de Chirico e il museo
Roma - Galleria nazionale d'arte moderna
Dal 31 ottobre 2008 al 25 gennaio 2009
Dal 31 ottobre 2008 al 25 gennaio 2009 la Soprintendenza alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea e la Fondazione Giorgio e Isa De Chirico presentano una mostra dal titolo de Chirico e il Museo, a trent'anni dalla scomparsa del maestro (1888 – 1978).
Non è la consueta esposizione antologica, ma una messa a punto del costante e complesso rapporto che De Chirico intrattenne con l'arte del passato, e che si configura come una sorta di museo immaginario, rappresentato in mostra dalle opere che l'artista aveva tenuto presso di sé e che oggi sono suddivise fra le raccolte delle due istituzioni organizzatrici.
L'itinerario espositivo comprende circa 100 fra dipinti e disegni, con una sola grande scultura, e si articola in sei sezioni tematiche: Mitologia e Archeologia (con temi e suggestioni dall'antico), La copia (con dipinti eseguiti alla maniera dei grandi maestri), La grande pittura (nel segno del "ritorno al mestiere" propugnato nella celebre rivista "Valori Plastici" (1918 - 1921), I d'après da Rubens (dove sono esposti per la prima volta tutti gli esemplari sul tema appartenenti alla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, già nello studio del maestro), La Neometafisica, (con opere ricche di citazioni dall'antico e che l'artista dipinge alla maniera di se stesso), I disegni (anch'essi ispirati all'antico o ai grandi maestri, fra i quali spiccano quelli ancora poco noti che illustrano il testo di Massimo Bontempelli Siepe a Nord Ovest edito nel 1922 dei "Valori Plastici").
Inoltre nella sezione la Grande pittura è presentato per la prima volta a Roma un singolare dipinto di notevoli dimensioni, Capriccio veneziano, 1951, (Roma, Collezione privata), ispirato alla sontuosa pittura del Veronese.
Negli spazi adiacenti alla mostra sono esposte le opere degli artisti che De Chirico, nel suo feroce articolo del 1919 sulla Galleria nazionale d'arte moderna, aveva incluso fra i buoni (pochi) e fra i cattivi (molti).
L'esposizione, a cura di Mario Ursino, è accompagnata da un catalogo edito da Electa, con saggi di Renato Barilli, Maurizio Calvesi, Rita Camerlingo, Giovanna dalla Chiesa, Antonella Sbrilli, Mario Ursino, Marisa Volpi; contributi di Anna Grazia Benatti e Michela Santoro; schede che illustrano il rapporto fra le opere di De Chirico e le fonti ispiratrici.
Sezione Mitologia e Archeologia
Il mondo antico rappresenta una costante nella vita e nell'intera produzione di Giorgio de Chirico.
Il termine ‘mito' in de Chirico mantiene l'originario significato: parola che spiega verità profonde altrimenti intelligibili, ma che nella sua arte si esprime attraverso l'immagine.
Il rapporto con la Grecia, sua terra natale, lo studio della classicità o degli artisti che a loro volta furono affascinati dall'antico, le letture sull'argomento e l'interesse per filosofi quali Nietzsche e Schopenhauer, hanno reso l'antico l'elemento portante dell'intera opera dechirichiana.
Secondo de Chirico, recuperare il senso dell'antico attraverso il procedimento dell'imitazione significa scoprirne e comprenderne l'intima essenza per creare nuovi miti. Egli si volge continuamente verso quel lontano passato traendone ispirazione, conservandone il carattere al fine di evocarne l'essenza. Le statue degli dei antichi decontestualizzate si caricano di un nuovo significato, spesso sfuggente: l'enigma; i personaggi mitologici ci trasportano in una dimensione altra, ‘metafisica' appunto.
Tutte le opere esposte in questa sezione appartengono alla rivisitazione del maestro il cui tema conduttore è il mondo classico, pertanto i soggetti sono figure mitologiche o figure che hanno un forte rimando all'antichità.
Ricorrono spesso temi cari come quello del centauro: Centauro ed amorino, 1958, traduzione neometafisica della celebre statua del Louvre; oppure il tema degli Archeologi-Pensatori, manichini-statue seduti in poltrona con il grembo carico di frammenti di colonne, paesaggi, tavole, reperti, ecc., non distanti dai Trofei, veri e propri ‘accrochage' di oggetti antichi. Ma gli Archeologi anziché ricostruire il nostro passato - in qualità di archeologi appunto - assomigliano piuttosto ad oracoli che formulano nuovi enigmi.
