La biografia di Alexander Calder
Calder - Roma - Palazzo delle Esposizioni
Su Alexander Calder. L'amicizia di Ugo Mulas
Testi storici su Alexander Calder
Alexander Calder
Alexander Calder nacque a Lawnton, un sobborgo di Philadelfia in Pennsylvania, nel 1898, da una famiglia di artisti. Fu il nonno paterno, scultore, a immigrare dalla Scozia negli Stati Uniti. Anche i genitori di Alexander erano artisti, pittrice la madre, scultore il padre, entrambi sensibili alla cultura dei nativi d'America.
Laureatosi in ingegneria nel 1919, il giovane Calder esercitò i più diversi mestieri: contabile, rappresentante, assicuratore, mozzo, poi, un insieme di circostanze tra le quali una folgorante visione naturale e una paterna sollecitazione, lo indussero a dedicarsi all'arte.
Nel 1923 si iscrisse, prima ai corsi serali di Clinton Balmer, poi all'Art Students League di New York, dove, tra gli altri, ebbe come insegnante John Sloan alla cui influenza debbono riferirsi i suoi primi dipinti ad olio con scene metropolitane. Seguì anche i corsi di Boardman Robinson che lo iniziò al disegno a tratto lineare, divenuto in seguito elemento stilistico fondamentale del suo lavoro.
Un tratto sottile e sicuro compare nei primi disegni umoristici pubblicati nel giornale satirico newyorkese, "The National Police Gazette" tra il 1923 e il 1925, e ricompare materializzato nelle sculture in filo di ferro, il gruppo di opere che segnarono il suo esordio.
Al 1926 risale il primo viaggio di Calder a Parigi, dover l'artista soggiornò a lungo. Lì perfezionò piccoli oggetti zoomorfi o antropomorfi, realizzati con materiali diversi, dagli objets trouvés al filo di ferro, legno, stoffa, barattoli di latta, popolò, inoltre, il suo celebre "Cirque", acrobati, ballerini, diversi generi di animali, clowns che l'artista animava offrendo ai suoi amici dei veri e propri spettacoli "ricchi di humor e di infantile allegrezza", li definisce Giovanni Carandente.
In quello stesso periodo mise a punto anche un genere di ritratto ottenuto con il filo di ferro, che continuerà a realizzare negli anni. Alla Weyhe Gallery di New York nel 1928 tenne la sua prima mostra personale, interamente dedicata alle opere in filo di ferro.
E' lo stesso Calder che dichiarò, in diverse occasioni, quanto sia stata per lui importante la visita allo studio di Piet Mondrian, dove si recò nel 1930, ricambiando la visita che Mondrian gli aveva fatto in occasione di una delle rappresentazioni del "Cirque". "Uno choc necessario" definì quell'incontro, in seguito al quale abbracciò l'astrattismo, senza peraltro rinunciare mai a un serrato e divertito dialogo con le forme della natura.
Nella Parigi cosmopolita e capitale delle arti, a cavallo tra gli anni venti e trenta, dove Calder trascorreva lunghi soggiorni alternandoli a quelli newyorkesi, prese corpo il suo lavoro a contatto con i principali protagonisti della scena artistica internazionale. Con Juan Miró allacciò una solida e intramontata amicizia, Jules Pascin presentò la sua mostra personale nella Galerie Billiet di Parigi nel 1929, nel 1931 Fernand Léger scrisse un'introduzione per la sua mostra personale alla Galerie Percier di Parigi, quella in cui espose le prime sculture astratte dipinte con l'esclusivo impiego dei colori primari, Marcel Duchamp propose il titolo di "Mobile" per le sue prime sculture cinetiche esposte nel 1932 alla Galerie Vignon di Parigi, Hans Arp controbatté appellando "Stabile" le sue sculture astratte non in movimento.
Nella sua presentazione Léger aveva definito Calder un americano al 100% e si chiedeva "Eric Satie illustrato da Calder? Perché no?": nel 1936 Calder realizzò la sua prima collaborazione teatrale, disegnando le scene per il Socrate di Satie prodotto dal Wadsworth Atheneum di Hartford.
