Articoli riguardanti Adolf Loos
La biografia di Adolf Loos
Le opere di Adolf Loos
Adolf Loos. Architettura. Utilità e decoro
Adolf Loos. Architettura. Utilità e decoro [Richard Bösel, Vitale Zanchettin]
Le metamorfosi dell'ordine. Principi e pratica nella prima attività di Adolf Loos [Vitale Zanchettin]
Per una morfologia degli esterni - Le conseguenze del Raumplan [Richard Bösel]
Le metamorfosi dell'ordine
Principi e pratica nella prima attività di Adolf Loos
di Vitale Zanchettin
L'opera di Adolf Loos riveste, per la storia dell'architettura del Novecento, un ruolo cruciale, grazie a un numero limitato di edifici e a una vasta produzione scritta dal carattere prevalentemente polemico, nella quale o difficile riconoscere i contorni di una vera e propria teoria architettonica. Le sue idee sono note soprattutto per le prese di posizione a proposito del tema dell'ornamento, clic egli manifestò in una serie di conferenze tenute a partire dal 1908 e intitolate Ornament und Verbrechen1. Il tono provocatorio che caratterizza questi interventi non aiuta a comprendere le reali ragioni di scelte che riprendono in larga misura principi già presenti negli scritti pubblicati sul finire dell'Ottocento. I suoi primi pensieri teorici, riguardanti il modo di concepire gli elementi di base del costruire, potrebbero essere intesi come una riflessione unitaria sul destino del sistema "classico" di concepire l'architettura come metafora costruita del rapporto Ira pesi e sostegni.
Adolf Loos
Villa Rufer, Vienna - 1922
A prima vista la quantità dei progetti e dei cantieri in cui Loos risulta coinvolto appare molto elevata, ma un confronto fra il suo lavoro e la febbrile attività edilizia viennese, negli anni che precedono il primo conflitto mondiale, mostrerebbe come la fama di cui egli continua a godere sia legata a un numero limitato di interventi, quasi tutti di piccole dimensioni e testimoni di un modo autonomo di concepire l'architettura. Questo saggio si pone l'obiettivo di comprendere su quali principi si fondino le scelte architettoniche caratterizzanti dell'opera di Loos, seguendone lo sviluppo dai primi passi e trascurando momentaneamente gli esiti più maturi, oltre che la fortuna a cui esse sarebbero state destinate.
Loos era figlio di uno scultore affermato dal quale aveva appreso da bambino i rudimenti dell'arte del taglio della pietra. Durante tutta l'infanzia e poi nell'adolescenza, egli avrebbe continuato ad avere davanti agli occhi il laboratorio paterno, vedendo le ricercate pietre destinate alla scultura, ma anche quelle per l'edilizia, dove era più facile riconoscere la ricchezza del disegno delle venature naturali, variabili a seconda del tipo di taglio2.
Adolf Loos
Villa Müller, Praga - 1928
Fronte sulla strada
Foto Martin Gerlach Junior
La conoscenza diretta di un esteso numero di lavorazioni manuali costituisce uno dei tratti fondamentali della figura professionale di Loos. Molti anni dopo, nel 1931, egli stesso avrebbe sottolineato l'importanza di questa esperienza giovanile; "Per il compito che il mondo mi ha dato non è possibile pensare a nessun avviamento più fortunato di quello che mi è toccato. Nel grande laboratorio che era la città della mia infanzia, fatta eccezione per l'industria dell'abbigliamento, esisteva ogni lavoro manuale: scultori, scalpellini, levigatori, pittori di insegne, dipintori, laccatori, doratori, muratori, carpentieri e capomastri del calcestruzzo (Zementgiesser), forgiatori. Così mi è stato inculcato sin da bambino lo spirito di tutti i lavoratori manuali"3. Dalla sua irregolare carriera scolastica traspare una chiara instabilità emotiva, eausa di un rendimento non omogeneo e di una netta inclinazione verso gli studi tecnici, resi entrambi evidenti nel passaggio, dal ginnasio di Melk alla Staals-GewerbeschuIe di Reichenberg4. Gli anni successivi, che vedono il suo tempo diviso tra Dresda e Vienna, con l'interruzione di un anno per il servizio militare volontario, sono nuovamente segnati da disordinati studi di architettura, mai portati a termine e sospesi per una permanenza negli Stati Uniti e in Inghilterra, tra il 1893 e il 1896. Il soggiorno americano, conclusosi con un breve passaggio a Londra, rappresenta