Design

Conversazione con Fabio Novembre

di Ivana Riggi

Fabio Novembre è uno degli Architetti e Designer più ricercati; del suo fare colpisce sicuramente la relazione tra l'arte intesa nella sua più ampia globalità e il progetto che spazia nella sua più totale completezza.
Tra gli ultimi lavori ricordiamo quello presentato al Triennale Design Museum di Milano ( dal 21 Aprile al 17 Maggio di quest'anno):“Il Fiore di Novembre”.

“Honlywood” seduta - B&B Italia 1988; photo archivio B&B

“ORG” tavolo - Cappellini 2001; photo Livio Monicelli

“S.O.S. Sofa Of Solitude”  potrona - Cappellini 2003;  photo Settimo Benedusi


S.O.S. Sofa Of Solitude”  potrona - Cappellini 2003; photo Settimo Benedusi

“S.O.S. Sofa Of Solitude”  chaise longue - Cappellini 2003; photo Settimo Benedusi

“RPH” divano-chaise longue - Cappellini 2003; photo archivio Cappellini

Si tratta di un'imponente istallazione che ho avuto modo di “percorrere” personalmente nel molteplice ruolo di  “visitatore”, “attore”, “spettatore”… Una fruizione emozionante e contemporaneamente giocata con la “frantumazione” della mia stessa “identità”…
Non mi soffermerò sull'allestimento in questione di cui si è già abbondantemente parlato con giudizio più che positivo ma,  sulla base delle suggestioni ricevute, cercherò di conversare con lui per conoscerlo meglio e capire da quale seme sbocci tanta estesa progettualità.

“Air Lounge System” poltrona - Meritalia 2006; photo Settimo Benedusi

“HER” seduta - Casamania 2008; photo Settimo Benedusi

“HER” seduta - Casamania 2008; photo Settimo Benedusi


“Divina” divano - Driade 2008; photo Pasquale Formisano

“STFS Slow The Flow System” rubinetto - Rubinetterie Stella 2008; photo Pasquale Formisano

Showroom Bisazza - Berlino 2003; photo Alberto Ferrero

Architetto, mi parlerebbe della sua formazione ed in particolar modo della sua esperienza alla New York University del 1993? Che peso ha il Cinema nella sua esistenza?
Il cinema, per la stessa “immateria” di cui si compone, ha le stesse caratteristiche del sogno, e la mia vita (come il cinema) ha una forte dimensione onirica consumata nei tempi della veglia. Sognare ad occhi aperti implica una progettualità accurata, una responsabile dichiarazione di intenti. Io sono certamente il regista della mia vita, in piena coscienza.

Store Stuart Weitzman - Roma 2006; photo Alberto Ferrero

“Insegna anche a me la libertà delle rondini” Rotonda della Besana - Milano, Aprile - Giugno 2008; photo Pasquale Formisano

“Insegna anche a me la libertà delle rondini” Rotonda della Besana - Milano, Aprile - Giugno 2008; photo Pasquale Formisano


“Insegna anche a me la libertà delle rondini” Rotonda della Besana - Milano, Aprile - Giugno 2008; photo Pasquale Formisano

“Il fiore di Novembre” Triennale di Milano - Milano, Aprile - Maggio 2009; photo Pasquale Formisano

“Il fiore di Novembre” Triennale di Milano - Milano, Aprile - Maggio 2009; photo Pasquale Formisano


“Il fiore di Novembre” Triennale di Milano - Milano, Aprile - Maggio 2009; photo Pasquale Formisano

“Il fiore di Novembre” Triennale di Milano - Milano, Aprile - Maggio 2009; photo Pasquale Formisano

“Il fiore di Novembre” Triennale di Milano - Milano, Aprile - Maggio 2009; photo Pasquale Formisano

Esiste un confine tra la sua vita privata e professionale o è un flusso continuo e reciproco?
Io credo che questo confine non esista, e che quando esiste porta a grandi conflitti interiori. E comunque, concentrando casa e studio nello stesso luogo, ho impostato la mia vita sulla totale fusione/confusione dei due ambiti.

Cosa trasferisce dalla  quotidianità ai suoi progetti?
I miei progetti sono pieni della mia personale quotidianità, sicuramente diversa dalle altre. Il progetto non è mai in valore assoluto, può soltanto testimoniare un vissuto.

Al Triennale Design Museum ho avuto modo di sostare davanti ad un video che la riprendeva in cui si definiva il “Collodi del design”. Ci chiarirebbe questa affermazione?
Io cito Collodi quando voglio parlare dell'impossibilità di predire un best-seller. Collodi era un simpatico visionario che sentiva il bisogno di raccontare la storia di un burattino di legno. Tutto il resto è affidato al caso. Quanto più usi un registro intimo e personale, tanto più puoi aspirare a un riscontro universale.

