Goldin, la
mostra sviluppa una storia che non verrà illustrata attraverso una banale
suddivisione nazionale, ma piuttosto si esprimerà con una tematizzazione che
metterà puntualmente a confronto i dipinti francesi con quelli dei diversi
Paesi dell'Europa centrale e orientale. Così da scoprire, non nella genericità
dei nomi ma appunto dalla precisione degli accostamenti, la misura profonda di
una lezione, quella francese, che nel secondo Ottocento ha dilagato in tutta
Europa.
La mostra si concentrerà entro quattro distinti capitoli - Boschi e campagne,
Città e villaggi, Acque, Ritratti e figure - che ovviamente molto saranno
aderenti al senso del paesaggio, vero esprit del XIX secolo, ma indugeranno
anche su altro
Il puntuale resoconto dei rapporti tra Parigi e le grandi capitali del centro
ed est Europa, darà luogo in mostra all'istituzione di un dialogo che si
sviluppò sì nell'accostarsi al mondo del realismo e del naturalismo di Barbizon
prima e dell'impressionismo poi, ma che seppe anche trattenere quelle
affascinanti caratteristiche nazionali che hanno fatto di tanta pittura
ottocentesca del centro ed est Europa un caso di assoluta e indimenticabile
bellezza.
I viaggi degli artisti, e poi anche dei grandi collezionisti, verso Parigi non
sono dunque che il punto di partenza che l'esposizione vuole evidenziare,
fissandosi poi però alle caratteristiche di novità che quel vento portò verso
Amsterdam, Berlino, Bruxelles, Monaco, Zurigo, Vienna, Mosca, San Pietroburgo,
Varsavia, Praga, Budapest, Bucarest e tanti altri centri. E non solo i viaggi
verso Parigi, ma anche le mostre che in molte di queste capitali portarono le
opere degli stessi artisti francesi. O addirittura taluni quadri che in quelle
nazioni vennero realizzati soltanto sul racconto di chi a Parigi era stato, e
testimoniava ai pittori che mai vi erano giunti il loro entusiasmo.
Quindi la rassegna di Villa Manin si raccoglierà dapprima attorno ai dipinti di
maestri celebri quali Courbet, Corot, Daubigny, Millet, Rousseau solo per dire
di alcuni che hanno fatto dell'impronta legata al realismo e al naturalismo la
loro forza. Poi si avvicinerà gradualmente al primo tempo impressionista, con
un folto e meraviglioso gruppo di opere di Manet, Monet, Bazille, Caillebotte,
Sisley, Renoir, Pissarro, Degas, Cézanne fino all'esplosione dello stesso
impressionismo nel suo tempo più pieno, anche con il coinvolgimento di Vincent
van Gogh, presente nell'esposizione friulana con tre, motivatissime opere, la
prima una grande, straordinaria tela del periodo olandese e le altre, due
sensibilissime versioni della Senna a Parigi. Quadri provenienti dal
Kröller-Müller Museum di Otterlo e dal Van Gogh Museum di Amsterdam.
Di volta in volta cercando, e trovando, concordanze di soggetto e linguaggio
con i migliori pittori del centro ed est Europa, che quindi saranno agli
artisti francesi accostati sulle pareti di Villa Manin. Pittori, almeno alcuni,
in Italia non così noti, ma spesso di inarrivabile bellezza e che talvolta
hanno gareggiato con gli impressionisti nella precoce realizzazione di certi
temi, come nel caso del grande pittore ungherese Pál Szinyei Merse. E poi da
Levitan a Serov in Russia, da Chelmońsky a Podkowinski in Polonia, da Grigorescu
e Andreescu in Romania a Chitussi nella Repubblica Ceca, da Leibl a Liebermann
in Germania, da Calame al giovane Hodler in Svizzera, da Mesdag a Maris in
Olanda, da Rops al primo Ensor in Belgio, da Schuch a Wiesinger – Florian in
Austria, solo per fare alcuni nomi tra i tanti che saranno portati a conoscenza
del pubblico italiano.