il passo determinante nella formazione di Loos die, da allora, avrebbe cominciato a considerare la civiltà anglosassone come modello di rit'erimento5. Durante l'ultimo periodo della permanenza americana, Loos aveva lavorato presso uno studio di architettura e aveva pubblicato alcuni articoli, brevi recensioni e commenti per il periodico di lingua tedesca "Der Bannerträger", avviando lontano dall'Europa l'attività di polemista che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita6. Il suo breve lavoro per un architetto, a New York, non deve aver cambiato le idee già maturate a proposito dell'architettura: ciò che doveva averlo colpito erano invece i modi di vita della società statunitense e, poi, di quella inglese. La considerazione di queste esperienze doveva aver determinato il consolidarsi, nella sua mente, dell'idea di un legame intimo tra i costumi di una società e il modo in cui in essa costruisce i propri editici. Non si trattava di un'idea del tutto originale: la riforma dell'architettura, intesa come il riflesso di un nuovo ordine di vita, costituiva già uno dei lenii centrali del dibattito europeo al termine dell'Ottocento così come risulta ben documentalo l'influsso esercitato della cultura architettonica inglese sul mondo tedesco, fin dagli ultimi decenni dello stesso secolo?
Adolf Loos
Progetto per un teatro per 4000 spettatori, Vienna - 1898
Modello
Subito dopo il ritorno dal viaggio in America, Loos risulta impiegato presso l'architetto Carl Mayreder, un professionista di vaste conoscenze sia di architettura sia di urbanistica, dotato anche di solide basi rispetto allo studio dell'architettura antica8. I segni della sua influenza si rintracciano in tutta la produzione scritta di Loos e, ovviamente, in quella degli anni immediatamente precedenti l'inizio del Novecento, che rappresenta il periodo di più intensa meditazione teoriea9. Solo nel 1898, egli pubblicava infatti circa quaranta articoli, dei quali una minima parte tratta esplicitamente problemi architettonici e quasi tutti affrontano, invece, questioni legate agli usi e ai modi di vita viennesi.
A un primo sguardo gli scritti dell'architetto si presentano come una raccolta disomogenea di testi di varia natura, dedicati a un grande numero di argomenti die potrebbero fare pensare, in prima istanza, a una sequenza di frammenti autonomi. In realtà i percorsi logici e i modelli di ragionamento utilizzati per affrontare questioni molto diverse l'una dall'altra sono quasi sempre gli stessi e così anche le posizioni sul piano etico - e spesso anche morale - si attestano su alcuni principi ricorrenti die è necessario tentare di ricostruire. Uno dei tratti caratteristici risiede nel costante tentativo di collegare l'idea di "costume" di un popolo a quella di architettura, utilizzando, di fatto, la metafora dell'abito. In questo legame, nel quale risiede la radice più profonda dell'idea di abitazione, Loos si allaccia direttamente alle idee di Gottfried Semper die, nel celebre capitolo 62 del suo trattato Der Stil, aveva descritto l'analogia tra le due necessità dell'uomo, quella di coprirsi e quella di costruire la propria casa10. L'aspetto forse più originale della riflessione scritta di Loos va ricercato nel modo in cui la questione dell'abbigliamento non costituisce soltanto un generico pretesto per criticare le mode architettoniche, che egli di frequente stigmatizza ferocemente, quanto, piuttosto, lo strumento critico per sottolineare la stretta connessione die esiste tra questi due aspetti della quotidianità. Il suo linguaggio è spesso disseminato di metafore e di osservazioni sull'etimo delle parole e una buona parte dell'insieme dei suoi testi è orientata a ribadire la profonda relazione esistente tra il concetto di rivestimento (Bekleidung) e quello di vestito (Anzug), aventi, come paralleli, i rapporti fra abitudine (Gewohnheit) e abitare (Wohnen), ma anche tra tetto (Dach) e coperta (Decke)11. La stessa architettura diviene quasi una sorta di vestito, habitus di pietra della vita quotidiana, in sostanza l'abitare. Loos avrebbe continuato a lungo a riconoscersi nei contenuti di questi suoi scritti iniziali così intimamente legati al significato del costruire12.