Non mancano successive riprese di opere metafisiche come Le muse inquietanti, in cui la statua antica/manichino s'inserisce in una prospettiva pseudorinascimentale che crea un'atmosfera straniante.
Non sempre, però, de Chirico guarda direttamente alla fonte antica. Infatti, molte sue composizioni nascono dall'impressione delle opere di artisti che, come lui, hanno guardato a quello stesso passato, come nel caso di Pianto d'amore (Ettore e Andromaca), 1974, ricalcato sul celebre gruppo scultoreo di Antonio Canova. Altre volte, invece, al soggetto classico si mescolano suggestioni diverse: Testa di Minerva con pesche e uva, 1947, memore delle nature morte di Jean-Siméon Chardin.
Sezione Neometafisica
"Nei miei primi quadri ho cercato di esprimere
idee. Più tardi mi premeva soltanto la qualità
della pittura".
Giorgio de Chirico, 1970
Tra gli anni Sessanta e Settanta Giorgio de Chirico, accanto alla produzione ‘barocca' e classicheggiante, torna ai temi della metafisica. Questa produzione è detta "Neometafisica": si tratta di un'autoironica ricapitolazione dei temi passati che però tornano ad essere originali per i nuovi ed inediti accostamenti dei soggetti. La pratica della ripetizione si trasforma in lui in una sempre ricorrente affermazione della libertà di volgersi indietro. Molte opere nascono anche dalle numerose richieste dei collezionisti, e il maestro, inserendosi nella tradizione del mestiere sempre ribadita, ripete temi e soggetti già rappresentati. Ma de Chirico non cambia la tecnica, dipinge come sa fare in quel momento. Per de Chirico l'artista è anche colui che vive del proprio mestiere e se il talento gli ha portato fortuna, è autorizzato ad andare incontro alla domanda dei suoi committenti per soddisfarne le richieste; ciò che deve preoccuparlo è solo non svilire la qualità del suo prodotto: "Sono un artigiano. Se mi chiedono una "Piazza d'Italia" o un quadro con squadre, compassi, manichini, io lo faccio, una volta stabilito il prezzo, anche se sento che questo lavoro è ormai lontano da me. Forse che i maestri del Rinascimento non lavoravano per commissione? Inutile cercare nei miei quadri cicli diversi, differentemente databili […]". Secondo de Chirico, infatti, ci si innalza nella sfera dei grandi quando il talento porta a rielaborare in maniera personale ed efficace quelle stesse forme che si sono ripetute per anni.
Ritornano i gladiatori, protagonisti di molte pagine di Ebdomero, romanzo fantastico e simbolico pubblicato nel 1929, come per esempio, Quattro gladiatori nella stanza con vista sul Colosseo, 1965, il cui disorientamento nasce proprio dal fatto che essi si trovano in una stanza con vista sul Colosseo anziché nell'anfiteatro stesso, oppure nel blocco serrato dei Gladiatori dopo il combattimento, 1968.
Le numerose repliche e variazioni dei dipinti metafisici, rappresentano inoltre, un'evoluzione del tema della copia legato alla teoria dell'eterno ritorno derivata da Nietzsche, intorno alla quale ruota tutta la concezione artistica del maestro. Ecco allora dipinti come, Il pittore di cavalli, 1974, originale trasposizione di un'opera di Raffaello, ampiamente copiata negli anni Venti oppure Il ritorno al castello, 1969, in cui s'intravede un vago ricordo böckliniano.
L'esperienza teatrale si mescola allo studio appassionato del Barocco fondendosi in quel felice connubio riscontrabile tra il palcoscenico e il ricciolo-cornice che inquadra una nuova scena metafisica, come per esempio Interno metafisico con mano di David, 1968 o ancora La mano di Giove e le nove muse, 1975, in cui la gigantesca mano divina simile ad una macchina teatrale meraviglia e diverte lo spettatore.