Nel 1937, presentato da Mirò, partecipò alla realizzazione del celebre padiglione spagnolo all'Esposizione Universale di Parigi, realizzando l'ingegnosa "Fontana del mercurio".
Nel 1931 l'artista aveva aderito al movimento Abstraction-Création e fu in quell'anno, particolarmente importante per la sua vita - è lo stesso in cui sposò Louisa James - che giunse a ideare le sculture in movimento, alcune azionate da macchinari (che presto smise di utilizzare), altre mosse da fattori contingenti o atmosferici.
Nelle opere di Calder il movimento, assunto come emblema dell'epoca contemporanea dai Futuristi in poi, ha la stessa qualità della vita e sprigiona un sottile senso dell'umorismo. La sua grande invenzione, maturata attraverso l'esperienza delle figure animate del "Cirque", sta nell'organizzazione di forze contrastanti che mutano le loro relazioni nello spazio, modificando continuamente la forma della scultura. Questa è l'interpretazione di James Johnson Sweeney che presentò la prima mostra personale di Calder nella galleria di Pierre Matisse a New York nel 1934 e che nel 1943 curò la prima esaustiva monografia dedicata all'artista, pubblicata in occasione della mostra retrospettiva al Musueum of Modern Art di New York.
Nel 1946 fu Jean-Paul Sartre a presentare la mostra di "Mobile" nella galleria Louis Carré a Parigi, tracciando un sottile legame tra quelle sculture e l'Esistenzialismo: "Un Mobile non significa nulla, cattura i movimenti della vita e li mette in forma. I Mobiles non significano niente altro che se stessi (…) sono degli assoluti (…) Sono invenzioni liriche, combinazioni tecniche, quasi matematiche e allo stesso tempo il simbolo sensibile della Natura, di questa grande Natura incolta che sperpera il suo polline (…) che non si sa se sia la cieca catena di cose ed effetti o non il timido, incessante disordinato sviluppo di un'idea".
Nel 1933 Calder aveva acquistato la tenuta di Roxbury nel Connecticut. Lì apparvero le sue prime sculture di grandi dimensioni, frutto di un rinnovato incontro con l'ambiente americano e i prototipi degli "Stabile" monumentali.
Nel 1953 l'artista acquistò una casa a Saché, nell'Indre-et-Loire, in Francia, dove installò un altro grande studio, trascorrendo da allora sempre più tempo in Europa.
Innumerevoli sono i campi nei quali l'artista ha applicato il suo estro, celebri i suoi libri illustrati, i suoi gioielli, i suoi disegni per arazzi e tappeti, numerose le sue collaborazioni teatrali sino allo spettacolo da lui interamente ideato, Work in Progress, andato in scena al Teatro dell'Opera di Roma nel 1968. Oltre ai "Mobile" e agli "Stabile" ha realizzato altri consistenti gruppi di lavori: le "Costruzioni gotiche" degli anni trenta, le "Costellazioni" e le "Torri" del decennio successivo, cicli di sculture in legno e in bronzo, ha costantemente dipinto e disegnato, sempre fedele alla scelta dei colori primari.
Numerosi furono i riconoscimenti che Calder ricevette a partire dal Gran Premio della Scultura alla Biennale di Venezia del 1952. Molte le committenze pubbliche, tra le quali il soffitto dell'aula magna dell'Università di Caracas e un numero veramente elevato di "Mobile" e di "Stabile", tra gli altri "125" il mobile del 1957 installato all'aeroporto John F. Kennedy di New York, "La Spirale" del 1958 per il Palazzo dell'UNESCO a Parigi, "Man" del 1967 a Montreal, "El Sol Rojo" del 1968 a Città del Messico, "Flamingo" del 1974 a Chicago.
