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L'8 aprile è morto, nella sua casa di Romagnano Sesia (Novara), il pittore Giuseppe Ajmone (1923-2005)
Giuseppe Ajmone (1923-2005)
Giuseppe Ajmone nasce a Carpignano Sesia (1923) dove trascorre la prima infanzia fino alla scomparsa della madre, avvenuta nel 1931. In seguito al lutto si trasferisce col padre a Novara, frequenta il Liceo Ginnasio e verso il 1937-38 inizia la propria formazione artistica nello studio dello scultore Riccardo Mella, che lo indirizza nella pratica del disegno e del modellato. Nel gennaio del '41 il padre perisce in un incidente automobilistico, pochi mesi dopo Ajmone si diploma all'Istituto Magistrale di Novara adempiendo così il desiderio paterno. Nel mese di ottobre, dopo aver superato un duro esame, viene ammesso all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Qui frequenta la scuola di affresco di Achille Funi e i corsi di pittura di Carlo Carrà: il primo gli schiude le porte del classicismo italiano, il secondo lo stimola a comprendere la cultura visiva vissuta in nome del Futurismo e della Metafisica. Al di là del diverso approccio didattico, sono due figure piene di carisma umano, capaci di stabilire una relazione franca e costruttiva con i propri allievi. L'esperienza braidense di Ajmone ha anche significato l'incontro di nuovi compagni di strada con cui discutere d'arte e mettere a confronto le prime esperienze pittoriche. In questi anni ha conosciuto, tra gli altri, Bruno Cassinari, Alfredo Chighine, Roberto Crippa, Gianni Dova, Franco Francese, Piero Giunni, Ennio Morlotti e Cesare Peverelli. Al di fuori del contesto accademico c'è il quartiere di Brera con le sue gallerie ("Il Milione" dei Ghiringhelli) i suoi locali (trattoria "Il soldato d'Italia", la Latteria Pirovini), punti d'incontro dove vivere e far fermentare la cultura. Durante l'ultimo anno braidense (1944-45) Giuseppe Ajmone raggiunge una prima maturazione artistica caratterizzata da stilemi pittorici prossimi al postcubismo picassiano anche se riletti in chiave personale come si può vedere in Ritratto di vecchia del '44. È un quadro che riflette l'atmosfera drammatica della guerra; un dramma tutto interiore, vissuto nella solitaria attesa di tempi migliori che illuminano il volto della vecchia, ormai indurito e scarnificato dall'età e dal dolore. Se lo sguardo rivolto verso l'unica fonte di luce può essere letto come motivo di speranza nei confronti dell'avvenire, il nero pece delle vesti avvolge il corpo seduto, annullandone ogni forma di vitalità. Un presentimento di morte solo in parte sospeso dalla perseverante forza dell'attesa. Nell'immediato dopoguerra il lessico postcubista, già da tempo accolto dai giovani studenti di Brera, diviene il mezzo linguistico necessario per aprirsi all'Europa della libertà e per marcare un confine netto con la cultura autarchica del passato regime. Sono tempi segnati dalla gioia per l'avvenuta liberazione e dal desiderio di ricostruire una realtà che si presenta distrutta sotto gli occhi di tutti. Sull'onda dell'entusiasmo e di un irrefrenabile spirito d'iniziativa nasce a Novara nel dicembre del '45 la rivista d'arte "Argine" grazie al contributo economico di alcuni amici novaresi di Ajmone, interessati a documentare il fermento culturale presente nella città di Milano. La rivista, sviluppandosi nel tempo, è andata cambiando nome passando per "Numero", poi per "Numero-Pittura" che segna il trasferimento della redazione a Milano ed infine per "Pittura", in un arco di tempo che va dal dicembre del '45 al '47 circa. Ajmone è uno dei fondatori e fa parte del gruppo redazionale. Il suo impegno si esprime anche in termini teorici esemplificati da tre interventi scritti e dalla sottoscrizione del Manifesto del Realismo, pubblicato sulla rivista "Numero" nel marzo del '46. Gli altri firmatari sono Bergolli, Bonfante, Dova, Morlotti, Paganin, Tavernari, Testori e Vedova. Il valore di questa documento è da ricercarsi nell'esigenza di fare gruppo nel rispetto delle personali linee di ricerca e nel tentativo di teorizzare una forma attuale di realismo, prendendo come punto di riferimento la celebre opera di Pablo Picasso: il