Balkani. Antiche civiltà fra Danubio e Adriatico
Adria (Ro) - Museo nazionale Archeologico (Parco del Delta del Po)
Dall'8 luglio 2007 al 13 gennaio 2008
Questa mostra è realmente imperdibile. Per più ragioni. Perché presenta, per la prima volta al di fuori dei territori della ex Jugoslavia il meglio del meglio delle eccezionali raccolte archeologiche del Museo Nazionale di Belgrado; raccolte che dai tempi della recente guerra degli anni 90 del Novecento sono custodite all'interno di camere blindate e che torneranno ad essere esposte nella capitale serba solo dopo il 2010, quando il Museo di Belgrado sarà di nuovo accessibile, dopo radicali restauri.
Maschera funeraria
Da Trebeniste, VI sec. a. C.
Poi, perché molte delle 250 opere esposte in mostra meriterebbero, da sole, un
viaggio ad Adria: ad essere stati concessi dal Museo serbo non sono, infatti, i
reperti minori, ma i veri capolavori delle collezioni Greca e Romana, opere
sicuramente non prestabili in altra occasione, patrimonio unico della storia
della Nazione.
E infine perché la grandiosa esposizione celebra l'apertura - attesa da cinque
anni - della ricchissima Sezione Etrusca del museo che la ospita, ovvero il
Museo Archeologico Nazionale di Adria. Un Museo che in questi anni, grazie ai
fondi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed Ambientali, de Il
gioco del Lotto e della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, è
stato completamente rinnovato, oltre che ampliato. La nuova Sezione Etrusca,
che si unisce al Lapidario recentemente inaugurato, presenta il meglio degli
oltre 60 mila reperti di epoca preromana conservati ad Adria: ceramiche,
bronzi, ambre per ricordare il ruolo di una città che fu tanto importante da
dare il suo nome ad un mare e di un territorio ricchissimo di insediamenti,
alcuni dei quali oggi oggetto di scavo. Tra i tesori del Museo di Adria, il
maggiore è dato dalla celeberrima Tomba della Biga, un unicum a livello
mondiale, un enigma che nemmeno gli studi più recenti sono riusciti a
risolvere.
Ceramica greca figurata
V - IV sec. a. C.
Da scavi nei pressi del Lago di Ocrida
Se il Museo Archeologico Nazionale documenta le vicende di questa terra, la
mostra Balkani - voluta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e
Rovigo - racconta la storia di molti popoli, di principi e guerrieri che nel
millennio compreso tra l'ottavo secolo avanti Cristo e l'affermarsi della
presenza romana (secondo dopo Cristo) abitarono, governarono o si contesero le
terre bagnate dal Danubio e dalla Stava, fino all'Adriatico orientale.
Ritratto del padre di Traiano |
Satiro danzante |
In mostra sono esposti tesori principeschi, spesso realizzati tra Atene e
Sparta o in Magna Grecia, per non dire di quanto proviene dall'Italia antica:
esempi nobilissimi di tecniche raffinatissime raggiunte in antico nella
lavorazione dell'oro, dell'argento, del bronzo e del ferro, come pure
dell'ambra
balcanica e della ceramica. Sono oggetti d'ornamento personale o della mensa,
oppure armi e marmi scolpiti, capolavori acquistati dai principi locali spesso
tramite i mercanti greci, opere di grande bellezza tanto da diventare prototipi
su cui si basano successivamente gli artisti locali, che elaborano nuove forme,
prodotti di una nuova cultura figurativa.
Valga per tutti la Maschera di Trebenište, destinata - come la celebre
Maschera di Agamennone, di età micenea - a modellare in oro le fattezze del
principe e ad immortalarle per l'eternità; o i due vivissimi, grandi satiri in
bronzo di fattura ellenistica del secondo secolo avanti Cristo; o ancora
l'incredibile Tesoro ritrovato nei pressi di Novi Pazar, in un luogo
verosimilmente da sempre considerato sacro e inviolabile, e protetto nei secoli
al di sotto di una chiesa altomedievale, sino al rinvenimento casualmente
avvenuto nel 1957.
Tesoro da mensa in argento
Da Jabucje, I sec. d.C.