L'attitudine critico-analitica è però soltanto una delle componenti degli scritti di Loos, poiché in essi è quasi sempre percepibile un carattere positivo volto alla definizione di alcuni principi che avrebbero costituito la base del suo lavoro di architetto. Il ventottenne Loos appare quindi come un architetto dotato non tanto di una approfondita preparazione accademica, e neppure di un'esperienza professionale, quanto, piuttosto, un esperto di molte lavorazioni manuali conosciute sin dall'adolescenza e combinate con alcune nozioni teoriche apprese durante l'irregolare percorso scolastico; su di esse egli avrebbe continuato a lungo a riflettere. Già nelle prime esperienze di cantiere, Loos si considerava in grado di portare a termine un lavoro in virtù delle proprie conoscenze pratiche e della sua abilità nel comunicare con le maestranze. Queste attitudini, insieme a un'evidente ambizione personale, avrebbero rappresentato il vero motore della sua crescita professionale.
Tuttavia, prima di diventare architetto, Loos doveva già essere un acuto osservatore del costruito, in particolare a Vienna. La ricostruzione degli edifìci citati nei suoi scritti realizzata da Marco Pogac'nik in questo volume dimostra l'autonomia del suo sguardo nei confronti della propria città di adozione, ora interessato a cogliere la dignità silenziosa di edifici talvolta di secondo piano, ora, invece, pronto a scagliarsi con violenza contro alcune tra le più famose architetture dell'epoca13.
Negli scritti concepiti alle soglie del passaggio al nuovo secolo è facile riconoscere un filo conduttore nell'opinione che i mali della società viennese siano conseguenza dell'affettazione degli abitanti della città. I testi esplicitamente dedicati all'architettura sono tre, tutti pubblicati nel 1898: Die alte und die neue Richtung in der Baukunst, Die Baumaterialien e Das Prinzip der Bekleidung14. Il primo, dal titolo Vecchie e nuove direzioni nell'arte di costruire, era stato redatto in occasione del concorso indetto dalla rivista "Dei- Architekt" che aveva premiato Loos con il secondo posto15. La giuria del concorso era composta da architetti affermati che fondavano la propria attività su efficaci meccanismi di delega delle decisioni operative. Nell'articolo il ragionamento di Loos prende le mosse dal riconoscimento di un processo di progressivo affrancamento del lavoro manuale dal ruolo subalterno rispetto al lavoro intellettuale16, innescando un meccanismo liberatorio avrebbe avuto delle implicazioni soprattutto sull'organizzazione del lavoro e sulla necessità degli architetti di rimanere più vicini alla costruzione, conducendo verso il declino i grandi studi di progettazione. Più che come una previsione per il futuro, questa prima affermazione è da intendere come una critica e contemporaneamente una dichiarazione di intenti da parte di un giovane attratto dall'idea di entrare in un grande studio di architettura ma, allo stesso tempo, desideroso di intraprendere autonomamente la propria attività, facendo leva sulla conoscenza diretta delle lavorazioni e dei materiali.
Soltanto dopo questa premessa dedicata alle logiche della produzione, Loos affrontava il problema della forma, definendo l'arte del costruire come una pratica legata a sentimenti e abitudini (Gefuhle und Gewohnheiten), a cui l'architetto, volendo "essere onesto con la propria arte", avrebbe dovuto adattarsi. L'impossibilità di mutare il senso comune di percepire la realtà rappresenta la ragione per cui l'architettura è destinata a essere la più conservatrice tra le arti e, dunque, l'unica strada possibile deve rifarsi allo "spirito classico", nel quale risiede la radice del comune sentire. Sono qui riconoscibili i tratti di una volontà tesa a prendere le distanze dalla soggettività dell'architetto inventore che vede, come obiettivo auspicabile, non la rivoluzione delle forme, bensì il riconoscimento di un'origine portatrice di un messaggio ancora attuale. Per questo motivo, il panorama di riferimento non è, per Loos, il mondo immediatamente circostante, dominato da mode ed esigenze mutevoli, ma il patrimonio offerto dalla tradizione antica. Si tratta di un tema ricorrente che ritorna, nel medesimo anno e con argomentazioni pressoché identiche, persino nella sua critica pubblica nei confronti di Josef Hoffmann: "Per me la tradizione è tutto, l'azione della libera fantasia per me si colloca su un piano secondario"17. Appare evidente il debito nei confronti del pensiero di Semper che trent'anni prima aveva sostenuto che "il genio creativo dei greci aveva un compito più nobile, un obiettivo più alto che l'invenzione di nuovi tipi e motivi dell'arte, che venivano loro dagli antichi e che per loro rimasero sacri"18. Di fronte alla domanda di esprimere la propria visione sulle vecchie e nuove strade nell'arte di costruire, Loos risponde sostenendo che la forma è conseguenza, da un lato, del modo di produzione e, dall'altro, dell'aderenza alle radici più antiche della tradizione. La ricerca di un'origine antica si congiunge con un imperativo sul piano etico; per essere onesto con il proprio lavoro, l'architetto deve riconoscere le radici condivise nel modo di sentire le cose (Gefuhl).