Per far infine comprendere, per la prima volta, il senso di un percorso che ha
indubbiamente segnato in modo profondo alcuni decenni di pittura nel secondo
Ottocento nel vecchio Continente. Attraverso opere universalmente conosciute,
come quelle degli impressionisti francesi, e opere che gareggiano con quelle
per fascino anche se non per notorietà. Così Villa Manin porterà alla luce una
pagina d'arte straordinaria e il visitatore potrà avvicinarsi a qualcosa di non
completamente conosciuto.
Questa mostra, attraverso 133 dipinti provenienti da una trentina di musei
europei e americani, e alcune collezioni private europee, è una vera avventura
di nuova conoscenza, di sussulti continui e inattesi di bellezza che giungono
dai luoghi più diversi dell'Europa. Nuova conoscenza perché mai si è svolta
un'esposizione su questo tema e perché il catalogo che l'accompagna è la prima
pubblicazione che organicamente studia l'influenza che la pittura francese ebbe
nel secondo Ottocento sulle nazioni dell'Europa centrale e orientale. Con il
contributo, per i saggi, di una quindicina di importanti studiosi e curatori di
tutto il Continente. Occasione certamente unica per conoscere musei e collezioni
che normalmente non sono, almeno alcuni, tra le mete prescelte dagli stessi
storici dell'arte. E invece luoghi straordinari nei quali si conservano opere
che sovente sono in grado di gareggiare per bellezza con quelle tanto amate e
celebrate degli impressionisti francesi. Opere che però sono sostanzialmente
ignote al pubblico e che nella mostra di Villa Manin offriranno a tutti coloro
che vi giungeranno l'opportunità di scoprire dipinti sempre posti nella dovuta
relazione con l'arte francese che li ha ispirati.
Per ogni Paese, dall'Olanda fino alla Russia, è stato scelto il museo che
meglio di ogni altro poteva rappresentare l'identità della pittura nazionale, e
dunque proprio da quei musei giungeranno a Villa Manin le opere. Dal Museo
Mesdag all'Aia fino alla Tretjakov a Mosca. Ma l'identità della pittura di ogni
singolo Stato ha in questa esposizione sempre il suo riferimento nello sguardo
lanciato verso Parigi, quando non fossero stati i soggiorni, anche assai
lunghi, che molti pittori fecero nel secondo Ottocento nella capitale francese.
E dunque il senso vero della rassegna friulana è dal continuo intreccio dei
temi e delle figure, dal continuo intersecarsi dei motivi e dei rapporti. Vi si
scoprono così pagine del tutto inesplorate di pittura e la visita alla mostra
darà luogo alla costruzione di un nuovo, incantato romanzo.
Senza isolare nelle diverse sale la pittura di ogni singola nazione, le quattro
sezioni della mostra – “Boschi, campagne, case”, “Acque”, “Ritratti”, “Natura
abitata” – sono il resoconto di un grande sentimento che nella seconda parte
del XIX secolo attraversa l'Europa. Quel sentimento che vede nella scoperta
della natura da parte degli artisti di Barbizon in Francia un punto di
fondamentale novità. Il gusto per il cosiddetto plein-air - sulla scia di
quanto aveva già fatto per esempio Constable in Inghilterra al principio
dell'Ottocento, ma anche nel ricordo di taluni pittori olandesi del Seicento
come Ruisdael - è uno degli appoggi fondamentali della nuova pittura. Quella
novità cui guardano con estremo interesse, fino al punto da recarsi nella
foresta di Barbizon, pittori per esempio rumeni o olandesi, tedeschi o
svizzeri, cechi o ungheresi. Il senso del naturalismo nasce nella sua
completezza dall'opera di Corot (e sappiamo bene quanto venne egli colpito
dalla mostra di Constable che Parigi ospitò nel 1822, tanto da convincerlo, tre
anni più tardi, a partire per l'Italia alla ricerca del motivo), di Courbet, di
Daubigny, di Rousseau, di Diaz de la Peña, che poi si trasferisce nelle opere
giovanili di Monet, Sisley, Pissarro, Renoir. Impegnati, questi ultimi, quasi
nei medesimi luoghi, come la foresta di Fontainebleau, a rintracciare altre
luci rispetto a quelle dei pittori della generazione precedente e a rendere più
legata a una realtà trasformata la descrizione della natura, evitando le
genuflessioni davanti alla scenografica e accademica natura di ispirazione
storica, mitologica e religiosa.