Di fattura arcaica è il cosiddetto Magnifico Cratere, uno dei quattro ritrovati al di fuori dell'ambiente propriamente greco, un manufatto in bronzo di grandi dimensioni e capolavoro della toreutica greca, che Adria ha ottenuto eccezionalmente in prestito, rubandolo al Metropolitan Museum di New York che intendeva presentarlo al pubblico d'Oltreoceano nel 2007.
Fabbro al lavoro, particolare
Bronzo del VIII sec. a. C.
Di epoca romana sono il potente ritratto bronzeo del padre di Traiano,
proveniente dalla decorazione della porta di accesso sul celebre ponte fatto
erigere dall'imperatore sul Danubio ad opera di Apollodoro di Damasco, e due
maschere di elmo da parata, perfettamente conservate, destinate a coprire il
volto di qualche generale durante parate militari celebrative di vittorie e
trionfi. Oro, argento, ambra sono costantemente presenti in fogge e con usi
sempre diversi in questa mostra. Come il bronzo, con cui è stata realizzata
otto secoli prima della nostra era, una delle opere che sicuramente colpiranno
maggiormente il visitatore: una statuina di fabbro, intento a lavorare
all'incudine un utensile o un'arma. Antichissimo eppure contemporaneo per
sintesi di movimento e forza.
Tra questo piccolo, stupefacente bronzetto e il grande bronzo del ritratto del
padre di Traiano è compreso un millennio di storia, qui raccontata da una
sequenza mozzafiato di opere d'arte, testimonianze superbe di civiltà e popoli
talvolta ignoti, anche perché privi dell'uso della scrittura.
Tutto intorno alla mostra e al museo rinnovato c'è un territorio paesaggisticamente
tra i più affascinanti d'Europa, il Parco Regionale Veneto del Delta del Po: un
immenso intrico d'acque e terre, spiagge e lagune che compongono un'area
naturalistica unica al mondo, da scoprire in auto ma anche in barca o in
bicicletta, a cavallo o, come fece Dante secoli fa, a piedi.
E' qui, tra i canneti dell'affascinante paesaggio lacustre in prossimità del
mare e i verdissimi coltivi delle fertili terre bagnate dall' Adige e dal Po,
che stanno affiorando le testimonianze più antiche della Mesopotamia
d'Europa, come è stato definito giustamente questo territorio: necropoli
etrusche e ville romane, a ricordarci gli antichi abitanti e i frequentatori di
questi luoghi, come gli Etruschi, i Veneti, i Celti, i Greci e i Siracusani,
fino ai Romani.
Un itinerario, che ha inizio proprio dal Museo Archeologico di Adria, porta a
scoprire queste testimonianze nascoste all'interno di un ambiente
emozionante, dove la natura ha ancora il sapore dell'autenticità.
Balkani: antichi popoli tra Danubio, Drava, Sava e Mediterraneo
A partire dall'VIII sec. a.C. - epoca intorno alla quale ha inizio il
percorso espositivo della mostra di Adria - nell'aria alto e medio danubiana si
diffonde la cultura di Hallstatt, cosi denominata dalla località austriaca in
cui gli scavi archeologici riportarono alla luce i primi e significativi
reperti.
La sua fase centrale più riconoscibile (detta Hallstatt C e D) corrisponde alla
prima grande cultura del ferro in Europa centrale e occidentale. Databile tra
IX e V sec. a. C., è contraddistinta dal rinvenimento di grandi tombe
aristocratiche coperte a tumulo, contenenti spesso ricchissimi corredi di
guerrieri. Questi sono in gran parte composti da oggetti che richiamano la
ricchezza, il prestigio e la potenza militare del defunto e denunciano una
fitta rete di traffici commerciali di beni e materiali preziosi tra l'area danubiana
e il Mediterraneo e anche il Mare del Nord, con un contributo locale fatto soprattutto
di manodopera specializzata nella realizzazione e decorazione di oggetti in
materiali metallici o preziosi (oro, argento e bronzo).
E' una cultura, la nostra, che si avvicina a quanto si è ritrovato nei kurgan
in Ucraina, o nelle tombe proto-etrusche nella Toscana meridionale e a Verucchio,
nei pressi di Rimini: cioè, una diffusa rete di villaggi fortificati con una
casta dominante in possesso sia del potere religioso che di quello militare,
che svolgeva nel proprio "palazzo" tutte le attività connesse ai
propri interessi che, nella maggior parte dei casi, erano quelli del
territorio da essa dominato.