Da una simile onestà nei confronti della forma ne deriva un'altra nei confronti dei materiali, destinata a divenire uno dei cardini della concezione architettonica di Loos: l'architetto gentiluomo deve eliminare la menzogna dall'uso dei materiali. Ciò che sta dietro questa affermazione generale è descritto in una lunga nota, dove il significato della falsità viene spiegato prendendo come esempio l'imitazione del marmo con lo "stuccolustro"19. Secondo Loos si trattava di una lavorazione diffusa nel rinascimento italiano, in cui a essere imitato non era il materiale ma il suo disegno. La critica è rivolta a chi, nell'imitare la pietra naturale, riproduceva con il gesso i giunti dei rivestimenti lapidei, laddove lo stucco non avrebbe richiesto la presenza di nessuna discontinuità20.
Nel concludere l'articolo, Loos affrontava il teina del controllo complessivo dell'opera da parte dell'architetto che, nella difficoltà di essere onestamente all'altezza di ogni tecnica, avrebbe dovuto distinguere, sulla base delle attitudini e dell'esperienza, i diversi campi entro cui potere operare: vi sono, cioè, progettisti più adatti alla pietra, altri più adatti al legno, altri allo stucco e così via.
Nell'architettura, in genere, le diverse tecniche devono, per necessità, convivere e non esisterà dunque alcun problema se, come nel passato, un architetto sarà responsabile della muratura e un altro della definizione delle altre parti della fabbrica21. Loos affrontava in questo passo la questione della paternità artistica intesa come controllo di tutte le parti dell'organismo architettonico, affermando un principio che avrebbe dominato, negli anni successivi, le sue feroci critiche nei confronti di clii pretendeva di disegnare in modo coerente tutte le parti di un edifìcio, compresi i mobili, le stoviglie e pcrsino i vestiti22.
I due saggi su I materiali da costruzione e Il principio del rivestimento, usciti nello stesso anno, permettono di comprendere meglio il pensiero di Loos. Pubblicati nelle pagine della "Neue Freie Presse" a distanza di due settimane, essi sono esplicitamente considerati da Loos come il frutto di un'unica riflessione. Nonostante il titolo, i due scritti non riguardano le qualità fisiche dei materiali, bensì le relazioni esistenti tra essi e il lavoro dell'uomo, a partire dalla condanna dell'imitazione, vista come manifestazione di falsità. Loos ne precisa e amplia i confini, indicando che, oltre alla riproduzione dei materiali, anche la meccanizzazione del lavoro umano è deprecabile, quando sia finalizzata alla realizzazione di inutili orpelli; anche peggiore è l'uso della macchina per simulare lavorazioni che sarebbero complicate da realizzare a mano23. Riprendendo un tema già presente nell'articolo precedente, Loos tornava alla pratica inutile dell'imitazione della pietra da parte dello stuccatore: nel simulare superfici di marmo con lo "stuccolustro", egli riproduceva inutilmente i giunti indispensabili alla connessione delle lastre nei rivestimenti lapidei24.