In questo intreccio tra Corot e Courbet da un lato, pur con le distintive
peculiarità, e Monet, Sisley e Pissarro dall'altro, si inseriscono autori di
ogni nazione d'Europa che declinano quel sentimento della natura in una lingua
che al francese della pittura sta molto vicina. Su uno dei temi più affrontati,
come quello del bosco, se ne ha chiara testimonianza. Allora a Corot, Courbet,
Rousseau, Diaz de la Peña si affiancano due grandi pittori rumeni come
Grigorescu e Andreescu, che a Barbizon vivono a lungo assorbendo tutte le
caratteristiche principali della pittura di quelli. Ma ancora Paál a Budapest,
vicino anche a certi paesaggi del primo Pissarro, che nella loro spoglia e
distesa orizzontalità sono l'evidente necessità di catturare il sentimento dei
luoghi. E ancora sul tema del bosco ovviamente alcuni esponenti della Scuola
dell'Aia in Olanda (Maris, Gabriel, Mesdag, Mauve), forse nel suo complesso la
più vicina, assieme ai rumeni, ai pittori di Barbizon. Ma anche le scuole
russa, polacca e ceca, con alcuni dei loro rappresentanti migliori (Bogolyubov,
Chelmoński, Chittussi), sentono forte questa consonanza di temi e
sentimenti.
E poi un insospettabile, giovane Hodler, fortemente attratto da Courbet che da
lui viene visitato in Francia alla metà degli anni settanta. Ancora sul tema
del bosco, come un grande quadro in mostra mette bene in evidenza. Hodler
seguito a sua volta da un interessantissimo, e assai poco noto, altro pittore
svizzero come Stauffer-Bern, a Hodler chiaramente vicino e dunque per li rami
allo stesso Courbet, così maestoso e forte. O ancora Boulenger in Belgio, o
appunto lo straordinario pittore polacco Chełmoński, presente tra
l'altro con un superbo bosco innevato che viene raffrontato con i dipinti di
neve di Pissarro e Monet. E solo avendo appena accennato ai primi nomi e ai
primi rapporti, in quella che in mostra è la descrizione di un vero e proprio
romanzo ottocentesco, con la sua immensa trama tra natura e figura, si
comprende come tutto divenga davvero occasione di nuova e sensibilissima
conoscenza.
Perché poi, tenendo ben saldo il riferimento più determinante che è quello
all'opera di Monet (presente in mostra con una dozzina di opere molto belle e
sempre motivatissime, per istituire quei rapporti e quelle relazioni sopra cui
si fonda questo progetto espositivo), si vede per esempio come gli si facciano
vicino due tra gli autori più significativi di tutta l'esposizione, il ceco
Chittussi e l'ungherese Szinyei Merse, entrambi lavorando su uno dei temi più
congeniali a Monet, come la distesa dei campi fioriti. Questi due artisti
saranno una tra le sorprese più belle sia per gli studiosi che per il largo
pubblico, anche per certe loro scelte che talvolta sembrano addirittura
procedere quasi di pari passo, dal punto di vista delle date, con gli
impressionisti. Non sarà inutile osservare infatti nell'esposizione alcune tele
affiancate di Monet, Renoir, Szinyei Merse ma anche Andreescu, anticipate da
opere superbe del giovane Bazille, sul tema delle figure femminili (e in lui
anche un nudo maschile rarissimo e straordinario) tra l'erba. Così come su
questo, che è uno dei soggetti più famosi dell'impressionismo, prove di rara
bellezza ha dato un altro pittore ceco presente in mostra, come Slaviček.
L'ambiente di Praga è comunque uno tra i più fervidi per il rapporto con la
Francia e Chittussi (di origine ferrarese) rimane il riferimento fondamentale,
anche con alcune visioni della Senna, dipinte negli anni stessi di Monet,
Sisley e Pissarro al principio degli anni ottanta. Così come il grande pittore
russo Levitan, dal Monet di Vétheuil tra la fine degli anni settanta e l'inizio
del decennio successivo trae, su certi temi d'acqua, tutta la felicità di cieli
colmi di nuvole che si specchiano sul fiume. Come talvolta farà anche Sisley
nei suoi quadri più felici del suo pieno decennio impressionista. Mentre un
altro pittore russo, Bogolyubov, sembra più vicino alla descrizione
maggiormente puntuale del Boudin dei primi anni settanta. Fino a che giunge Van
Gogh a trasformare, con le sue visioni della Senna a Parigi, l'idea di come un
fiume possa essere dipinto. E comunque prima che sia la dissoluzione cromatica
operata da Monet in alcuni più tardi dipinti a Vétheuil, nel 1901, uno dei
quali presente a Villa Manin.