Lunga la lista delle mostre retrospettive, tra le quali ricordiamo quelle del Guggenheim Musuem di New York nel 1964, della Fondation Maeght di Saint-Paul-de-Vence nel 1969, del Museum of Contemporary Art di Chicago nel 1974, del Whitney Museum of American Art di New York nel 1977, del Palazzo a Vela di Torino nel 1983, della National Gallery di Washington nel 1998.
Calder morì a New York nel 1976.
HANNO DETTO DI ALEXANDER CALDER
JEAN PAUL SARTRE
"I mobile non significano niente altro che se stessi; essi "sono", ecco tutto; essi sono degli assoluti… Del mare Valéry usava dire che ricomincia di nuovo, sempre nuovo. Un oggetto di Calder è come il mare. È come un motivo di jazz, unico ed effimero, come il cielo, come l'alba; se vi è sfuggito, vi è sfuggito per sempre".
Da Calder, nel catalogo della mostra "Calder", galleria dell'Obelisco, Roma dal 14 marzo 1956.
MARCEL DUCHAMP
"Fra le "innovazioni" manifestatesi nel campo artistico dopo la prima guerra mondiale, il modo di trattare la scultura da parte di Calder era così lontano dalle formule tradizionali che dovette inventare un nome nuovo per le sue forme in movimento. Le chiamò mobiles. Affrontano il problema della gravità, appena disturbata da gentili movimenti, in maniera da dare la sensazione di "procurare piaceri che sono loro peculiari, ben diversi dal piacere di graffiare", per citare il "Filebo" di Platone. Una brezza leggera, un motore elettrico, o ambedue sotto forma di un ventaglio elettrico, mettono in moto pesi, contrappesi, leve che disegnano a mezz'aria i loro imprevedibili arabeschi e introducono un elemento di durevole sorpresa. La sinfonia è completa quando si uniscono colore e suono e invitano tutti i nostri sensi a seguire la non scritta partitura. Pura joie de vivre. L'arte di Calder è la sublimazione di un albero nel vento".
Da Alexander Calder. Sculptor, Painter, Illustrator, catalogo della Société Anonyme per la galleria d'Arte della Yale University, 1950, ora in Michel Sanouillet (a cura di), Duchamp du signe, Flammarion Parigi 1975.
FERNAND LÉGER
"Impossibile trovare un contrasto più grande di quello che c'è fra Calder, un uomo che pesa novanta chili; e le sue creazioni mobili, delicate, trasparenti. Simile a un tronco d'albero in moto, stimola tante discussioni, si muove come il vento: non è nato per passare inosservato! Sorridente e curioso fluttua nell'aria come se facesse parte della natura stessa. Lasciato a sé in un appartamento è un vero pericolo per ogni oggetto fragile. Il suo posto è piuttosto all'aperto, all'aria, al vento, al sole".
Da Calder, "Derriére le miroir", n. 31, Paris Fondation Maeght luglio 1950.
ANDRÉ BRETON
"Bandito ogni elemento aneddotico, l'oggetto di Calder, ridotto ad un certo numero di linee semplici che delimitano i colori elementari per la sola virtù del movimento - movimento che non è più figurato bensì reale - è miracolosamente richiamato alla vita più concreta e ci restituisce le evoluzioni dei corpi celesti, il fremito delle fronde e il ricordo delle carezze".
Da Calder, nel catalogo della mostra "Calder", galleria dell'Obelisco, Roma dal 14 marzo 1956.
GABRIELLE BUFFET-PICABIA
"Le leggi del contrasto sono probabilmente da rimproverare per il fatto che ad Alexander Calder, scultore americano adatto per lavorare marmo e granito, piace usare un solo materiale: il filo di ferro!
La parola "materiale" in realtà non è molto appropriata in questo caso: l'interesse per le proprietà "materiali" è totalmente escluso dal suo lavoro, e il suo vero elemento è… il movimento. Calder ha un dono per il senso del movimento, nella stessa misura in cui altri hanno un dono per la Poesia o la Musica. All'inizio è stato famoso per i suoi lavori capaci e umoristici, silhouettes, maschere e soprattutto per un circo animato che ha attirato tutta Parigi. Ha poi esibito nella Galerie Vignon una serie di originali e curiose macchine alle quali è difficile attribuire un nome logico e un posto specifico nei campi delle Nove Muse.