La sua critica non è infine diretta alla decorazione in generale, ma alle pratiche che nascono dalla volontà di nobilitare i materiali poveri copiando quelli più preziosi, senza sfruttarne le qualità intrinseche. Per questa ragione pcrsino il cemento armato, un materiale nuovo, che non avrebbe avuto alcun modello da imitare, era stato usato per simulare la pietra. Lo stesso avveniva quando, con la carta da parati, si tenta di creare un drappeggio. Non va condannato il rivestimento dei muri: in modo simile a quanto succede in Inghilterra, la carta da parati dovrà essere disegnata per la propria natura e non tentando di imitare un altro materiale. A partire da questa considerazione Loos affronta il più ampio problema del rivestimento. Il tema, palesemente ispirato a Semper, ripropone, in estrema sintesi, la genealogia dell'architettura delineata in Der Stil: dovendo realizzare uno spazio accogliente, l'architetto potrebbe scegliere di appendere tappeti alle pareti. Poiché essi non hanno alcuna proprietà strutturale, sarà compito dell'architetto realizzare questa struttura; al contrario, partendo dalla struttura, non si realizzano spazi ma corpi murari (Maurerkörper) per i quali poi viene adottato un rivestimento.
L'idea che l'architettura non sia una conseguenza della struttura ma la risposta alla necessità di realizzare spazi adatti alle esigenze umane ricalca in maniera stringata ma fedele le argomentazioni sviluppate da Semper25. A differenza di quest'ultimo, per il quale prevale un carattere analitico, le parole di Loos possiedono una chiara connotazione operativa: il vero architetto parte dalle esigenze alle quali vuole rispondere e, con gli occhi dello spirito (mit dem geistigen Auge), vede lo spazio che vuole realizzare. Così egli potrà ottenere l'effetto desiderato, di paura per un carcere oppure di timore di Dio per una chiesa; esso si raggiunge con la forma e con i materiali e ognuno di questi ha un proprio carattere, non potendo quindi assumere quello di un altro. La torre campanaria della cattedrale di Santo Stefano potrebbe essere realizzata con un getto di calcestruzzo ma non sarebbe un'opera d'arte; altrettanto si potrebbe fare per palazzo Pitti o palazzo Farnese, visto quest'ultimo come modello ispiratore degli edifici del Ring viennese che, agli occhi di Loos, non risultavano che mere imitazioni del palazzo romano a blocco. La perfetta consequenzialità delle affermazioni dell'architetto è soltanto apparente nell'ambito di un tale salto di scala. Ovviamente nessuno degli edifici del Ring sarebbe una perfetta copia di palazzo Farnese, mentre il ragionamento a proposito dei materiali appare sensato partendo dal presupposto di costruire in calcestruzzo una copia esatta della torre di Santo Stefano26. Tra l'imitazione dei materiali e quella degli edifici corre la medesima differenza che distingue la copia e l'interpretazione di un modello, che Loos lascia cadere nel vuoto per proseguire la polemica contro le tendenze del proprio tempo.
Con la costruzione degli edifici intorno al Ring, la condizione "dell'architetto-surrogato" si era ulteriormente aggravata e a Vienna si poteva tranquillamante (con "Aplomb") inchiodare la costruzione alle facciate e appendere "con motivazioni artistiche, le 'pietre' portanti ("Tragsteine") al cornicione principale"27. La frase contiene l'implicita presa di posizione a favore di un'interpretazione coerente e veritiera del rapporto tra peso e sostegno, che fa qui la sua comparsa in una formulazione chiara ma strumentale, volta alla critica degli "araldi dell'imitazione fornitori di intarsi prefabbricati". Anche in questo caso il ragionamento a prima vista fila perfettamente: alla falsità della struttura appesa corrisponde quella, non giustificata, della decorazione, applicata alle superfici per assecondare il gusto "comune e plebeo", 'tuttavia, fra queste due entità esiste un salto logico sostanziale: la prima è una rappresentazione (falsa) della struttura, la seconda comprende finestre e vasi di cartapesta che, non avendo una funzione strutturale, non possono neppure essere falsi. Il paradosso non sfugge a Loos, il quale prosegue chiedendosi se i tappeti appesi alle pareti non siano anch'essi un'imitazione, visto che le pareti sono fatte di tutt'altro materiale. Eppure i tappeti non fingono di nascondere la loro natura: essi sono e sembrano tappeti. I materiali possono, cioè, sempre essere rivestiti, a patto di non permettere che si possa confondere il rivestimento con il materiale rivestito, da cui la famosa affermazione che "il legno può essere dipinto di qualsiasi colore fuorché uno: il color legno". Loos prosegue secondo questa linea logica con esempi e provocazioni, fino a riconoscere i limiti dell'imitazione nei confini delle comuni capacità sensoriali: è sempre possibile riuscire a ingannare l'occhio con decorazioni false lontane degli occhi dell'osservatore, ma la "divina psiche" non potrà essere ingannata da intarsi dipinti come se fossero realmente incastonati (wie eingelegt), in quanto sentirà che sono solo colori a olio.
