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Un esempio di scelta morale: la vita di Wright
di Riccardo Dalisi

La scelta: il contatto con la zona da cui viene l’ispirazione, l’immagine.

Apriamo l’autobiografia di Wright e cogliamone (è possibile farlo) l’insegnamento di vita che ne viene. Agli inizi della sua professione egli ebbe l’invito a recarsi in Europa alla Beaux Art di Parigi ed a Roma per studiare i classici, ma sentiva forte dentro di sé il compito di un percorso totalmente autonomo e rinunciò.

Ogni vero architetto trasmette, in fondo, attraverso la sua opera, la propria esperienza e la propria passione di vita. Da segnalare l’importanza fondamentale del momento di scelta per la propria vita.

""Frank, non ti rendi conto di quello che significa questa proposta? Come deciderai ora, così andrai avanti per tutto il resto della tua vita...".

"Si... è questo", dissi, "Lo so. Ne ho visto di architetti tornare da Parigi... Tutti ridotti alla stessa misura, per quanta personalità potessero avere quando erano partiti".

"Personalità? La grande architettura è severa disciplina", replicò zio Dan. "Pensa al tuo avvenire, pensa alla tua famiglia", mi esortò il signor Waller. Sentivo tutto il peso della decisione che stavo per prendere.

Vidi me stesso influente, prospero, tranquillo; mi vidi nei panni di competente caposcuola della corrente di maggioranza. Di questo ero certo. Non potevano esservi dubbi in proposito con l’appoggio di Daniel H. Burnham, qualora fossi riuscito... e dentro di me non dubitavo minimamente che sarei riuscito.

Tutto sarebbe stato deciso, definitivo, troppo facile e troppo poco eccitante, dal mio punto di vista. E tutto falso. Nella migliore delle ipotesi, un surrogato.

I due amici fraintesero, scambiando il mio abbattimento per una resa.

"Ebbene?", dissero entrambi, sorridendo con cortesia, con affetto... Mi sentii un ingrato. Non mi sono mai odiato tanto come in quel momento.

"No, caro Burnham, no, caro Waller... Non posso fuggire".

"Fuggire? Che cosa significa?", domandò il signor Waller. "Ecco, vedete, fuggire da ciò che so mi appartiene, voglio dire, da ciò che secondo me è ‘nostro’ nel nostro Paese, per ciò che non appartiene a me, cioè, che non appartiene a ‘noi’ solo perché‚ significa il successo. Vedete: non posso andare, neppure se lo desiderassi, perché‚ in questa situazione non è giusto che mi preoccupi soltanto di me".

Non ritengo che i due grandi amici mi credessero. Pensarono che mi stessi dando delle arie... Lo vidi dalle loro espressioni, o almeno così mi parve. "Può darsi che sia sciocco, suppongo che lo sia, in un certo senso, ma preferisco essere libero, e fallito e sciocco, piuttosto che legato a un successo conformistico. In quanto mi proponete non vedo alcuna prospettiva di libertà, ecco tutto. Oh, si, dico sul serio. Davvero. Comunque sono grato a entrambi; ma non partirò". Mi alzai. E di colpo l’intera faccenda si chiarì in me come una questione di fedeltà a quella che allora chiamavamo "America", e che ora io chiamo Usonia.

"Grazie a tutti e due", dissi ancora. "So quanto mi giudichiate cocciuto e vanaglorioso, ma intendo continuare come ho cominciato. Non sono l’uomo adatto a una cosa del genere, anzitutto per il carattere, poi per l’educazione, e", mi era ora balenato chiaro nella stretta delle circostanze, "per le mie convinzioni".

Il signor Waller fece scattare la serratura, aprì la porta dello studio e si scostò - offeso, me ne accorsi - per lasciarmi passare. Aiutai Catherine a infilarsi il soprabito e tornammo a casa. Non le parlai di quanto era accaduto se non molto tempo dopo".

Qui Wright nella sua scelta, ascolta il suo compito che è al di là della soddisfazione personale, verso l’America e noi oggi diciamo, verso l’architettura e il patrimonio di cultura di tutti. Tra un successo sicuro ed un rischio in cui era garantito solo (dalla sua voce interiore) dalla sua vocazione sceglie il rischio.

Mani di Frank Lloyd Wright, La Copertura

Mani di Frank Lloyd Wright, La Copertura