E da un giovane Monet alla metà degli anni sessanta (quadro meraviglioso e
rarissimo del 1864, proveniente dal Van Gogh Museum di Amsterdam), assieme a
Courbet, Boudin, Daubigny e Lepic, si riparte per il racconto del mare, che
trova un suo punto di eccellenza – oltre che per esempio in Artan de
Saint-Martin in Belgio, ancora in Levitan ma anche Shishkin in Russia – in quel
dipinto famosissimo che è il grande studio (una tela di oltre due metri) per il
panorama di Scheveningen dipinto da Mesdag in Olanda, un altro tra i tanti,
importanti prestiti per la mostra di Villa Manin. Ma poi come la costa di
Normandia in Francia interessasse oltre che a Monet anche a tanti tra gli
artisti dell'est europeo, lo vediamo per esempio in uno tra i maggiori pittori
ungheresi del secondo Ottocento come Munkácsy, che la dipinge nel 1880. Così
come al Monet che nel 1888 dipinge il Mediterraneo da Antibes, si affianca due
anni dopo sulle stesse coste Isaac Levitan. O nello stesso 1888 un pittore
austriaco, in Italia del tutto sconosciuto, come Zoff.
E poi le ultime due sezioni, ricchissime di opere e di capolavori, sul tema del
ritratto e della figura nel paesaggio. A partire dal rapporto, con le immagini
dei piantatori di patate, tra Millet e Van Gogh, con un suo grande e
fondamentale quadro del periodo olandese, proveniente da quel tempio
vangoghiano che è il Kröller-Müller Museum di Otterlo. Rapporto, quello tra
Millet e Van Gogh, che interessa diversi altri pittori europei, come per
esempio il ceco Brožík, che sullo stesso tema dei piantatori di patate realizza
nel 1885 un dipinto di sensibile forza poetica. O i polacchi Szermentowski e
Gassowsky. Ma poi correranno in sequenza opere bellissime di Courbet, Degas, Manet,
tutte nell'ambito del ritratto che nasce dall'adesione al reale, nel continuo e
palese confronto con autori come il polacco Rodakowsky, il tedesco Leibl, gli
ungheresi Székely e Deák-Ébner solo per dire di alcuni. Prima che sia
quell'interessantissimo rapporto tra certi ritratti degli impressionisti e il
giovane Ensor, e poi anche Khnopff sempre in Belgio. Tra Corot e il russo Repin
e soprattutto tra i ritratti di bambini realizzati da Renoir nella seconda metà
degli anni settanta e Korovin, Surikov e Serov in Russia.
LE SEZIONI
Boschi, campagne, case
Nella vicenda dell'impressionismo che dilaga in tutte le contrade d'Europa
sul finire del XIX secolo, la figura di Claude Monet resta ovviamente quella
fondamentale e la più alta. Il tema dei campi, e dei campi fioriti, e spesso
anche delle figure che su quei campi si adagiano, è giunto fino a noi come
emblema appunto dell'impressionismo. Pittori di straordinario interesse, e
poetica sensibilità, come l'ungherese Szinyei Merse e il ceco Chittussi che nel
1885 dipinge nella zona di campagna attorno a Orleans, in questo caso si
affiancano a Monet nel rosso dei tulipani e dei papaveri. E Chittussi inserendo
anche lo scorrere di un treno nella natura, così come Monet aveva fatto già
quindici anni prima, toccando il tema della modernità avanzante nel suo
rapporto con l'idillio del paesaggio. Ma anche altri pittori, certamente ancor
meno conosciuti, che sul tema dei campi fioriti si confrontano, quali due
figure femminili, Wisinger-Florian in Austria e Van Rappard in Svizzera.