Queste parole contengono il nucleo inamovibile del pensiero di Loos che, pur assumendo nel tempo delle forme differenti, avrebbe sempre riguardato il rapporto tra la reale consistenza dell'architettura e il modo in cui essa può venire percepita. Il vasto tema è posto al centro della riflessione sviluppata in quasi tutti i suoi scritti, che vanno pertanto ricondotti all'antico pensiero riguardante la relazione tra l'essere e l'apparire delle cose. In questo contesto va collocata anche la condanna della menzogna (die Luge), causa di comportamenti artefatti e fuorvianti. La necessità di utilizzare con onestà i materiali da costruzione prende le mosse dagli identici motivi per cui è meglio lavarsi piuttosto die cospargersi di cipria o per cui i caratteri a stampa non devono imitare le lettere a rilievo28. La frammentarietà della produzione dell'architetto si riduce a una questione di superficie, dato che, anche parlando di una sedia o delle abitudini viennesi, Loos continuava a interrogare il lettore su una questione antica. Forse questa è la radice antica a cui egli stesso allude più ancora di quanto non avrebbero fatto delle forme riprese dall'architettura classica.
I tre scritti fin qui descritti, in realtà di breve estensione, consentono naturalmente di riconoscere solo a tratti i contomi di una teoria generale del costruire, da intendersi come dei limiti autoimposti entro i quali l'architetto riteneva di dover operare. Non è possibile neppure individuare una condanna generale della decorazione architettonica, quanto, piuttosto, il rifiuto di adottare soluzioni volte a mistificare la reale consistenza fisica dei materiali e la condanna dell'incessante invenzione di nuove forme. Nel 1898, prima ancora di assumere gli incarichi che lo avrebbero reso famoso, Loos sembra animato da alcuni semplici principi: l'architettura scaturisce dalle esigenze umane che, per essere soddisfatte, non necessitano di decorazione, inoltre l'architettura può essere dotata di membrature che non devono essere inventate ma tratte dalla tradizione classica. Si tratta, come è ovvio, di una proposta troppo generale per essere applicata in maniera diretta, anche se è da essa che nasce la sperimentazione dei primi anni di attività dell'architetto. Per capirne le conseguenze bisogna rivolgere l'attenzione agli edifici realizzati negli anni immediatamente successivi.
Con l'avvio dell'attività professionale, la dedizione alla scrittura di Loos sarebbe diminuita; egli avrebbe continuato in ogni caso a ri (lettere sulle questioni basilari del proprio pensiero, cambiando alcuni punti di vista e specificandone altri, ma sempre riconoscendosi in quei primi pensieri. Le idee manifestate sulla carta stampata possono essere messe a confronto con gli edifici costruiti negli stessi anni29. Tra i lavori anteriori al 1900, i più rilevanti sono il negozio Goldman & Salatsch nel Graben (1898-1903) e il Cafè Museum (1899), noti solo attraverso pubblicazioni e foto d'epoca30. Il primo consisteva nella ristrutturazione di un ambiente commerciale su due piani, dove il livello terreno era completamente dominato da vetrine e da caratteristici lampadari cilindrici in cristallo e bronzo. Il secondo può essere considerato come un'opera programmatica per la semplicità della concezione architettonica d'insieme e per l'autonomia nell'impiego di una soluzione tecnologica. L'illuminazione elettrica era infatti qui realizzata collocando sulle volte delle bande metalliche trasversali, poste ad alimentare le lampade sospese negli ampi ambienti; la soluzione tecnica permetteva, allo stesso tempo, di mettere in evidenza il profilo curvo dei soffitti ad arco ribassato e di scandire un ritmo all'interno dello spazio.
