Conversazione con Paolo Ulian
di Ivana Riggi
Ammetto che questo è uno degli incontri che desideravo di fare da un po'… Dei progetti di Paolo Ulian mi colpisce la semplicità del messaggio finale che però, da quello che ho letto e osservato, provengono da dei processi di maturazione ben ponderati, pensati, che spesso si concludono con “un colpo di genio” finale. Per lui niente va sprecato e ci riesce facendolo molto bene. A questa breve premessa non aggiungerei altro, conosciamolo direttamente.
Paolo, benvenuto e grazie per avere accolto questo invito. Mi piacerebbe che tu facessi una tua presentazione e che mi raccontassi un episodio singolare che ti abbia maggiormente convinto a diventare un designer.
Non sono un vero e proprio designer industriale perché i miei progetti
entrati in produzione sono veramente pochi, non sono un designer che si
autoproduce, anche se qualche autoedizione l'ho realizzata. Non sono nemmeno un
designer-artigiano anche se la maggior parte degli oggetti che ho ideato li ho
realizzati con le mie mani. Probabilmente sono un po' tutte queste tre figure
messe insieme che interagiscono e si rafforzano a vicenda. Una linea comune a
queste tre caratteristiche è senz'altro una certa attenzione alle problematiche
e le contraddizioni del design, alla consapevolezza dei disastri ambientali, ma
anche, culturali e sociali, ai quali un progettista può rendersi partecipe se
non ha una sua chiara etica a cui riferirsi. Il design per me è un mezzo di
comunicazione dei propri valori e principi, un linguaggio basato sulla fisicità
delle cose con cui esprimere i propri pensieri e le idee a cui teniamo di
più.
L'episodio che mi ha convinto a intraprendere la strada del design è stata una
telefonata di Enzo Mari in un momento delicato della mia vita, mi invitava ad
andare a lavorare nel suo studio pochi mesi dopo essermi diplomato, mentre
cercavo di guadagnarmi da vivere realizzando lavori di grafica e di fotografia.
Ero in una sorta di limbo in cui l'entusiasmo e la passione per il design si
stavano affievolendo e la possibilità di andare a lavorare con Mari era la
cosa più bella che mi potesse capitare in quel momento.
Nell' aprile 2009 allo spazio Careof-Viafarini, si è tenuta una mostra
dedicata a tuoi lavori che è stata, correggimi se sbaglio, divisa in due aree
che contengono ognuna degli insiemi di ricerche così definiti: Progettare
Tracce, Rispettare la Materia, Accortezze Costruttive, Aggiungere Funzioni,
Buona Forma, Osservare Comportamenti, Sentire Etico. Sono dei processi
progettuali che hanno una base filosofica, ce li descriveresti?
Le due aree a cui ti riferisci non volevano rappresentare due aree
tematiche della mia ricerca, erano solo una delimitazione fisica derivata dalla
suddivisione dello spazio espositivo. Mentre gli insiemi di ricerca che hai
citato sono definizioni che ha redatto Beppe Finessi ( il curatore) in
occasione della mia mostra personale ed erano un riuscito tentativo di
riordinare le diverse caratteristiche dei miei risultati progettuali prodotti
nell'arco di venti anni.
“Progettare tracce” si riferisce all'aspetto “decorativo” che alcuni oggetti
acquisiscono in seguito a un'operazione concettuale. Il decoro come una
conseguenza e non come uno scopo, come una traccia lasciata da un' atteggiamento
( i colpi di martello sulla superficie dei tavolini-seduta “Pin” necessari per
piantarli nel terreno diventano un decoro inconsapevole e in divenire) o dagli
strumenti utilizzati ( i diversi decori dei vasi “Emerso” sono delle tracce
lasciate sulla superficie dai vari utensili usati)
“Rispettare la materia” riguarda tutti quei progetti in cui c'è un'attenzione
ai temi della sostenibilità e al corretto uso dei materiali, mentre in
“Accortezze costruttive” sono raccolti i progetti risolti con una soluzione
tecnica di tipo ingegneristico come la lampada “Palombella”, l'appendiabiti
“Flex” o la libreria “Vincastro” . In “Aggiungere funzioni” ci sono gli
oggetti con due o più funzioni come il tavolino-panca “Cabriolet” o il
coltello “Pane e salame” o il Lavello “Tandem”. In “Buona forma” sono
raccolti gli oggetti non facilmente definibili, quelli particolarmente
riusciti nel rapporto tra funzione ed estetica. “Osservare comportamenti” è il
tema più ricorrente nella mia ricerca: istituzionalizzare alcuni comportamenti
informali delle persone per renderli visibili attraverso la matericità delle
cose. “Sentire etico” è riferito al rapporto molto forte tra forma e
significato, a provocazioni come la bottiglia di vino incartata con un foglio
di giornale su cui compare la notizia La folle guerra di Bush o il
fiammifero a due teste infiammanti che ci fa riflettere sull'importanza di
avere approcci diversi con le cose, a partire dai più piccoli oggetti e dai
gesti più banali.