E sempre sul tema dei campi, in una loro secca e scabra essenzialità invernale,
la mostra propone per esempio il rapporto tra il talentuoso ungherese Paál e
Pissarro. Così come Pissarro è nuovamente al centro di un bellissimo confronto con
Gabriel, uno tra i principali pittori della Scuola dell'Aia in Olanda. Alla
metà degli anni sessanta entrambi dipingono le facciate squadrate e invase dal
sole o dall'ombra nel traffico silenzioso della campagna. Ed entro questa
sensibilità di solitudine, e appartata, si svolge il rapporto tra il pittore
svizzero Menn (dal Kunstmuseum di Berna, così come le opere degli altri pittori
svizzeri) e Corot, proprio a seguito del periodo che il grande pittore francese
trascorre a Ginevra.
Il tema del bosco è uno tra quelli centrali, e determinanti, nella mostra.
Ovviamente in questo caso la partenza origina dai pittori di Barbizon:
Rousseau, Corot e soprattutto Courbet. La descrizione della natura che nasce in
Francia, appunto a Barbizon, resta nel secondo Ottocento in Europa episodio
addirittura più importante della successiva diffusione dell'impressionismo.
Dall'Olanda alla Russia, anche con i molti viaggi compiuti dagli artisti verso
quei boschi mitici, nessuno riesce a sottrarsi a questo fascino del paesaggio
scoperto nella sua verità.
La lunga parete con le opere sul bosco, più o meno tra gli anni cinquanta e
settanta del secolo, dice di questi rapporti continui, talvolta diretti e
talvolta mediati, con la Francia. Hodler a contatto con Courbet nel 1874, e di
riflesso il connazionale, molto più noto per la sua attività ritrattistica,
Stauffer-Bern. Poi il russo Bogolyubov, che al principio degli anni settanta
compie ugualmente un viaggio nei boschi francesi, e ne dà conto in alcuni
quadri molto belli, uno dei quali presente in mostra. Il rumeno Andreescu (le
sue opere provengono dalla Galleria Nazionale di Bucarest, come quelle di tutti
i pittori rumeni), tra la figure più alte di tutta l'esposizione, che con
l'amico pittore Grigorescu va a Barbizon già all'inizio degli anni sessanta. O
ancora il belga, affascinatissimo dagli artisti di Barbizon, Boulenger (opere
provenienti anche dai Musées Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles).
Resta naturalmente da dire delle opere giovanili degli impressionisti sul tema
del bosco, qui rappresentate da Monet e Sisley alla metà degli anni sessanta.
Un grande e famoso quadro di quest'ultimo (proveniente dal museo di
Southampton), tra gli assoluti capolavori del suo periodo giovanile, è
affiancato in mostra a un querceto che un sensibilissimo pittore russo come
Shishkin dipinge nel 1873. Posticipando così quel dialogo che un decennio prima
avvenne in Francia tra l'opera di Corot e quella di Monet, Pissarro, Sisley e
Renoir. Nel tentativo di dire con una lingua nuova l'impatto della natura
nell'occhio.
La dimensione della vita rurale, e della laboriosità dei contadini intenti alla
fatica nei campi, con tutte le implicazioni sociali che ne conseguono, è senza
dubbio uno tra i motivi più noti, non solo della pittura, nel secondo Ottocento.
Ovviamente tutto ciò si accende nel rapporto celebre di filiazione a distanza
tra Millet e Van Gogh, puntualmente rappresentato con due capolavori
provenienti rispettivamente dal Museum of Fine Arts di Boston e dal
Kröller-Müller Museum di Otterlo. Ma si vedrà nella mostra quanto si sviluppi
ovunque, come per esempio nei quadri sensibilissimi del pittore ceco Brožík e
di Andreescu. Nei quali l'idea della campagna si associa alla presenza
immutabile dell'uomo, in una loro indivisa sostanza.
Acque
Perfino inutile sottolineare come il tema dell'acqua - fiumi e mari e laghi
- sia uno tra i più affrontati nella pittura francese dalla metà del secolo.