Pubblicato nel mensile "Dekorative Kunst", il Cafè Museum avrebbe costituito, per l'architetto, anche il primo riconoscimento pubblico, dimostrando che, in un ambiente essenziale, la soluzione tecnologica rappresentava l'unico oggetto di invenzione31.
L'edificio dove le idee dell'architetto si possono leggere più da vicino è la villa Karma, sul lago di Ginevra (1904)32. Nella sua conformazione finale, l'edificio mostra chiaramente i vincoli planimetrici determinati da una fabbrica preesistente, ingrandita tramite l'aggiunta di corpi di fabbrica sui quattro lati. Dentro il semplice involucro quadrangolare con quattro risalti murari agli angoli, la villa contiene spazi che costituiscono lo specifico oggetto di confronto con le idee espresse nei primi scritti. Il primo ambiente, più semplificato, è quello della sala da pranzo, con le pareti rivestite interamente con lastre di marmo chiaro con spigoli verticali, smussati in corrispondenza delle portefinestre che conducono all'esterno. Questa composizione parietale permette di riconoscere il senso attribuito da Loos ai diversi strumenti di definizione dello spazio: muri perimetrali, composti da elementi unitari dell'altezza dell'intero ambiente, appaiono come il solido sostegno per un'esile cornice marmorea, che riquadra il soffitto in pannelli chiodati.
Come sembra confermare un rapido schizzo dell'architetto, nell'ambiente considerato le parti che rappresentano visivamente la struttura sono elementari: le pareti fungono idealmente da sostegno alla sottile cornice che regge la copertura33. Il rapporto che intercorre tra le diverse parti dell'architettura, ovvero tra i pesi e i sostegni, appare delineato dai delicati tagli tra le pietre che restituiscono l'immagine di un sistema semplice ma perfettamente coerente. Se osservato in relazione agli stessi criteri, lo spazio della biblioteca mostra alcune significative differenze.
La sua struttura è scandita da pilastri di marmo su cui poggia una semplificata cornice. Tra i pesanti pilastri in pietra naturale e i leggeri piani lignei inseriti nel loro spessore murario esiste un palese contrasto: esso, tuttavia, non intacca il senso logico del telaio principale che suddivide le pareti laterali in quattro parti uguali, a cui corrispondono con precisione i piatti cassettoni del soffitto.
Anche in questo caso l'allusione a un sistema strutturale riconoscibile è chiara: la fascia di marmo a terra funge da base continua per i pilastri, mentre la comice lignea superiore riprende, con la sua ultima fascia inclinata, il profilo di una trabeazione classica. Senza ricorrere all'uso degli ordini architettonici, Loos fa riferimento a un rapporto tradizionale tra peso e sostegno, con il paradosso, ben manifesto, che le sottili strutture lignee non appaiono come mobili bensì come parti secondarie di un unico telaio composito34. Diversamente dalla sala da pranzo, l'allusione a un sistema architettonico all'antica è più esplicita, anche se i motivi della sintassi classica appaiono drasticamente semplificati e, nel complesso dell'edificio, l'utilizzo di elementi architettonici desunti dall'antichità, frutto di accurata meditazione, è limitato35. In varie parti, come nell'ingresso o nei porticati estemi, compaiono infatti sistemi colonnati a sostegno di strutture aggregate al corpo principale della villa. Il significato della colonna libera può essere colto in modo pieno nella famosa sala da bagno in marmo nero al secondo livello della villa, dove un sistema tetrastilo di colonne incornicia la vasca, anch'essa marmorea, incassata nel pavimento36. Il dorico privo di base e ridotto ai minimi termini rappresenta l'unico elemento propriamente all'antica in questo ambiente, le cui pareti sono ritmate da fasce di marmo piatte con leggeri risalti. Solo le colonne libere sono tratte dalla tradizione costruttiva antica, mentre le restanti membrature, con i loro profili astratti, alludono alle forme riconoscibili di architravi e cornici senza però riprodurne le forme.
