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Di Roberto Zanon*
Il confronto con la luce del Palladio è il delicato e pretenzioso tema della mostra dedicata ad Alberto Campo Baeza, l'architetto madrileno che quest'anno è stato scelto per allestire all'interno della Basilica di Vicenza l'esposizione del proprio operato.
Insegna esterna |
Insegna esterna vista dall’interna |
Se è vero che la disciplina dell'allestimento contempla la progettazione del provvisorio, dell'effimero, di un evento che ha la sua particolarità nell'avere una vita progettata dall'inizio alla fine, è anche vero che all'interno di questo settore della progettazione esistono dei macrotemi che si distinguono per le loro specificità, per esempio l'allestimento di uno show room da quello di una mostra sia essa d'arte, architettura o altro.
Vista dal lato opposto all'ingresso (sullo sfondo) |
Vista dal lato dx rispetto all'entrata |
L'evento che quest'anno è stata organizzato all'interno del grande salone vicentino sembra invece dimenticarsi di queste diversità producendo qualcosa di ibrido che della mostra di architettura convenzionalmente intesa possiede ben poco. Sembra che l'interesse si sia concentrato nella promozione di un "marchio" - la scritta Campo Baeza compare più volte a chiare lettere e addirittura una bacheca luminosa, nel cuore del percorso, è dedicata al solo supporto di un'immagine-ritratto del progettista.
Vista area centrale con teca plastici |
Teche con plastici e sullo schermo di fondo luci e ombre delle serliane di Palladio |
È come se si fossero ribaltati i termini. Se nello show room di Prada a New York disegnato nel 2001 da Rem Koolhaas, struttura all'avanguardia nella proposizione di un nuovo modo di esporre la merce, la scritta "Prada" è praticamente assente comparendo solo negli attaccapanni e nelle etichette degli abiti, qui nell'annuale scadenza con la mostra vicentina - diventata sinonimo di sperimentazione per la disciplina dell'allestimento - succede l'esatto contrario; l'Autore mette in evidenza il marchio di sé stesso più che il proprio operato.
È ovvio che l'opportunità di una "personale" offre al progettista "eletto" il momento propizio per poter "mettersi in mostra" e promuovere la propria immagine, ma nel caso di Campo Baeza sembra ci sia stata però una caduta di stile veramente notevole. Si legge la precarietà del supporto allestitivo che fa apparire solo casuale l'occasione privilegiata di dialogo e confronto con lo spazio carenato della Basilica; una sorta di appuntamento a cui si è giunti decisamente impreparati. Gli schermi giganti posizionati longitudinalmente allo sviluppo del Salone se apparentemente riescono in modo parziale a cucire lo spazio, dall'altro non diventano quel supporto variabile e mutevole che forse era nelle intenzioni. Le sofisticate proiezioni messe in opera proprio in questo stesso contesto dal Toyo Ito nel 2001 appaiono qui solo un miraggio sfumato.
Vista dal fondo della sala al lato sx rispetto all'entrata |
Vista dal fondo della sala al lato sx rispetto all'entrata |
È evidente poi come la mostra abbia fugaci relazioni con il contesto e il tentativo di riconfigurare la relazione - rapporto con la luce del Palladio diventa un pretesto labile, forse forzato, sicuramente non in grado di creare quelle sensazioni che dovrebbero essere legate alla specificità dell'evento, auspicabile tramite per meglio addentrarsi nella poetica dell'architettura che il progettista è chiamato a mettere in mostra. Del resto sono proprio queste le sensazioni che un allestimento "riuscito" dovrebbe esser capace di trasmettere. Se poi si aggiunge anche lo scarso numero di progetti e la relativa carente documentazione, la delusione diventa ancor più forte. Tutto l'apparato comunicativo dell'esposizione ha spostato attenzione sull'evento particolare, sull'aneddoto, sul feticcio (la lettera scritta da Tom Ford a Campo Baeza incorniciata ed esposta come documento "di culto" ne è una chiara testimonianza), sulla scenograficità della retroilluminazione.
Ciò che risulta maggiormente stridente è la perfezione di realizzazione dei singoli supporti siano essi teche per i plastici, tavoli o pannelli luminosi verticali, che, paradossalmente, nella loro definizione appaiono come dei mobili che "arredano" uno spazio.
Non si legge la coscienza di essere andati ad operare oltrepassando quel sottile confine che separa l'"arredamento", inteso meramente come riempimento dello spazio con una serie di oggetti indipendenti, e l'"architettura degli interni" in cui sono le relazioni spaziali a diventare protagoniste.
Il risultato è una mostra palesemente autopromozionale, dalla matrice forse "itinerante", che non ha il coraggio di denunciare la propria essenza e che invece cerca di mascherare la propria natura appropriandosi della magia che lo spazio della Basilica già da solo offre.
*Roberto Zanon, architetto, insegna nelle Università di Padova e Firenze e all’Accademia di Belle arti di L’Aquila. È stato visiting professor presso alcune Università asiatiche (Bangalore, Hong Kong e Bangkok) e in Portogallo (Lisbona e Porto). Ha un proprio studio di progettazione (interni, allestimenti ed oggetti) ed è socio della Wagner e Associati.
Campo Baeza. Alla luce di Palladio
Vicenza - Basilica Palladiana
Dal 21 febbraio al 2 maggio 2004
Orario: 10/19 - chiuso lunedì; aperto il 12 aprile
info: 0444 322196
Articolo inserito il 9 marzo 2004