Sezione Copie da Antichi Maestri
"Copiare un maestro antico serve ad imparare i segreti delle pittura. Io ne ho fatte tante di copie. Ho fatto una copia di Lorenzo Lotto a Roma, a Palazzo Pitti ho copiato Raffaello…. Una buona copia può essere a sua volta un'opera d'arte, una buona opera d'arte. Se è fatta bene, è un'opera d'arte, non c'é dubbio".
G. de Chirico
de Chirico inizia a guardare ai grandi maestri della pittura in opposizione alle Avanguardie e ritiene che il nuovo può essere espresso con un'icona antica.
Inoltre, com'è noto, nel 1919 in una visita al Museo di Villa Borghese davanti a un quadro del Tiziano afferma: "…fu... una mattina davanti a un quadro del Tiziano che ebbi la rivelazione della grande pittura: vidi nella sala apparire lingue di fuoco, mentre fuori, per gli spazi del cielo tutto chiaro sulla città, rimbombò un clangore solenne, come di armi percosse in segno di saluto e con il formidabile urrà degli spiriti giusti echeggiò un suono di trombe annuncianti una resurrezione. Capii che qualcosa di enorme avveniva in me. Fino allora in Italia, in Francia, in Germania avevo guardato i quadri dei Maestri e li avevo visti così come li vedono tutti: li avevo visti come immagini dipinte...". Con una descrizione dagli accenti lirici e quasi mistici, de Chirico dichiara la necessità di un ritorno agli antichi maestri, inteso come "ritorno al mestiere", pratica che permette di penetrare il segreto potere evocativo delle immagini dipinte. La copia è la vera grammatica della pittura e consiste nell'esperienza del Museo e cioè, nell' "imitazione".
All'arte antica si affianca quella di Carpaccio, Perugino, Raffaello, Dürer, Michelangelo, Tiziano, Lorenzo Lotto e di molti altri. Siamo nel periodo cosiddetto Metafisico e de Chirico ritrova nell'arte rinascimentale alcuni valori che erano propri della sua concezione: "rappresentazione di un ordine statico contrapposto al dinamismo futurista", "limpidezza del colore", "precisione del volume", il cui massimo esempio è nell'arte di Raffaello.
In questa sezione sono presenti alcune copie realizzate in questi anni: Lucrezia, 1921, da Dürer e La Gravida, 1923, da Raffaello, in cui l'artista si sforza di eguagliare il modello, di confrontarsi con esso e di carpire i segreti della tecnica; nella Copia dal Tondo Doni di Michelangelo, 1978, invece, ritorna su un soggetto già perfettamente copiato nel 1919.
Negli anni successivi, alla copia intesa come replica esatta dell'originale, di cui sono presenti numerosi esempi (Dama col manicotto da Vigée Le Brun, 1935; Marina da Courbet, 1946; Bacco da Guido Reni, 1957), si affianca sempre più spesso il "d'aprés", vera e propria citazione occulta o scoperta dal modello; si tratta infatti di un frammento, che si presta facilmente ad essere metamorfosato, in un intrigante dialogo con l'originale (Cavallo caduto da Delacroix, 1941; Testa di giovane donna da Fragonard, 1944; Testa d'uomo da Tiziano, 1945; Fanciulla addormentata da Watteau, 1947; Testa di vegliardo da Fragonard, 1964, Ritratto di gentiluomo da Frans Hals, 1968). Questo genere particolare di copia diventerà una costante e una caratteristica dell'intera produzione del maestro, la cui opera è una citazione continua. Per questo motivo infatti, egli sceglierà di definirsi "pictor classicus".
Sezione La Grande Pittura
Se negli anni Venti de Chirico riaffermava la supremazia della copia per il recupero della classicità, ritrovata nell'arte dei grandi maestri del Rinascimento, verso gli anni Trenta la sua tecnica pittorica evolve verso la pittura ad olio e ‘la maniera di Renoir,' nell'esaltazione dei gialli e dei rossi. Nel 1934 a Parigi, de Chirico studiava ancora i vecchi trattati di tecnica della pittura, giungendo a rivalutare altri maestri, apparentemente lontani da quelli del Rinascimento, come Rubens, Courbet, Renoir, ecc., ma in realtà a loro legati per qualità, intuizione e talento. Egli rintraccia così quella che definisce la ‘qualità della materia pittorica', prerogativa della pittura antica.