I principi, o capi-tribù, mantenevano buoni rapporti coi vicini, oppure
intraprendevano guerre contro gli stessi, con l'intento di allontanarne il
pericolo sulle proprie terre. Ospitavano commercianti carovanieri, dapprima
quasi esclusivamente greci, offrendo il meglio e l'originale della produzione
locale in cambio di beni di lusso e di tecnologie avanzate; organizzavano e
celebravano sia riti religiosi che proteggevano la comunità che quelli
funerari.
Le società tribali presenti allora in una vasta parte del territorio europeo,
compreso tra la Francia meridionale e la Transilvania, includente quindi l'area
balcanica, erano sicuramente più complesse di quanto il dato storico ed
archeologico ci permetta oggi di apprezzare. Molto delle stesse ci sfugge,
poiché si tratta di culture prive di scrittura e poco dedite anche alla
raffigurazione artistica. Tuttavia la struttura delle stesse, le pratiche, i
riti e le credenze religiose sembrano diffondersi con caratteri simili di lì,
anche nella pianura sarmatica meridionale e in Crimea, grazie anche al contatto
di queste popolazioni con i Greci.
Il passaggio dalla cultura di Hallstatt alle culture celtiche più definite non
fu, ovviamente, tranquillo e neppure diretto. Come ci ha indicato
l'archeologia, esso avvenne durante il VI secolo a.C., quando è documentato il
passaggio, proprio nell'area medio-danubiana, di popolazioni di cultura più
orientale, di tipo Scitico. Si tratta di genti definite dalla letteratura
antica greca anche col termine di Traci o di Cimmeri, e che presentano
aspetti simili a quelli delle popolazioni stanziatesi allora lungo la costa del
mar Nero, dal delta del Danubio alla Crimea.
Tra queste erano i Triballi, i quali sembrano provenire in origine dall'odierna
Moravia per poi transitare nell'odierno Kosovo e successivamente fermarsi a
lungo sul Danubio nell'area dell'attuale Vojvodina, dove vennero poi sottomessi
dai Macedoni.
Questi abitavano la Macedonia, regione nel nord dell'antica Grecia, confinante
con l'Epiro ad ovest - coincidente grossomodo con l'attuale Albania - e la
Tracia ad est. La loro origine etnica (greca o traco-illirica) è discussa, come
lo è la lingua che inizialmente parlavano (un dialetto greco, ovvero una lingua
differente dal greco) In ogni caso furono in seguito assorbiti nella koinè
greca in periodo ellenistico. I Macedoni si trovarono isolati rispetto allo
sviluppo della civiltà e della cultura greca fino al V sec. a.C. e le loro
tradizioni religiose, politiche e culturali sembrerebbero derivare da quelle
greche di epoca omerica, in accordo con il racconto di Erodoto. Durante il loro
successivo isolamento subirono tuttavia influenze dalle popolazioni della
Tracia e dell'Illiria e ciò spinse molti Greci a considerarli come stranieri o
"barbari".
Sono numerose le testimonianze che ci parlano dei Geti, presenti lungo il basso
corso del Danubio e attorno alle sue foci almeno a partire dal VII sec. a.C.:
il precoce contatto coi Greci li portò a fondare colonie e a formare organismi
statali più avanzati, dai quali sorse il regno Odrisio, che godette di un
certo prestigio e potere tra V e III sec. a.C. nella penisola Balcanica, in
corrispondenza del basso corso del Danubio.
Da essi derivano direttamente i Daci (termine con cui i Romani definiscono in
realtà i Geti), Il regno dacico, instauratosi intorno alla fine del III sec. a
C. nella regione carpatico-danubiana, ebbe termine nel 102 d.C. ad opera
dell'imperatore Traiano che intraprese più campagne militari contro questa
popolazione piuttosto irrequieta, per sottometterla poi nel 107 d.C..
Alla cultura e al ceppo scitico appartengono invece gli Iazygi, che sono
attestati sul mar d'Azov nel III sec. a.C. e, all'inizio del I sec. a.C., sulla
riva del Danubio, dove saranno poi sconfitti dai Romani.