Questi lavori hanno suscitato grande interesse (forse a causa dell'azione misteriosa del loro movimento); ci toccano in modo particolare perché ci ricordano le esplorazioni intraprese tanto tempo fa dai Futuristi, che nel loro tempo furono considerati fantasie decadenti destinate a non lasciare traccia; i lavori di Calder realizzano una "estetica del movimento" che i Futuristi avevano formulato nelle loro teorie, una direzione suggerita dai lavori di pochi isolati individui come Picabia o Marcel Duchamp".
Da "Alexander Calder, ou le roi du Fil de Fer", Vertigral I, no. I, 15 luglio 1932.
UGO MULAS
"Mi piaceva il fatto che si dedicava a tutto con uguale intensità, che riuscisse a costruire dei forchettoni o dei mestoli per la cucina non meno belli delle sue sculture e, soprattutto, quei buffi lampadari costruiti sovrapponendo a cerchio due serie di forme da budini, e i supporti in filo d'ottone - che sono al tempo stesso sostegno molleggiato, protezione e manico - fatti per certe
tazzine di porcellana, forse perché particolarmente care a Louise o forse semplicemente perché avevano perso il loro manico".
Da L'amicizia, in U. Mulas, La Fotografia, a cura di Paolo Fossati, Einaudi, Torino 1973.
GIULIO CARLO ARGAN
"È sicuro che tra cosa e spazio una pacifica e animata coesistenza sia comunque possibile: tutto sta o intendersi, a trovare la dialettica della relazione. Poiché il suo è, in fondo, un interesse morale, la legge della sua scultura è ancora, benché sembri strano, la mimesi. Per insinuarsi nella realtà vivente giuoca d'astuzia, si traveste: simula l'arbusto e la farfalla, il dondolarsi e il frusciare delle foglie sui rami. Inventa una natura artificiale perché gli uomini "artificiali" s'illudano di vivere in un ambiente naturale e conforme. Alla sua facile saggezza non manca una nota d'arguzia: a un mondo preso dalla frenesia del darsi da fare fa pacatamente l'elogio del moto che non serve, non ha direzione né scopo, è soltanto divertimento e giuoco".
Da Calder, nel catalogo della mostra "Calder", galleria dell'Obelisco, Roma dal 14 marzo 1956.
PALMA BUCARELLI
"Alexander Calder ha liberato l'uomo moderno dalla paura della macchina come motivo di inaridimento spirituale, offrendogli del suo mondo meccanico una pura espressione poetica da guardare con incantati occhi di fanciullo".
Da Calder, nel catalogo della mostra "Calder", galleria dell'Obelisco, Roma dal 14 marzo 1956.
MARCO VALSECCHI
"… questo "mobile" di Calder deriva quindi, anche se da lontano e con una inclinazione tutta sua personale, dal " dinamismo" dei nostri primi Futuristi, proprio in opposizione alla staticità classicheggiante dei cubisti. Ma detto questo, bisogna subito porre l'attenzione a quel che di suo ha intuito ed espresso Calder: quel piacere delle cose vive, dell'aria, delle fronde, delle nuvole; e anche di quella segreta geografia tutta interiore, di sogni e di favole e di allusioni, che gli dettano appunto queste sue "apparizioni mutevoli" di oggetti che sembrano qualcosa presa a prestito dalla natura e invece sfilano via, quasi in punta di piedi, per la tangente della fantasia ad alludere a qualche cosa "d'altro", che non è più natura, anche se si intreccia alla natura, e l'arricchisce di un suo allegro senso…".
Da Calder, nel catalogo della mostra "Calder", galleria dell'Obelisco, Roma dal 14 marzo 1956.
Calder
Roma, Palazzo delle Esposizioni
Dal 23 ottobre 2009 al 14 febbraio 2010