La materia fisica della pittura consiste di un colore denso, forte e brillante, che sposta il suo interesse dalla pittura a tempera quattrocentesca verso l'olio fiammingo, sperimentando e realizzando quello che egli chiama olio emplastico: una composizione formata da diversi elementi emulsionanti mischiati tra loro, in cui il colore è solo pigmento colorante. A tal punto il colore acquista matericità e si concreta in un tracciato pittorico serpeggiante, coltivato con lo studio di Tiziano, Tintoretto, Rubens, Rembrandt, Delacroix, Ingres, Renoir, Courbet, Watteau e Fragonard, che in questa tecnica furono veri maestri. Dagli anni Trenta la pennellata di de Chirico diventa una pennellata ‘serpentinata', ondulata, sicura e veloce che si allontana spesso e volentieri da quella dell'originale, ma di essa ne coglie la libertà, la spontaneità e la sicurezza del gesto, con un risultato sempre personale.
Vecchie e nuove suggestioni si alternano tra loro in numerosi d'aprés, strumento necessario per accostarsi ai modelli, ma che nello stesso tempo permette la libertà di rielaborarli sino a stravolgerli, come per esempio nelle suggestioni da Ingres: Ritratto di Isa in rosa e nero, 1935; La bella italiana, 1948; o nei d'aprés da Renoir: Nudo di donna sulla spiaggia (il riposo di Alcamena), 1932-33; Diana addormentata nel bosco, 1933 e Le amiche, 1940.
I d'aprés non sono solo esercizi ma opere compiute che si distinguono dalle copie degli anni Venti anche per il fatto che, pur continuando a frequentare i musei e le grandi collezioni mondiali, il maestro preferisce lavorare nel suo studio, copiando da riproduzioni.
I maestri antichi già copiati emergono quasi in filigrana come per esempio: Natura morta con conca di rame, 1943 da Chardin; Autoritratto nudo in piedi, 1945, da Dürer; Le tre Grazie, 1955 da Böcklin Natura morta con corazze, 1953, sotto la suggestione di Delacroix e Castore con cavallo bianco, 1954, elaborati dallo studio di stampe seicentesche.
Inoltre, la serie degli autoritratti in costume (che il maestro aveva chiesto in prestito al Teatro dell'Opera di Roma) evidenzia l'interesse per il teatro chiaramente influenzati dalla ritrattistica di Rembrandt, Hals e van Dyck; mentre l'opera, Capriccio veneziano alla maniera di Veronese, 1951, qui presente per la prima volta, dal vistoso effetto scenografico, si rapporta all'attività di de Chirico per il teatro lirico, da lui seguito sempre con molto interesse a Roma, Firenze e a Milano.
Sezione Rubens
"La fantasia credono molti, sia d'immaginare cose non viste. A un pittore e a un artista in genere la fantasia, più che a immaginare il non visto, serve a trasformare ciò che vede..".
Giorgio de Chirico, 1924
Dopo gli anni Trenta il maestro prediletto da de Chirico è Rubens. Buona parte dell'opera successiva di de Chirico è mutuata da quella di Rubens. La scelta non è legata solo alla qualità della materia pittorica, quanto alla potenza del segno e al grande impatto visivo delle sue immagini. L'enorme talento creativo dell'artista fiammingo s'inserisce inoltre prepotentemente nel solco della tradizione, intesa come mestiere. Rubens è il maestro per eccellenza.
Dal maestro fiammingo de Chirico deriva l'uso di un'emulsione ad olio usata nella realizzazione di bozzetti e studi, per i dipinti successivi. Questi bozzetti erano interamente dettagliati e compiuti, secondo la tradizione pittorica del XV e XVI secolo, la quale riteneva che l'invenzione di una composizione precede l'atto del dipingere. Dipingere era considerato niente più che la copia accurata del disegno, con l'aiuto del colore.
I bozzetti di Rubens diventano per de Chirico modello di studio e d'ispirazione, come per esempio quelli da cui trae opere quali, Ninfa e Tritone, Naiadi e Tritoni e scene mitologiche, realizzati tra gli anni Cinquanta e Sessanta.
Molti gli elementi che i due artisti avevano in comune: Rubens come de Chirico copiava spesso disegni e bozzetti di questo o di altri maestri, oltre alle loro opere compiute; de Chirico come Rubens aveva una memoria visiva stupefacente ed inoltre, entrambi consultarono copie realizzate da loro stessi o riprese da riproduzioni, ritoccandole in maniera più o meno estesa, in modo che da questo raggruppato universo di forme, pose ed espressioni furono capaci di dar corpo ai soggetti più diversi.