manifesto, infatti, è anche conosciuto con il nome di Oltre Guernica. Nello stesso mese di marzo si allestisce una singolare mostra in memoria di Ciri Agostoni, un giovane pittore morto durante la Resistenza. Singolare perché le opere vengono esposte all'interno del caffè "Bottiglieria di Brera", locale spesso frequentato dagli artisti, e per la scelta di escludere una giuria esterna. Gli stessi espositori, dotati di una sufficiente dose di autocritica, si aggiudicano da sé il premio, che viene assegnato ai pittori Ajmone, Chighine e Treccani. Il '46 è davvero un anno ricco di scambi culturali volti a rinnovare la ricerca espressiva in tutti i campi dell'arte in nome di una visione globale dell'estetica. Nascono in questo modo delle significative collaborazioni interdisciplinari quale quella di Ajmone in veste di consulente artistico per la Casa Editrice Einaudi. Il suo compito non si limita alla cura dell'impaginazione, alla scelta dei colori e dei caratteri, pensa anche alle copertine e alle sopraccoperte dei libri illustrate da artisti contemporanei. Ajmone suggerisce a Giulio Einaudi di affidare la realizzazione di suddette immagini a quei giovani pittori conosciuti durante gli anni braidensi. L'artista selezionato, dopo aver letto il libro, ne illustra la copertina o la sopraccoperta, ispirandosi alla narrazione del racconto. Si stabilisce così un rapporto significativo tra il pittore e lo scrittore, tra l'immagine e il testo letterario. L'iniziativa, per quanto sperimentale, trova il consenso del gruppo redazionale come a testimonianza dei tempi maturi pronti ad accogliere le novità del momento. Per la collana dei "Narratori contemporanei" Bruno Cassinari realizza la sopraccoperta per Avere non avere di Ernest Hemingway (1946), mentre Rinaldo Bergolli si occupa della copertina per Il Muro di Jean-Paul Sartre. Per "I coralli" si può ricordare, tra gli altri, il lavoro di Cesare Peverelli per È stato così di Natalia Ginzburg (1947), di Ennio Morlotti per Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino (1947), o di Renato Guttuso per Dentro mi è nato l'uomo di Angelo Del Boca (1948). Giuseppe Ajmone, essendo già stato assunto in qualità di consulente artistico, ha preferito lasciare più spazio agli amici, limitandosi a qualche sporadica illustrazione quale quella per "I coralli", In principio era lodio 'di Mario Vicentini (1949). La collaborazione con la Casa editrice torinese dura fino al 1949 e in questo arco di tempo Ajmone entra in contatto con alcuni tra i principali rappresentanti della cultura letteraria italiana quali Giulio Bollati, Paolo Boringhieri, Italo Calvino, Fernanda Pivano, Franco Fortini, Natalia Ginzburg, Carlo Levi e Cesare Pavese, del quale diventa amico. Gli stessi pittori, quando si trovano a illustrare dei testi inediti di autori italiani, fanno la conoscenza dello scrittore, non senza scambi di opinione sul lavoro in corso. Nel 1948 partecipa alla Biennale d'Arte di Venezia, dove inizia ad approfondire la conoscenza dell'opera di Braque. Da questo momento in poi si allontana dal lessico picassiano per avvicinarsi a un linguaggio più sottile nella stesura dei colori, sempre più vicini a una dimensione lirica. Partecipa alla Biennale del '50 e nel 1951 vince il "Premio Senatore Borletti", riconoscimento importante perché lo introduce nel panorama artistico nazionale, offrendogli così nuove possibilità di lavoro. Nel 1954 realizza a Milano la prima mostra personale presso la Galleria Il Milione, con la presentazione in catalogo di Marco Valsecchi. A quest'anno, particolarmente felice per l'attività creativa del pittore, appartiene Frutta, una natura morta inserita in campi geometrici ben scanditi. Qui il postcubismo è del tutto riletto secondo la lezione pittorica di Braque, non senza una certa sensibilità cromatica di ascendenza espressionista che secondo Roberto Tassi può risalire a Matisse per l'intensità del colore e l'uniformità della stesura. A parte i richiami alla cultura pittorica francese è giusto tuttavia ribadire l'identità estetica italiana di Ajmone, fortemente legata alla dimensione poetica della propria terra. Più spregiudicata nella sua riuscita sintesi pittorica è