Dapprima con Corot, poi con gli ispidi mari di Courbet, oppure certi suoi
distesi, fino alle acque levigatissime di Daubigny. Soprattutto Monet, Sisley,
Caillebotte e Pissarro tra gli impressionisti vi hanno dedicato infiniti
dipinti, autorizzando poi confronti tra i più belli e motivati con moltissimi
pittori di tutta Europa.
La mostra di Villa Manin propone molte sequenze che resteranno nella memoria
dei visitatori. A cominciare da quella che si sviluppa entro i toni
meravigliosi delle ocre ora più pallide ora più accese delle spiagge che si
approssimano al mare. E' della metà degli anni settanta una serie di quadri,
alcuni anche di vastissimo formato, che tra Francia, Belgio e Olanda dicono di
questa bellezza superba dell'essenzialità prima di tutto della pittura. Poi del
silenzio che tutto ammanta e avvolge. Dalle spiagge di Boudin a Berck a quella
vuota di tutto di Lepic (dal Museo di Lille in Francia) negli stessi luoghi, a
quelle dei belgi Artan de Saint-Martin e Lamorinière, e Mesdag (da quel tempio
che è il Mesdag Museum all'Aia, così come tutte le altre opere di pittori
olandesi) davanti al mare di Scheveningen, dove sta per giungere anche Van Gogh
per certi suoi primi quadri di fronte all'acqua scura del mare del Nord.
E ancora restando al tema delle grandi acque distese, la mostra propone il
confronto tra una grande visione del Mediterraneo dipinta da Courbet nel 1858 e
proveniente dal Van Gogh Museum di Amsterdam e un rarissimo Monet del 1864,
dallo stesso museo, che dall'alto inquadra il mare di Normandia proprio sulla
scia dell'esempio di Courbet. A questo spirito, che evoca ancora il naturalismo
descrittivo, si affianca per esempio Daubigny con un suo mare a Villerville
invaso dalla luce schioccante del sole al tramonto, oppure l'ungherese Munkácsy
che nel 1880 si trova a dipingere proprio davanti alla costa di Normandia tanto
cara a Monet, che vi condurrà di lì a poco una prima, vera e propria campagna di
pittura, doppiata da una seconda subito dopo la metà dell'ultimo decennio del
secolo.
Ma i mari di Monet sono anche altri, e tra 1884 e 1888 c'è la discesa verso
sud, prima a Bordighera e poi in Costa Azzurra. Il mare è ormai cosa del tutto
diversa, sente stilisticamente l'esempio di quanto andava compiendo il giovane
Seurat ed è lo stesso Monet a dircelo nelle lettere bellissime che invia alla
seconda moglie, parlando di una tessitura di azzurro e rosa come un tappeto di
pietre preziose. Il Mediterraneo è la luce diversa per la pittura, così come lo
sarà di lì a poche settimane per Van Gogh, che nel giugno dello stesso 1888 si
affaccia sulle sue rive, portando con sé una manciata di tele soltanto. A quel
Mediterraneo dipinto da Monet guarda forse il più alto tra i pittori russi del
secondo Ottocento, Levitan. Nel suo quadro adesso esposto, del 1890, si perde
definitivamente il senso della veduta e viene prediletta un'inquadratura
ravvicinata, che si concentra sul senso del movimento delle onde e sui riflessi
dell'acqua. Ma nel 1888, un pittore austriaco certamente ignoto al pubblico
italiano, Alfred Zoff (per lui come per gli altri pittori austriaci le opere
provengono dal Rupertinum di Graz), in un suo mare dipinto in Riviera lavora
nello stesso modo e con lo stesso sentimento del mondo.