Il cosiddetto ‘periodo barocco', rappresenta quindi, il culmine della pittura de chirichiana, la meta faticosamente raggiunta. La ricerca che lo ha portato al Barocco non ha affatto sminuito la sua qualità, come troppo a lungo parte della critica ha creduto, ma l'ha perfezionata, specialmente dopo l'incontro con Renoir, Delacroix e Rubens, tutti grandi artigiani, prima ancora che artisti. In tal modo, de Chirico non si allontana dal discorso dell'artista-imprenditore di se stesso da sempre esistito, sia nella bottega rinascimentale come in quella fiamminga seicentesca.
Egli ha messo in primo piano il filo conduttore che unisce le opere antiche a quelle moderne, ha indagato il mistero della pittura e ha potuto svelare apertamente come i capolavori artistici siano tali indipendentemente dai soggetti poiché nulla nasce dal nulla: l'opera dei maestri antichi da secoli si dibatte sulle stesse forme legate più o meno agli stessi soggetti, è il talento, l'abilità e il mestiere di chi vi si avvicina a trasformare e a creare un capolavoro, il quale, infine, non è altro che un'immagine antica sotto una veste nuova: "Ricordatevi quello che vi ho più volte detto, che cioè non il soggetto ma solo la qualità conta in arte. Il valore di un artista non consiste in quello che fa, ma unicamente in come lo fa". (G. de Chirico, 1944)
Sezione Disegni di Studio
"i pochissimi pittori che hanno il cervello a posto e gli occhi puliti si
accingono a ritornare alla scienza pittorica secondo i principi e
gl'insegnamenti dei nostri maestri antichi. I nostri maestri, prima di
ogni altra cosa, c'insegnarono il disegno; il disegno, l'arte divina,
base di ogni costruzione plastica, scheletro di ogni opera buona,
legge eterna che ogni artefice deve seguire".
G. de Chirico, 1920
Nel celebre saggio pubblicato su Valori Plastici de Chirico sottolinea la necessità di un "ritorno al mestiere", alla tradizione del disegno e al valore dell'imitazione degli antichi, come pratiche che permettono di penetrare il segreto della pittura.
I disegni esposti in questa sezione sono soprattutto studi, schizzi veloci, abbozzi, più spesso appunti o riflessioni sulla maniera di quegli artisti che costituirono per de Chirico un punto di riferimento importante. Questa produzione è un'occasione per comprendere meglio il procedimento di lavoro attuato dall'artista e le sue idee sull'arte.
Spesso i titoli richiamano l'antico o i maestri del passato, come nel caso dello studio di Laocoonte, 19 o Cristo alla Maniera del Verrocchio, 1945 ca., Testa di Cavaliere da Rembrandt, 1960 e Cavallo spaventato da Delacroix, 1952. In altri casi, il riferimento è meno esplicito: il Ritratto di Isa, 1938, si riferisce a La donna scapigliata, 1490, di Leonardo da Vinci.
Solo alcuni di questi disegni sono studi preparatori di altre opere finite, è il caso di Studio per Ruggero libera Angelica, 1945 ca., realizzato per il dipinto Ruggero libera Angelica, 1946-50.
Particolarmente interessante è la serie dei 12 disegni per "Siepe a nord ovest" di Massimo Bontempelli, farsa in prosa e musica, scritta nel 1919 e rappresentata per la prima volta a Roma nel 1923 al Teatro degli Indipendenti. Datati 1922, i disegni illustrano la messa in scena di marionette, attori e burattini, i cui connotati di realismo magico ben si riflettono in queste immagini dai chiari riferimenti böckliniani, mescolati ad altre disparate suggestioni: l'antico, Courbet, ecc.
A partire dagli anni Trenta, e sempre più nell'opera successiva dell'artista, il rapporto con il museo e soprattutto l'interesse verso il metodo di lavoro accademico diventa sempre più determinante ma negli anni a seguire il disegno non sarà più ripresa dal vero, bensì studio da riproduzioni fotografiche per cogliere il segno, spesso veloce e ispirato, dei maestri ammirati, in cui egli stesso si riconosce.