Tuttavia le spinte maggiori di spostamento di popolazioni avvengono ancora da
nord-ovest, dalle stesse aree di provenienza della cultura di Halstatt: di qui,
grossomodo nelle stesse regioni, ha origine intorno al V secolo a.C. la
cultura di La Tène - così denominata dai ritrovamenti effettuati nel villaggio
omonimo nei pressi di Neuchatel in Svizzera - che è considerata la protocultura
di tutti i popoli Celti. Da essa derivano le culture contro le quali
combatteranno i Romani in pianura Padana, in Gallia, ma anche lungo il Danubio.
Di cultura celtica erano gli Scordisci, che abitavano le basse valli della Sava
e della Drava e la corrispondente parte della valle danubiana. Questi, presenti
nella zona intorno metà del IV sec. a.C., sii scontreranno dapprima con i Greci
all'inizio del secolo successivo (erano probabilmente i Galati, che violarono
Delfi nel 279 a.C., per poi insediarsi, una volta ricacciati, nell'Anatolia
centrale e probabilmente dell'area della Serbia attuale), poi coi Romani, tra
135 e 107 a.C.. Pur riportando alcune vittorie, infine furono sconfitti e,
dopo diverse rivolte, nell'88 furono deportati ad est del Danubio, dove vennero
sanguinosamente sottomessi dai Daci. Agli Scordisci si devono le fondazioni di
numerose città dell'area danubiana, tra cui Singidunum, nome latino
dell'odierna Belgrado.
Negli ultimi anni del II secolo a.C. giungono sull'alto corso Danubio le
popolazioni germaniche dei Cimbri e dei Teutoni le quali, di lì a poco, si
sposteranno a depredare altri territori nei confini dell'odierna Francia e
anche in Italia, dove saranno annientati da Mario nel 101 a.C.
Sono questi gli ultimi passaggi traumatici di genti nomadi sulla sponda
orientale del Danubio prima dell'arrivo definitivo dei Romani. Questi, dopo
aver spesso combattuto contro le popolazioni della regione (ad esempio i
Dalmati, i Narentani e gli Illiri, abitanti le regioni prospicienti
l'Adriatico), sottomettono tra il 29 e il 9 a.C. tutte le regioni danubiane,
dalla Mesia al Norico e alla Pannonia, nell'ambito di un progetto di conquista
concepito e organizzato da Augusto.
Il disegno politico dell'imperatore prevedeva il raggiungimento e il
consolidamento della presenza romana fino al Danubio, il limes orientale
dell'impero, di modo da ottenere una stabilità interna ottimale per tutto il
Mediterraneo. da qui la velocità e la profondità della romanizzazione
dell'area.
La frattura tra Oriente e Occidente e la perdita di sicurezza del Mediterraneo,
instabile anche su parte delle coste settentrionali avvenute durante l'alto
Medioevo col crollo della frontiera danubiana e l'insediamento delle
popolazioni Slave e poi degli Ungari durante il VII-IX sec. a.C. dimostrarono la
lungimiranza del primo imperatore romano
La romanizzazione dei Balcani
Dopo la costituzione delle province danubiane, avvenuta tra il 15 a.C. (Mesia)
e il 45 d.C. (Tracia) - periodo nel quale si registrano anche alcuni moti di
rivolta presto repressi -, si assiste alla rapida romanizzazione della regione balcanica,
grazie alla realizzazione da parte dell'esercito romano di strade selciate e
all'intensificazione dei commerci, favoriti anche dalle legioni stanziate
nell'area in età Giulio-Claudia. Almeno sette legioni stanziano infatti
contemporaneamente nei Balcani, di cui cinque poste lungo il limes segnato dal
corso del Danubio. In particolare è la rapida urbanizzazione in tutta la
regione che porta velocemente all'inclusione di queste terre nel sistema
economico, sociale e politico di Roma.
La romanizzazione dei Balcani è avvenuta secondo due linee parallele e
convergenti: da una parte si è data origine ad un processo di colonizzazione
avviato mediante la costituzione di centri cittadini e all'organizzazione
agraria del territorio secondo le esigenze romane, in presenza o meno di coloni
provenienti dall'Italia; dall'altra, si è costituita la frontiera stanziale sul
Danubio, il che ha portato ad una massiccia presenza di soldati provenienti
dall'Italia e, quindi, ad una più decisa affermazione del potere romano sul
territorio.