Naturalmente il tema del fiume, la Senna principalmente, è un altro dei cuori
pulsanti della mostra. Anche qui il rapporto tra Monet e Levitan non lascia
indifferenti. E più ancora che nel capolavoro del 1897 appartenente alla serie
con i Mattini sulla Senna, nella appena più tarda visione del fiume a Vétheuil
del 1901, nella quale Monet, si direbbe quasi in libera uscita dalla sua
proprietà di Giverny, negli anni in cui è costante l'andirivieni con Londra,
irrora dei colori dell'intero arcobaleno l'acqua che scorre. Quei colori che
Levitan ci indica negli stessi anni nei suoi quadri, quasi riandando anche ai
dipinti degli anni settanta di Sisley. Così come tra Sisley e Pissarro si
muovono il ceco Chittussi (i suoi quadri, così come quelli degli altri pittori
cechi, sono prestati dalla Galleria Nazionale di Praga) e lo sloveno Jettel,
con una importante coincidenza temporale del primo rispetto ai paesaggi degli
impressionisti. Ma è chiaro che i due bellissimi dipinti in mostra di Van Gogh
(dal Van Gogh Museum di Amsterdam), realizzati a Parigi lungo la Senna nel
1887, ci dicono di come questa tensione del colore toccasse, seppur in modo
diverso, in quei mesi cruciali, talenti inarrivabili quali Monet, Seurat e lo
stesso Van Gogh. Che la morte precoce di Seurat avrebbe tenuto nel silenzio e
che invece si sarebbe sviluppata come ben sappiamo negli altri due.
Ritratti e Natura abitata
Infine il gusto e il senso del ritratto, e le figure nel paesaggio, nelle
due grandi sezioni che chiuderanno la mostra. Ritratti che via via perdono la
loro ufficialità, il loro compito di fissare un ruolo per colui o colei di cui
si sceglie di riprodurre l'immagine. Già nelle opere di Corot e Courbet, che
aprono questo conclusivo capitolo, il dato della celebrazione cede a favore
della verità nel raccontare volti e corpi. La loro collocazione nella natura
diventa abituale, come nei quadri vicini, e di identica pittura elegantemente
franta, di Renoir e di uno tra i maggiori impressionisti russi, Korovin. E
assieme all'esempio di Renoir, e ovviamente di Monet, che in Europa resterà
fondamentale per tanti, è anche la linea che in Francia parte da Manet e da
Degas a trovare terreno fertile nelle altre nazioni, soprattutto quelle della
zona centrale del Continente. Un desiderio di incidere e di scoprire le forme,
dare il senso di una profondità psicologica come fanno, solo per evidenziare
due esempi tra i tanti, Leibl in Germania e Székely in Ungheria.
Queste due conclusive sezioni, nel loro insieme, sono prodighe di esempi e di
confronti, entro una superlativa linea di qualità pittorica. Molti e
fondamentali i prestiti concessi dai musei di tutto il mondo, e da alcuni
americani in modo particolare. Le figure nel paesaggio sono tema che connette
l'importanza comunque sempre viva del ritratto con l'adesione costante alla
natura. Il Musée Fabre di Montpellier presta per esempio un grande dipinto di
Bazille, da poco entrato nelle sue collezioni e in fase di completo restauro
proprio in vista della mostra di Villa Manin. Un nudo maschile disteso
sull'erba in quella fase pittorica che precede la morte dell'artista nella
guerra Franco-Prussiana e che chissà quali esiti avrebbe potuto dare. E dopo
questo meraviglioso dipinto, sarà ancora Bazille, con il suo celeberrimo Veduta
del villaggio del 1868, sempre dal Museo di Montpellier, ad aprire una serie
indimenticabile di figure nella natura. A questa ragazza in abito bianco sotto
un pino marittimo, alta sul villaggio, rispondono subito dopo quadri celebri,
provenienti dal Museum of Fine Arts di Boston, di Renoir e Monet. Ma subito gli
accostamenti consentono di vedere la straordinaria precocità di uno tra gli
autori più interessanti della mostra, l'ungherese Szinyei Merse (dalla Galleria
Nazionale di Budapest, così come quasi tutti gli altri quadri ungheresi), che
all'aprirsi degli anni settanta dipinge alcune bellissime figure distese tra
l'erba. Senza essere ancora mai stato a Parigi e dunque come spirito dei tempi.
Più tarde, e pur tuttavia bellissime, alcune altre figure nel paesaggio di
provenienza geografica mitteleuropea, come quelle di Stössel, Sternen,
Slaviček. Sempre in quest'area, e segnatamente in Slovenia, è
interessante notare la singolare vicinanza, documentata in mostra, tra certi
ritratti di Caillebotte (da importanti collezioni private francesi) tra la fine
degli anni settanta e i primissimi anni ottanta, e quelli di Jacopič, Jama
e Šubic (dalla Galleria Nazionale di Lubiana).