Cito alcuni dei tuoi progetti: Vincastro, 1995-Aleph Driade, Cabriolet
(Primo Premio “Design Report” nel 2000), 2001- Fontana Arte, Up, 2001-BBB
Bonacina, Bowl, 2003-Fontana Arte, Bird-feeder, 2003-Droog Design, Mat-walk,
2004-Droog Design, Panca Estensibile, 2009-OfficinaNove, Emerso, 2009-Attese
Edizioni, Carboard Vase, 2009-Produzione Skitsch … Sono pochi dei tanti:
avresti voglia di soffermarti a parlare su qualcuno di questi o su altri non
riportati?
Alcuni di questi li ho già citati nella risposta precedente, potrei
parlarti dei vasi Cardboard che sono uno dei miei progetti preferiti . Questi
vasi sono nati osservando come un imballo in cartone goffrato per bottiglie
potesse assumere infinite forme attraverso semplici interventi di
manipolazione. Cosi', seguendo questa sua naturale propensione, ho realizzato
una serie di forme diverse di vasi in cartone e le ho fatte riprodurre in
ceramica per il marchio Skitsch. Successivamente, parlando di questi vasi con
Enzo Mari, è nata una variante, non più in ceramica ma in cartone,
all'interno del tubolare è bastato aggiungere una mezza bottiglia di plastica
per contenere l'acqua ottenendo cosi' dei bellissimi vasi in cartone colorato
dalla forma personalizzabile. Qualche mese fa ho passato questa idea ai
laboratori per bambini della Triennale di Milano e adesso tanti bambini
possono dar forma al loro vaso, decorarlo liberamente e portarlo a casa come
dono alla loro mamma. Oltre che ad essere stata per me una bella esperienza a
livello umano è stata anche una particolare soddisfazione, niente produzione e
vendita, ma solo pura partecipazione e condivisione del “saper fare” con i
bambini che hanno delle capacità creative veramente sorprendenti.
Il tuo design è puntuale e non butti via niente. Cosa ti infastidirebbe, del
fare progettuale che ti circonda, a tal punto da farti arrabbiare e indurti a
gettare via qualcosa?
Ci sono molti aspetti del design attuale che mi infastidiscono, ma ce n'è
uno in particolare che non digerisco ed é quel genere di progetti che si
spacciano come design di avanguardia e che sono contraddistinti da forme
fantascientifiche e da colori fluo. Di fatto non sono altro che una forma di
design autoreferenziale molto attento alle tendenze del momento, tutta
apparenza e nessun significato, solo pura spazzatura.
Come vivi il rapporto con le aziende, con gli altri designers e come,
invece, l'autoedizione?
C'è qualcuno insieme al quale ti piacerebbe lavorare e perché?
Tutto dipende dalle persone con cui si entra in contatto, se a capo delle
aziende ci sono persone interessanti, aperte e amichevoli, allora è possibile
che si instauri anche un buon rapporto di lavoro e si possano raggiungere dei
risultati concreti, altrimenti tutto si perde nel nulla. Tra i designers
della mia generazione c'è n'è qualcuno che ammiro molto ed altri un po' meno,
ma in generale siamo tutti molto solidali e buoni amici. Però non so se sarei
capace di lavorare a quattro mani con uno di loro, ognuno ha le sue peculiarità
e non credo che sia facile farle collimare per arrivare a dei buoni risultati
comuni.
Riguardo all'autoedizione posso dire che è un'attività che mi piace molto e che
vorrei perseguire sempre di più anche se fino ad oggi non posso certo fregiarmi
di aver fatto molto in questa direzione. Mi piace perché è un modo di
progettare più completo, è un cerchio che si chiude. Il designer nel gestire
anche la produzione può apprendere segreti e informazioni preziose direttamente
nei luoghi della produzione e questo porta sicuramente a stimolare
positivamente anche le sue potenzialità progettuali. Poi c'è un altro aspetto
positivo rispetto al rapporto con le aziende, quello di avere una maggiore
libertà espressiva e di giudizio, tutto ruota intorno alle scelte del designer
nel bene e nel male anche se questo può significare maggiori responsabilità e
maggiori rischi di insuccesso.