Ben presto, le popolazioni locali si sono coinvolte con l'economia e
l'organizzazione romane, riconoscendone il valore. Di fatto, il notevole
incremento della produttività, l'arresto delle invasioni provenienti
dall'esterno e la possibilità di promozione sociale hanno spinto le élites
locali, qui come in tutto l'impero, ad abbracciare a fondo la civiltà romana, e
a riconoscere soprattutto quale fattore unificante e pacificante della società
la figura e la dignità dell'imperatore.
Lungo le frontiere si è quindi assistito allo stanziamento di molti soldati, i
quali acquisirono benefici e possedimenti a ridosso del Danubio, diventando
così parte integrante della popolazione locale e contribuendo sia
all'avanzamento economico delle società ivi presenti e soprattutto al
radicamento della cultura latina nei Balcani. La Pannonia, l'Illirico, la Mesia,
la Tracia interna e persino gran parte della Macedonia indicano, attraverso
l'epigrafia, la maggior diffusione non solo della lingua latina rispetto al
greco, ma soprattutto sono rivelatrici delle nuove strutture tipiche della
città romane, fino al caso eclatante della Dacia la quale, pur con una presenza
romana nell'area non più lunga di un secolo e mezzo, ha trasmesso all'odierna
Romania una lingua di derivazione latina.
Si è dato così luogo allo sviluppo di una fitta rete di città, sia di origine
militare - come Oescus, oggi Gigen, Novae (Svishtov), Durostorum (Silistra-Darstor),
Burnum (Chistagne) -, sia di origine colonica - è il caso di Ratiaria (Archar),
di Serdica (l'attuale Sofia in Bulgaria), Marcianopolis (Devnja), Naissus (Niš,
in Serbia), Nicopolis ad Istrum (Nikiup presso Tirnovo), Nicopolis ad Nestum
(presso Nevrokop), per non dire delle città sulla costa dalmata -, nelle quali
l'adesione al modello romano fu totale e che pertanto divennero centri
d'irradiazione della cultura imperiale romana.
Senza perdere le proprie tradizioni, come indica la produzione artistica
propria di Mesi, Traci, Illiri, Scordisci, Pannoni, Triballi e Geti, alla fine
del I sec. d.C. si poteva dire di queste popolazioni, parafrasando Strabone,
che "ora sono tutti Romani".
Una mostra di autentici tesori
Pochi termini sono abusati come le parole “tesori”. E “capolavori”.
Eppure nel caso di questa mostra l'utilizzo di questi termini è del tutto
appropriato.
Ecco, di seguito, una descrizione, sia pure molto succinta, di reperti che, a
pieno titolo, meritano l'uso dei due termini sopra citati.
Tra i molti capolavori d'arte prestati eccezionalmente dal Museo Nazionale di
Belgrado per la mostra archeologica “Balkani. Antiche civiltà tra il Danubio e
l'Adriatico”, spiccano per importanza e per magnificenza artistica gli ori e
gli argenti relativi ad alcuni corredi principeschi dell'Età del Ferro,
rinvenuti in numerose località dell'attuale territorio serbo o nei pressi del
medesimo, e confluiti nelle collezioni del Museo di Belgrado in occasioni
diverse.
Non si può tacere,comunque, la straordinaria fattura di certe realizzazioni
proprie del Tardo Bronzo (ca. 800-700 a.C.), epoca da cui ha inizio il percorso
espositivo, caratterizzate dall'uso di forme decorative geometriche, specie
spirali, cerchi e cerchi concentrici, riscontrabili per lo più su splendide
fibule proprie della cultura di Hallstatt.
Capolavoro della piccola scultura è la statuetta rappresentante un fabbro al
lavoro, forse di fattura greco-geometrica, ritratto mentre martella una barra
di metallo all'incudin. La statuina, alta solo 8 cm, è stata realizzata per
fusione, e presenta forme straordinariamente moderne, che ricordano in qualche
modo le precedenti figurazioni proprie della cultura cicladica.