Paesaggio (1954), dove le pennellate incarnano di colpo la consistenza del cielo e della terra. Un'opera felice negli esiti creativi e apprezzata dallo stesso Raffaele Carrieri che la ebbe nella propria collezione. Nel '54 trasferisce lo studio in via Sant'Agnese nei pressi di Sant'Ambrogio, una zona di Milano in cui si conservano ancora delle porzioni di terreno verde all'interno delle case. Qui si sono formati giardini folti di vegetazione, in gran parte recintati dalle mura cieche degli edifici. Il nuovo studio di Ajmone si apre proprio a questo tipo di realtà che finisce per essere indagata dallo sguardo del pittore. Ha inizio un nuovo ciclo di quadri ispirati alla natura, ma non è la scelta del tema a stabilire la novità del lavoro perché già da prima l'artista ha dipinto paesaggi sia en plein-air che a memoria. È il tipo di esperienza pesistica, tutta concentrata nell'intima segretezza dell'hortus conclusus, pienamente vissuta nella frequentazione quotidiana dello studio, a rinnovare la propria ricerca pittorica. Si tratta di un giardino circoscritto a pochi metri quadrati di terra, ma basta saperlo guardare per scoprire entro i suoi confini una fonte continua di stimoli percettivi. La vita del regno vegetale, il ciclo delle stagioni, il mutare degli agenti atmosferici, la percezione della realtà condizionata dal punto di vista, dal proprio stato d'animo, portano l'artista a intensificare la qualità estetica dei propri quadri dove si perde il confine tra interno ed esterno; dove le forme non marcano più in modo netto i propri contorni perché tutto trascolora in una squisita profondità tonale. Lo stesso taglio verticale di molte opere di questo periodo (1954-1957 c.), sottolinea l'attenzione per una natura costretta a sfogarsi verso l'alto perché chiusa tra le mura della città, perché la luce è la sua fonte di vita. Oltre alle nature morte e ai paesaggi Ajmone si interessa al filone dei nudi che caratterizzeranno gran parte della sua produzione pittorica realizzata dalla metà degli anni Sessanta ad oggi. Nudo blu (1957) mette bene a fuoco il rapporto tra la raffigurazione del corpo umano e la profondità del colore-luce, rapporto indicato dallo stesso titolo dell'opera. La carne muliebre sembra a tratti perdere i propri contorni, pronta a farsi assorbire dall'intrigante atmosfera blu che già la pervade. Nel 1958 realizza il primo viaggio in Spagna dove scopre la dimensione dell'altopiano sovrastato dalla vastità del cielo. Le opere che s'ispirano al soggiorno iberico sono caratterizzate dalla stessa atmosfera abbrunata mossa da pennellate corrose dall'aria, come si può notare anche in Paesaggio del 1959. L'interesse di Giuseppe Ajmone per gli scambi culturali tra le discipline dell'arte trova conferma nel 1960, quando redige assieme a Oreste del Buono, Tomaso Gillio, Domenico Porzio la rivista "Quaderni Milanesi". Purtroppo dopo solo un anno di vita chiude per mancanza di finanziamenti. Nel '62 partecipa con una sala personale introdotta da Franco Russoli alla XXXI Biennale di Venezia. Ajmone, pur avendo a disposizione un intero spazio per sé, esclude i lavori storici, già garantiti dal giudizio della critica e decide di esporre la nuova produzione pittorica realizzata tra il 1961-62. Una scelta coraggiosa che gli vale il premio acquisto assegnato da una giuria internazionale. A quest'anno risale Il grande fiume, opera il cui respiro è percepibile nell'estensione dell'orizzonte che divide gli azzurri eterei del cielo e i loro riflessi appesantiti sullo specchio d'acqua. Il fiume di riferimento potrebbe essere il Sesia, ma qui non interessa definire l'esatta collocazione geografica perché l'opera di Ajmone non si è mai preoccupata di rendere riconoscibile la fonte della propria ispirazione. Il lavoro è tutto nell'impasto di luce e colore così sublime da trasfigurare ogni riferimento alla realtà esterna in nome di una dimensione interiore, comunque aperta ai fenomeni mondani.
Ha collaborato attivamente alla mostra di Alfredo Chighine, in programma a Legnano - Palazzo Leone da Perego, dal 16 aprile al 19 giugno - per la quale ha scritto un testo per il catalogo.
È morto a Romagnano Sesia (Novara) venerdì 8 aprile 2005.