Che rapporto ha con la “quantità”?
Quando penso alla quantità mi viene sempre in mente il concetto di massa critica che indica una soglia quantitativa minima oltre la quale si ottiene un mutamento qualitativo. Io non riesco a scindere le due facce della stessa medaglia che sono quantità e qualità, e cerco sempre di stabilirne un equilibrio responsabile. Il mio mantra come progettista contemporaneo è: “fare meno, farlo meglio”.

Alcuni miei amici psicologi hanno redatto di recente una rivista; il primo numero si intitola “Arte e follia”. Lei lo trova uno spunto meditativo interessante anche per il nostro mestiere? Se sì in che termini?
Lo sdoganamento del concetto di follia nei territori della creatività è frutto di un lungo processo: genio e sregolatezza, belli e dannati, sono stati i cavalli di battaglia dell'arte moderna. E dico moderna, non contemporanea, perché credo sia qualcosa di già passato. Il mondo attuale ha declinato la follia a tutti i livelli, e ha fatto esplodere il concetto stesso di arte permeandone tutte le manifestazioni del fare. Il titolo che avrei scelto per la nuova rivista sarebbe stato “Atto e amore”.

Tra i suoi lavori più avvincenti ricordiamo gli showroom per Bisazza a New York e a Berlino. Che affinità ha trovato e come si è incontrato con questa azienda? Mi spiego meglio, come si riesce a coniugare un mondo ricco di allegorie con quelle che sono le logiche aziendali?
Il segreto è stato quello di non snaturarsi a vicenda nel reciproco rispetto e stima. Ci siamo scelti, stabilendo da subito ambiti e ruoli. Ed è stata un'esperienza illuminante con un imprenditore sicuramente illuminato.

Fellini affermava :”nello squallore alberga la bellezza”. A quale tipo di “squallore” penserebbe e come lo proietterebbe nel suo fare progettuale?
Lo squallore cui si riferiva Fellini, se lo si contestualizza temporalmente, era semplicemente il diverso. L'intera opera di Fellini anticipa la valorizzazione del diverso che si consacrerà con gli anni settanta. Questa è una lezione che abbiamo appreso bene, i valori della diversità sono i nostri. C'è sempre un Obama dopo un Bush, fortunatamente!

Nei suoi progetti quanto appartiene ai colori, sapori, forme della sua terra d'origine, ossia la Puglia? Ne esiste qualcuno particolarmente influenzato?
Con un paragone azzardato, i negozi per Stuart Weitzman ricordano le chiese del barocco leccese. Mi spiego: lo stile barocco sviluppatosi nella mia città natale era caratterizzato da forme quasi spontanee di iperdecorazione filtrate attraverso la monocromaticità del materiale adottato (la pietra leccese). L'elaboratezza dell'elemento in corian che riveste la quasi totalità delle superfici dei miei negozi trasfigura in chiave contemporanea i miei ricordi d'infanzia.

Qual è stato il lavoro più “semplice” da realizzare e quale il più “difficile”?
La verità è che qualsiasi cosa richiede un grande impegno. Ormai ho capito che accettare un piccolo lavoro mi porterà via lo stesso tempo di una grande opera. Saper scegliere diventa la discriminante.

In un'isola deserta cosa porterebbe con sé e come allestirebbe quel “ vuoto” che potrebbe pervaderla inizialmente?
Devo confessare che non sono particolarmente legato alle cose, pur progettandole. L'animismo degli oggetti può essere un argomento soltanto quando si vive circondati da persone. Un'isola deserta per me sarebbe un incubo. Io sono un vero animale sociale.

Per concludere, cosa auspica per il futuro suo e per quello dei progettisti più “giovani”, non solamente in senso anagrafico, che la circondano?
Auspico un livello di coscienza e sensibilità sempre maggiore. Abbiamo gli strumenti per capire dove siamo, dobbiamo elaborare senso critico per sapere dove andare. L'ho già detto, il mantra del progettista contemporaneo deve essere: “fare meno, farlo meglio”!


Note biografiche
“Dal 1966 rispondo a chi mi chiama Fabio Novembre.
Dal 1992 rispondo anche a chi mi chiama “architetto”.
Ritaglio spazi nel vuoto gonfiando bolle d'aria e regalo spilli appuntiti per non darmi troppe arie.
I miei polmoni sono impregnati del profumo dei luoghi che ho respirato e quando vado in iperventilazione è soltanto per poi starmene un po' in apnea.
Come polline mi lascio trasportare dal vento convinto di poter sedurre tutto ciò che mi circonda.
Voglio respirare fino a soffocare.
Voglio amare fino a morire.” (Fabio Novembre)