L'esempio di due Maestri nel progetto di una lampada
di Roberto Zanon
Nella progettazione di una lampada molti sono gli approcci che possono essere adottati e difficile risulta farne una catalogazione esaustiva. Un aiuto può però arrivare dalla storia contemporanea del "progetto della luce" e in particolare da due tra i maggiori maestri del design italiano che più volte si sono cimentati in questo campo: Achille Castiglioni (1918) e Vico Magistretti (1920). Due personalità che, nella coerenza dell’intero loro lavoro, dimostrano come si possa affrontare la progettazione di una lampada partendo da presupposti diversi, arrivando comunque alla realizzazione di oggetti con un altissimo riscontro sia del mercato che della critica.
Achille Castiglioni (e parlando di lui si sottintende anche l’iniziale collaborazione dei fratelli Livio e Pier Giacomo scomparsi prematuramente) inizia un suo progetto partendo dalla tipologia di luce che desidera ottenere "ovvero da un tipo specifico di lampadina" costruendoci attorno un supporto che per quanto complesso possa apparire è sempre in funzione dell’effetto luminoso che intende perseguire.
Con Vico Magistretti invece la luce sembra essere un fattore di complessità, un valore aggiunto alle chiare geometrie che generalmente egli impiega nei propri progetti. Le lampade di Magistretti sono cioè dei volumi risolti dal punto di vista compositivo che vivono autonomamente e che con la luce acquistano nuovi effetti scenografici.
È facile vedere esemplificate queste metodologie progettuali costruendo dei paralleli con alcuni esempi specifici, anche attraverso una comparazione non necessariamente diacronica.
Una delle prime lampade disegnate da Castiglioni è il modello Luminator del 1957. L’idea è di traslare una tecnica di illuminazione delle sale di posa dei fotografi nell’abitazione, ovvero di diffondere la luce nell’ambiente orientando una sorgente luminosa, costituita da una ampolla in vetro specchiato, verso il soffitto. Una soluzione formale molto semplice in cui la struttura è un tubo metallico con il minimo diametro per contenere il portalampada che diventa contenitore per gli steli alla base durante il trasporto.
Luminator, Achille Castiglioni, Pier Giacomo Castiglioni
produzione Flos, 1957
Un atteggiamento progettuale sicuramente in antitesi, pur nella tipologia di lampada da terra, con il modello Chimera di Magistretti del 1966. Realizzata con lastra di metacrilato opalino ha una configurazione a serpentina in modo da renderla autoportante. Sono evidenti delle analogie con la sedia Selene, disegnata da Magistretti in quegli anni, in cui la ricerca di rendere la struttura in grado di reggersi fornisce il pretesto per l’inseguimento di una forma significante, gestendone compositivamente l’apparente arbitrarietà. La luce, pur producendo effetti inaspettati, diventa solo una "falsa ragione", l’occasione per sperimentare le potenzialità di un nuovo materiale.
Chimera, Vico Magistretti
produzione Artemide, 1966
Un altro parallelo può essere costruito con altre due famose lampade: Ventosa del 1962 e Eclisse del 1965. Un’ulteriore dimostrazione da un lato di coerenza di questi due progettisti all’interno della propria personale attitudine e dall’altro ancora un riflettere sul significato della forma che parte da presupposti progettuali differenti. Con il modello Ventosa, Castiglioni estremizza la semplicità costruttiva e strutturale dell’oggetto attraverso l’artificio di far diventare potenziale sostegno dell’apparecchio tutti gli oggetti a superficie liscia, annullando il concetto di apparecchio illuminante complesso. Il faretto in questione è semplicemente composto da una ventosa in gomma e da un portalampada. Castiglioni reinterpreta, come in molte altre occasioni, degli oggetti nati per altri usi in un insieme inedito in cui la scontestualizzazione dei singoli elementi non denuncia la possibile facile precarietà della nuova situazione.
Ventosa, Achille Castiglioni, Pier Giacomo Castiglioni
produzione Flos, 1962
Con Eclisse di Magistretti abbiamo invece una geometria forte che sta alla base di un effetto chiaroscurale sicuramente interessante, ma secondario rispetto alla decisa caratterizzazione formale dell’insieme. Eclisse è una lampada da comodino realizzata in metallo verniciato in cui la possibilitˆ di modulare la luce in modo semplice e intuitivo è la base pretesto-funzionale su cui si esprime la ricerca figurativa. L’insieme di tre semisfere la cui percezione suggerisce una sorta di perfezione nel comporre a testimonianza di una sapiente capacità dell’autore.
Eclisse, Vico Magistretti
produzione Artemide, 1965
I paralleli tra questi due storici personaggi del design italiano potrebbero continuare a lungo vista la prolifica produzione di entrambi nel settore dell’illuminazione. Per concludere però questa breve riflessione possiamo prendere in considerazione ancora due altri capolavori, sicuramente due pezzi intramontabili nella storia dell’arredo contemporaneo: le lampade Arco di Castiglioni del 1962 e Atollo di Magistretti del 1977. La prima inventa letteralmente una tipologia. È l’idea del lampadario svincolato dal soffitto. Costituita da una base in marmo che funge da sostegno a terra, supporta una calotta metallica per mezzo di tre settori di acciaio inossidabile profilato ad U che disegnano un semicerchio. Uno stratagemma che permette - almeno nell’idea originaria - di posizionare il basamento di marmo a terra in un angolo di un comune soggiorno e di far arrivare la luce direttamente sopra un tavolo da pranzo. Un’idea rivoluzionaria supportata da una struttura elementare in cui la maestria di Castiglioni riesce a mimetizzare nel posizionamento del buco sul prisma di marmo un’apparente decoro rivelandosi invece essere necessario punto di bilanciamento per permettere il passaggio di un bastone-supporto nell’eventuale trasporto.
Arco, Achille Castiglioni, Pier Giacomo Castiglioni
produzione Flos 1962
Con Atollo, realizzata completamente in lamiera metallica, sono ancora le forme dai volumi primitivi a ritornare protagoniste. Due figure geometriche semplici, proporzionate, che sembrano materializzare la memoria dell’"abat-jour" in una piccola struttura astratta, pulita da ogni dettaglio o particolare tecnico.
Atollo, Vico Magistretti
produzione Oluce, 1977
Tali figure vengono volumetricamente messe in evidenza nel momento in cui si accende la luce. Un gioco di chiaroscuri che fa sembrare quasi sospesa la calotta sulla base sottostante. La luce è ancora una volta - come si è già visto nella logica generativa delle lampade di Magistretti - accessorio non indispensabile, ma comunque caratterizzante nell’identificazione del gioco compositivo messo in opera.
Pubblicazione originale su de-sign, n°2 lug - set 2001