La dinamica e armonica realizzazione venne ritrovata accidentalmente nei pressi
di Bela Palanca da un maestro di scuola, ed è la più antica forma scultorea di
quest'epoca presente nelle collezioni belgradesi, un unicum senza precedenti
sino ad oggi.
Quanto alle suddette tombe principesche presenti un po' ovunque lungo le valli
percorse dai molti fiumi del territorio centro-Balcanico, sono assolutamente
degne di nota quelle rinvenute a Trebenište, nei pressi del lago di Ocrida, e
di Novi Pazar, città ai nel sud della Serbia, presso i confini con il Kosovo.
Non è facile conoscere, allo stato attuale degli studi, le popolazioni e le
culture cui sono pertinenti queste grandi sepolture. Si tratta con ogni
probabilità di popoli nomadi, stanziatisi nell'aree in questione tra fine
VI-inizi V sec. a.C., probabilmente appartenenti ai Triballi, sicuramente
detentori del potere politico ed economico in quel tempo su vasti territori
dell'area medio-balcanica.
Le sepolture principesche - cosiddette perché proprie di un capo tribù o di un
capo di più tribù riunite in alleanza politico-militare - sono costituite architettonicamente
da grandi tumuli (è il caso di Novi Pazar, ad esempio) o da grandi tombe a
fossa pavimentate e coperte a camera, come a Trebenište e in altre località
macedoni.
La tomba principesca di Novi Pazar - il termine tomba è qui usato per
convenienza, poiché all'interno del tumulo non si sono rinvenuti resti umani.
E' possibile, per alcuni, che si tratti quindi di un nascondiglio temporaneo di
un tesoro immenso, in tempi di una certa insicurezza politico-sociale - è
stata scoperta accidentalmente, nel mentre si poneva riparo alle strutture
portanti della chiesa di San Pietro, a ca. 2 km di distanza dal centro della
città. Qui, durante i necessari lavori di sterro praticati all'interno
dell'edificio, si rinvennero nel 1957 gioielli e vasellame in bronzo dell'Età
del Ferro, pertinenti a due grandi tumuli costruiti in successione, l'ultimo
dei quali relativo ad un ricchissimo deposito principesco.
Questo era costituito da un perimetro in pietra e da una costruzione centrale
sempre in pietra, tipica delle tombe a tumulo dell'area medio-balcanica.
Tra i numerosissimi oggetti che vi si rinvennero, vanno ricordati i due
eccezionali cinturoni d'oro del tipo Mramorac (dal nome di una località della
Serbia in cui si rinvennero per la prima volta cinturoni di questo tipo,
caratterizzati da decorazioni geometriche realizzate a sbalzo su spessa e
alta lamina d'argento, databili a ca. la metà del V sec. a.C.), oltre a sei
pettorali circolari sempre in oro, di oltre 20 cm di diametro ciascuno, e altre
grandi placche auree semicircolari sempre lavorate a sbalzo, destinate
probabilmente alla decorazione dell'abbigliamento del defunto. Anche centinaia
e centinaia di piccole placche decorative di forme diverse - triangoli,
rettangoli, svastiche, cerchi, bottoni, ecc.) decoravano con ogni probabilità
le suntuosissime vesti del principe, mentre altri monili - bracciali,
straordinari e giganteschi pendenti simili per fattura alle già ricordate
cinture, numerosissime fibule in argento e oro, completavano l'incredibile
corredo di questo ripostiglio senza pari. Si tratta di oggetti che devono
molto alla cultura greco-macedone, a testimonianza delle strette relazioni
sociali e commerciali proprie delle popolazioni stanziatesi nell'area tra VI- V
sec. a.C., e che vi detenevano il potere militare. Alcuni degli oggetti
rinvenuti, ad esempio quelli in ceramica, sono di fattura attica; altri, come
le oreficerie suddette, sono probabilmente frutto di officine locali dirette da
maestranze greche o di cultura artistica grecizzante Tra gli esemplari
sicuramente greci è la preziosa phiale in argento parzialmente dorato, unica
nel suo genere tra i numerosi rinvenimenti di vasellame in Serbia.
Va inoltre ricordato che dalla stessa sepoltura principesca di Novi Pazar
proviene una infinita quantità di oggetti in ambra (oltre 8.000 pezzi!), per lo
più perle o placche incise e decorate, che dovevano costituire originalmente
suntuosissimi gioielli.