Detto della presenza di ben tre grandi ritratti del più noto tra i pittori belgi,
Ensor, a inizio anni ottanta, nel suo momento certamente più legato all'esempio
francese, con prestiti dai musei di Gand e Anversa, va sottolineato l'interesse
fortissimo di alcuni pittori russi di talento come Korovin, Serov, Repin e
Surikov, per Renoir. Un grande ritratto di quest'ultimo, uno dei suoi
capolavori degli anni settanta proveniente dal museo americano di Columbus,
consente di fare questa verifica rispetto al gruppo di opere che giungono dalla
Tretjakov di Mosca.
Una parete si aprirà con tre famosi ritratti dipinti da Courbet tra il 1854 e
il 1862, tra cui il celeberrimo Autoritratto con il colletto a righe, dal Musée
Fabre, scrigno prezioso per le opere di Bazille e appunto Courbet. Dal forte
realismo di Courbet, con questi tre quadri in sequenza, si passerà a ritratti
del primo tempo di Manet (il notissimo Ritratto di Victorine Meurent del 1862
dal Museo di Boston) e Degas (tra gli altri, il superbo doppio ritratto delle
sorelle Montejasi Cicerale dal Wadsworth Atheneum di Hartford negli Stati
Uniti), fino al rarissimo, e mai prestato, Ritratto di Bazille dipinto da Monet
nel 1868 (Musée Fabre), a sancire anche la grande amicizia tra i due pittori.
Ma come i modi francesi in questa fase aurorale dell'impressionismo interessino
soprattutto gli artisti tra Germania, Ungheria e Polonia, ce lo dicono in
mostra gli accostamenti ad altri ritratti dipinti da personaggi come Leibl e
Trübner appunto in Germania (dai musei di Amburgo e Brema), Deák-Ébner e
Székely in Ungheria e Rodakowsky in Polonia (dalla Galleria Nazionale di
Varsavia, come tutti gli altri prestiti polacchi).
In modo quasi simbolico la mostra si chiuderà con due quadri nei quali il
pittore dipinge un pittore che dipinge. All'opera del tedesco Wenglein, dalla
Neue Pinakothek di Monaco di Baviera, che nel 1868 dipinge il suo collega Adolf
Lier, pur presente in mostra con due quadri, mentre lavora en plein air sulla
riva di un torrente, verrà affiancato uno dei quadri simbolo dell'intero
impressionismo. Il fatto è noto: Renoir nell'estate del 1873 va a trovare Monet
nella sua casa ad Argenteuil, lungo le rive della Senna, appena a nord di
Parigi. I due amici, nel tempo della preparazione della prima mostra
impressionista, che si sarebbe svolta nello studio di Nadar nella primavera successiva, decidono di dipingere insieme nel giardino. Ma in modo molto particolare. Monet è intento a realizzare sulla sua tela proprio un angolo di quel giardino delle
delizie che anche in questa mostra vediamo in un suo capolavoro del 1875
proveniente dal Museo di Boston. Renoir pone il suo cavalletto poco distante
dall'amico intento nel suo lavoro, e si pone a dipingere proprio l'amico che
dipinge. Ne nasce uno dei quadri manifesto dell'intero impressionismo,
eccezionalmente prestato per questa mostra dal Wadsworth Atheneum di Hartford.
Conclusione strepitosa di un'esposizione che non mancherà di stupire.
Informazioni
L'età di Courbet e Monet. La diffusione del realismo e dell'impressionismo
nell'Europa centrale e orientale
Luogo: Passariano di Codroipo (Ud) - Villa Manin
Periodo: dal 26 settembre 2009 al 7 marzo 2010
Orari: dal 26 settembre al 1 novembre ore 9-19. Dal 2 novembre a fine mostra
da lunedì a giovedì ore 9-18, venerdì sabato e domenica ore 9-19. Chiuso 24, 25
e 31 dicembre 2009. 1 gennaio 2010 ore 11-19
Ingresso: intero 10,00 Euro, ridotto gruppi 8,00 Euro, ridotto scuole 6,00
Euro
Catalogo: a cura di Marco Goldin, edito da Linea d'ombra Libri
Info e prenotazioni: Call center tel. 0422 429999 - fax 0422
308272