Beppe Finessi ti ha definito “un nuovo maestro”. Qual è il ruolo dei maestri
nella società attuale? Mi spiego meglio: oggi hanno delle “responsabilità”
differenti in relazione al periodo storico che è sicuramente cambiato rispetto
al passato?
Non mi sento un nuovo maestro, ho ancora tutto da imparare dai maestri,
quelli veri, staremo a vedere tra qualche anno. Per il momento ti posso dire
quali sono le responsabilità che mi sento di avere come designer nei confronti
della nostra società.
La prima cosa che ho capito da quando ho iniziato questo percorso è proprio la
responsabilità pesante che i designers industriali hanno nei confronti
dell'ambiente e della società in generale, disegnare un' oggetto in plastica,
per esempio non è solo dare una bella forma o caricarlo di un certo
significato ma anche partecipare consapevolmente e in modo determinante al
disastro ambientale del nostro pianeta. E' questa la preoccupazione maggiore
che ogni designer dovrebbe avere, ma che ancora oggi è quasi totalmente
ignorata perché si continua a dare più peso al bene privato che a quello
pubblico.
Dovrebbe esistere una sorta di regola etica del designer e dell'imprenditore in
cui siano stabiliti i limiti oltre i quali non è concesso andare, oltre i quali
il designer o l'imprenditore siano considerati dei fuorilegge ( mi rendo conto
che qui sono già nell'ambito dell'utopia pura).
Paolo, cos'è l'etica? … E la retorica?
L'etica per me è rispettare delle regole sociali, avere come priorità il
bene comune sacrificando quello privato. Il Design dovrebbe essere considerato
più una missione che una professione, più un'opportunità per esprimere dei
sani principi piuttosto che una mera opportunità economica per chi lo pratica.
Ma evidentemente la realtà è tutt'altra cosa.
La retorica io la considero come uno strumento che consente di ottenere più
risultati con meno sforzi, una tecnica per arrivare diritti all'obiettivo che
però spersonalizza la ricerca, la incanala semplicemente in percorsi sicuri e
conosciuti. E' una tecnica la cui logica non prevede la sperimentazione, il
procedere per tentativi e per prove, è una tecnica che non conduce quasi mai
nei territori puri dell'innovazione e della scoperta.
Nel salutarci: un tuo augurio per il futuro?
Mi auguro l'assestamento o il superamento di questa economia globalizzata
che per il momento mi pare che abbia creato solo grandi squilibri tra le varie
aree geografiche e prodotto nuove logiche di mercato basate più
sull'indiscriminato sfruttamento della forza lavoro che sul rispetto e la
dignità delle persone.
Note biografiche di Paolo Ulian
Ha frequentato per tre anni l'Accademia di Belle Arti di Carrara, si è poi
trasferito a Firenze per iscriversi all'Isia. Nel 1990 discute la sua tesi
realizzando il progetto di un paravento in cartone col quale vince il premio
Design for Europe in Belgio. Alla fine del 1990 é a Milano per lavorare con
Enzo Mari. Collabora con lui fino al 1992 e poi ritorna in Toscana.
In quel periodo dedica molto tempo alla sperimentazione per poi partecipare a
numerose mostre collettive e in particolar modo a quelle organizzate dallo
Spazio Opos a Milano.
Dal 1995 al 2000 alcune di queste sperimentazioni si sono poi tradotte in
prodotti come la libreria Vincastro per Driade o la lampada Bartolo per
Opposite.
Nel 2000 partecipa al Salone Satellite dove vince il premio Design Report.
Negli anni successivi vince il premio Dedalus e inizia collaborare con Droog
Design e con alcune aziende italiane come Driade, Fontana Arte, Luminara, Zani
e Zani, BBB Bonacina, Coop, Azzurra Ceramiche, Skitsch, Officinanove.
Durante il Salone del mobile 2009, Beppe Finessi ha curato la sua prima mostra
personale presso gli spazi di Careof-Viafarini alla Fabbrica del Vapore a
Milano. La seconda mostra personale, curata da Enzo Mari, è stata allestita
alla Triennale di Milano nel gennaio 2010.