Le prime tombe di Trebenište vennero scoperte occasionalmente da alcuni soldati
bulgari nel 1918. Gli scavi intrapresi successivamente a tale data, sempre ad
opera di bulgari, stavolta archeologi, nel 1927, e poi da studiosi jugoslavi a
partire dal 1930, riportarono alla luce altre tombe ricche di straordinari
oggetti d'oro, in parte conservati oggi al Museo Archeologico di Sofia, in
parte al Museo Nazionale di Belgrado.
Gli oggetti rinvenuti ci permettono di datare la necropoli al VI-V sec. d.C.,
periodo di maggior splendore delle culture locali, quando il potere militare ed
economico detenuto dalla classi abbienti permetteva alle stesse di acquisire
direttamente sul mercato estero o nei propri territori oggetti suntuari di
straordinaria bellezza e di grandissimo valore.
Tra i reperti più preziosi figurano quattro maschere funerarie d'oro, uniche in
tutta l'area balcanica, di cui due conservate oggi a Belgrado. Si tratta di
oggetti di notevole fattura artistica oltre che venale che, applicati
all'altezza del volto del defunto, ne perpetuavano l'identità e ne celebravano
l'imperitura dignità. L'uso di tali maschere - esempi successivi,
cronologicamente parlando, alle celebri maschere micenee oggi ad Atene - , è
probabile derivi dagli influssi culturali greci sulla ritualità funeraria
propria dei popoli balcanici.
Tra gli oggetti da mensa, di gradissimo rilievo appaiono i due grandi
bicchieri in argento parzialmente dorato e il corno potorio, di squisita
fattura, opere probabili di un abilissimo toreuta greco, come pure gli
straordinari vasi in bronzo, tra cui idrie e brocche di splendida fattura.
Vi spicca il grandioso cratere bronzeo su tripode, datato all'VI secolo a.C,
che si deve forse all'opera di un'officina corinzia di altissimo livello e che
ha un suo gemello, rinvenuto nella medesima località, oggi custodito nel Museo
di Sofia.
Tra gli atri numerosi reperti si contano elmi ed armi - punte di lance, spade e
coltelli - realizzati in bronzo, pure esposti nella mostra, come anche ceramica
greca, splendidi gioielli in oro e argento e oggetti realizzati in vetro a
stampo.
Altri rinvenimenti di preziosi si ebbero a Pečka Banja, e possono
paragonarsi a quanto rinvenuto nei pressi di Ocrida. Gli oggetti, databili tra
VI-V secolo a.C. e per lo più in argento, sono caratterizzati da una fattura
indubbiamente influenzata dalla cultura greca, ma rielaborata secondo usi
tradizionali propri.
Altri corredi tombali da Budva, databili tra V e IV secolo, ci hanno fornito
una grande quantità di oggetti, tra cui elmi, armi, gioielli e ceramiche, che
documentano via via l'accresciuta importanza delle relazioni vissute allora con
genti magno-greche, provenienti per lo più dal bacino del basso Adriatico.
Gli influssi ellenistici sulla produzione artistica locale sono più forti man
mano che diminuiscono le relazioni dirette tra le varie culture balcaniche e la
Grecia. Ciò accade a partire dalla fine dei V secolo, per motivi a noi non
ancora sufficientemente noti, ma che vedono implicati da un lato la perdita di
potere delle classi fino ad allora dominanti - potere militare e politico,
quindi economico - sia un minor grado di interesse da parte dei mercanti e
artisti greci nei confronti delle popolazioni della zona. Altri orizzonti,
altri rapporti culturali si evincono allora nelle varie tipologie e nei vari
materiali in cui si producono ed elaborano nuove forme, talvolta su modelli di
importazione.
Tutto il IV secolo è attraversato da tale fenomeno: una minore ricchezza
sembra improntare le classi dominanti sparse sul territorio, e ne fanno
testimonio i rinvenimenti, pur preziosi, di argenti e altri materiali nobili
deposti nei corredi funerari rinvenuti a Čorug, ad esempio, dove è pure
notevole l'influenza celtica.
