Anish Kapoor
Anish Kapoor è uno degli artisti più significativi nel panorama dell'arte
contemporanea internazionale. Nato a Bombay nel 1954, da padre indiano e da
madre ebrea irachena, a diciannove anni, dopo aver studiato due anni in Israele
in una scuola di elettronica, si sposta in Inghilterra per iscriversi alla
scuola d'arte.
Vive e lavora a Londra sin dagli anni '70.
Si appassiona alle macchine celibi di Marcel Duchamp e conosce colui che
diverrà il suo maestro, Paul Neàgu. Nel 1979 riscopre il suo essere indiano recandosi
nel suo paese d’origine prendendo coscienza di una sorta di extraterritorialità
sul limite di due culture, la cultura orientale e quella occidentale. Kapoor
ritorna in Inghilterra e crea la serie dei 1000 Names, instabili oggetti
scultorei.
Nel 1980 presso lo studio di Patrice Alexandre a Parigi, espone la sua prima
mostra. L'anno successivo alla Coracle Press di Londra ottiene la sua prima
mostra personale. Nasce una forte amicizia con il titolare della Lisson Gallery
di Londra, Nicholas Longsdail. Dagli inizi degli anni '80 i suoi lavori
originali, in continuo dialogo tra bidimensionalità e tridimensionalità, gli
consentono di ottenere ben presto un ruolo di spicco nella New British
Sculpture, nome con cui la critica designò la nuova scena della scultura
inglese e di cui facevano parte artisti come Cragg, Deacon, Woodrow e Gormley.
Le sue opere indagano la dialettica degli opposti: uomo e donna, luce e
tenebre, interno ed esterno, ed è l'utilizzo del colore nella sua purezza a
diventare elemento costante delle sue opere e simbolo della sintesi tra oriente
ed occidente. Il percorso artistico di Kapoor si compone di due fasi
complementari. Alla prima appartengono le opere dei primi anni '80: oggetti
scultorei con forme tra l'astratto e il naturale, completamente ricoperte di
pigmento puro, il cui intenso colore nasconde l'origine di manufatto e
suggerisce l'idea di sconfinamento. Negli anni ‘90 invece approfondisce quelle
che possono essere riconosciute come sue caratteristiche peculiari: sculture di
dimensioni sempre più monumentali e che rappresentano la sua messa in scena del
vuoto, reso tangibile da una cavità che si riempie o da una materia che si
svuota.
I lavori di Kapoor sono stati esposti in tutto il mondo sia in musei che in
gallerie private, tra i quali la Tate Modern di Londra, il Museum of Modern Art
di New York, il Reina Sofia di Madrid e lo Stedlijk Museum di Amsterdam.
Nel 1990 prende parte alla XLIV Biennale di Venezia dove gli conferiscono il
"Premio Duemila" (ottenuto anche nel 1992). L'anno seguente consegue
il "Turner Prize" e nel 1992 partecipa a Documenta IX con la
costruzione Descent into Limbo. Nello stesso anno l'Expo di Siviglia gli
commissiona l’opera architettonica Building for Void. Nel 2003 espone al Museo
Archeologico di Napoli.
Kapoor si propone di “arrivare a degli oggetti che non assomigliano a
nient’altro [...] creare cose che sembrino emanare da un mondo a parte e che
attraverso la loro particolare stranezza suggeriscano nuovi modi di vedere”.
Negli anni Novanta Kapoor approfondisce quelle che possono essere riconosciute
come sue caratteristiche peculiari: sculture individuali o gruppi di oggetti
coperti da un velo di pigmento quasi immateriale che trasforma le forme,
talvolta attraversate da vuoti misteriosi, in qualcosa che sembra stia per
levitare, così che i suoi lavori evocano il sublime e suscitano intense
risposte fisiche e spirituali.
Ottiene varie commissioni, sia pubbliche che private. Utilizza diversi
materiali: dal marmo di Carrara, al granito, all’ardesia, all’arenaria per
opere come Void Field o Ghost del 1989. Si cimenta con le superfici
riflettenti, creando specchi deformanti o che addirittura annullano l'immagine
stessa, dando vita a opere come Double Mirror del 1997, Turning the World
Upside Down del 1995 o Suck del 1998. La Taratantara è un'opera per il Baltic
Centre di Gateshead. Il Millennium Park di Chicago gli commissiona il famoso
Cloud Gate: L’opera, costruita fra il 2004 e il 2006, viene soprannominata "The
Bean" per la sua forma a fagiolo, è lunga diciotto metri e alta nove di
acciaio inossidabile. Composta di 168 piastre di acciaio inox saldate insieme è
ispirata al mercurio liquido, un’opera senza centro, un grande specchio
deformante che riflette il paesaggio che lo circonda e il cielo in un’unica
superficie, gli spettatori sono liberi di ammirarla anche passandoci sotto
visto che l’altezza dell'"omphalos" (dal greco "ombelico")
è una rientranza alta 3,7 metri.
La manutenzione è stata affidata ad una azienda che la pulisce a mano due volte
al giorno. È altresì prevista una pulizia totale ogni 40 anni.
Tutti i lavori di Kapoor hanno dei titoli chiarificatori. Il titolo, infatti,
come diceva Marcel Duchamp, è una parte fondamentale dell'opera.