Sono i Celti, in particolare gli Stordisci, ad occupare il territorio centro-balcanico
intorno all'inizio del III secolo, quando, ricacciati da Delfi nel 279 a.C., si
stanzieranno in quest'area. La colonizzazione del territorio, se da un lato dà
luogo ad una produzione dalle tipiche caratteristiche celtiche, risente
notevolmente dell'incidenza delle culture precedenti e, specie nel sul e nelle
valli delle tre Morave, delle presenze di tipo ellenistico, legate ai commerci
e ai traffici.
E' questa l'epoca in cui si fa maggiore l'influenza della cultura ellenistica,
di derivazione greca o italica, dovuta ad un sincretismo di forme e culture. La
stessa la si ritrova specie nelle aree proprie della Macedonia o in prossimità
della costa Adriatica dell'attuale regione montenegrina, per ovvie ragioni di
commerci e traffici lungo le rotte marittime.
Documenti di altissima qualità artistica sono le due statue di Satiri
provenienti dagli scavi di Stobi. Si tratta di due originali bronzei, databili
intono alla fine del II-inizi del I secolo a.C., giunti a noi in ottime
condizioni. L'uno danzante, l'altro suonatore, sono capolavori della scultura
in bronzo di quest'epoca, contraddistinta dal permanere degli ideali classici
di stampo lisippeo e da connotazioni realistiche proprie della produzione
italica. I nostri Satiri, che lasciano Belgrado per la prima volta in occasione
della mostra, sono avvicinabili al celebre Fauno Danzante, ritrovato nella domus
pompeiana che da questi ha preso il nome, oggi conservato nel Museo
Archeologico Nazionale di Napoli, e sono stati realizzati molto probabilmente
in un'officina attiva ad Alessandria d'Egitto, centro culturale e artistico di
assoluta rilevanza in età ellenistica. Sono poi pertinenti al medesimo ambito
culturale alcune teste marmoree di divinità, di squisita fattura.
Tra i documenti della prima romanizazione della provincia della Mesia
Superiore - oggi inclusa nel territorio geografico della regione Serba - la
mostra presenta capolavori d'eccezione. E' il caso, per citarne solo i
principali, del celebre Ritratto del padre di Traiano, opera altissima della
toreutica romana, pertinente ad una statua di dimensioni maggiori del vero,
eretta verosimilmente dall'imperatore Traiano a celebrare perennemente la
memoria di suo padre nell'ornamentazione architettonica e scultorea del ponte
sul Danubio, fatto erigere per volontà imperiale ad opera di Apollodoro di Damasco;
o di sculture in marmo provenienti da Stobi, tra cui un bel busto femminile di
dama. Non si possono tacere i due elmi-maschera di età traianea di eccezionale
fattura, rari prodotti della toreutica imperiale eseguiti probabilmente presso
le officine metallurgiche di Viminacium.
Fra le produzioni artistiche di maggior pregio venale oltre che estetico
spiccano poi numerosi oggetti in argento provenienti da Tekia, già Transdierna,
di uso domestico e cultuale; mentre a chiusura del percorso espositivo viene
offerto all'ammirazione dei visitatori un servizio da mensa realizzato in
argento di rara bellezza ed altissima fattura, databile all'età augustea,
appartenuto probabilmente ad una famiglia patrizia romana, trasferitasi sul limes
danubiano intorno al I secolo della nostra era. Tra vassoi, coppe, crateri e
cucchiai, fanno bella mostra di sé alcuni portauovo di eccezionale finezza
esecutiva, dovuti forse ad una officina campana, e che trovano similitudini
assai prossime nei tesori d'argenteria rinvenuti nelle città sepolte
dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.
Informazioni
Balkani. Antiche civiltà fra Danubio e Adriatico
Luogo: Adria (Ro) - Museo nazionale Archeologico
Via Badini, 59 - Adria (Ro)
Periodo: dall'8 luglio 2007 al 13 gennaio 2008
Orari: feriali e festivi 9.00-20.00
Ingresso: intero Mostra-Museo 6,00 Euro; ridotto Mostra-Museo 3,00 Euro.
Servizi in mostra: Accesso per disabili; Bookshop. Chiusura della cassa alle
ore 19.00
Catalogo: Silvana Editoriale
Info: tel. 0426 71200 - fax 0426 372095