L'importanza della colonna libera risulta sottolineata anche dalla semplicità del contesto in cui essa è inserita. La scelta appare coerente anche con le parti della fabbrica esaminate fino a questo punto, indicando una sorta di scala gerarchica nella restrizione del telaio architettonico: essa va dalla piatta articolazione parietale della sala da pranzo alla rigorosa rappresentazione dei sostegni, nella libreria, fino alla più magniloquente struttura trilitica nel luogo di maggiore intimità della casa. Se, come aveva sostenuto Loos, l'unica fonte accettabile per la creazione delle forme risiedeva nella tradizione classica, laddove si deciderà di non impiegarne le forme, sarà possibile soltanto ridurre le parole del linguaggio ad astratte allusioni37. Fino a che punto sia lecito portare avanti un tale meccanismo di riduzione è spiegato con chiarezza nella volta bianca di questo piccolo ambiente. La stanza da bagno di villa Karma contiene, quindi, tutti i registri del linguaggio architettonico di Loos: la colonna libera, la cornice semplificata e la semplice muratura neutra. La condanna dell'invenzione degli elementi di base dell'architettura, comparsa pochi anni prima negli iniziali e più interessanti scritti di Loos, sembra essere trasposta in marmo, nella sontuosità essenziale di questa villa nei pressi del lago di Ginevra.
Un proseguimento dell'analisi condurrebbe ad affrontare il significato conferito ai singoli elementi lapidei di rivestimento, per giungere a considerazioni simili a quelle espresse rispetto alla sala da pranzo. Nondimeno, più che la coincidenza con i postulati teorici dei primi scritti, è opportuno rilevarne le conseguenze. Negli anni che seguono l'abbandono del cantiere di villa Karma, alcuni degli interni di Loos suggeriscono lo sviluppo delle sue idee38, ma la tappa cruciale del primo decennio di attività è la realizzazione del Kärntner Bar (1908-09).
L'architettura del piccolo locale nel cuore di Vienna è frutto di alcune scelte facilmente leggibili nell'intimo interno, di circa 20 metri quadrati di estensione. Una struttura di pilastri addossati al muro, con alcuni residui di un elemento verticale portante in corrispondenza degli angoli, suddivide l'ambiente in tre parti uguali. Questo semplice sistema sorregge un elegante cassettonato in lastre di marmo chiaro, mentre le campiture murarie ai lati sono ripartite orizzontalmente in due parti, una, inferiore, in legno e l'altra, superiore, con grandi specchi a lastra unica che raggiungono, nella parte più in alto, le travi perimetrali. Non è necessario scendere nei dettagli per comprendere il ridotto sistema linguistico con cui è definito il telaio; ciò che più interessa, sul piano della logica strutturale, è la perfetta analogia che Loos stabilisce tra i pilastri verticali e le travi orizzontali in marmo verde antico. Rispetto alla tradizionale distinzione tra peso e sostegno, esiste una differenza sostanziale, messa in risalto soprattutto dall'assenza di qualsiasi elemento di mediazione tra le due parti.
Il campo è quello della pura rappresentazione della struttura poiché il piccolo ambiente non avrebbe richiesto nessun sostegno interno reale. In questo modo, le parole dell'architettura vengono scelle per affermare resistenza di una perfetta omogeneità tra pesi e sostegni, rappresentati, nell'esempio in questione, come oggetti di dimensione, forma e materiale identici. Soluzioni simili caratterizzano anche alcune opere precedenti come la casa di Rudolf Kraus39, ma solo nel Kärntner Bar un telaio strutturale così semplificato è applicato chiaramente.
Villa Karma e il Kärntner Bar costituiscono due tappe di un processo di semplificazione degli elementi architettonici, frutto di una graduale conquista. Nell'interno del piccolo caffè essa tocca uno dei suoi punti più radicali rinunciando alla distinzione, comune a tutta la storia dell'architettura occidentale, tra peso e sostegno: il primo (l'architrave) assume la stessa forma del secondo (il pilastro o colonna quadrangola). L'effetto principale di un tale semplificato sistema è evidente se si osserva come le paraste e i cassettoni del soffitto interagiscono con le superfici riflettenti realizzate con lastre uniche e senza cornici, in modo da ricomporre, nell'immagine riflessa, l'interezza dei pilastri come se si originassero da una base quadrata. La contrapposizione degli specchi permette di molliplicare, teoricamente all'infinito, l'articolazione strutturale della cellula di partenza. Il reale spazio del Kärntner Bar diviene, pertanto, la molecola di partenza di un cristallo virtuale che si estende oltre i limiti delle possibilità percettive del visitatore, il cui punto di vista è abilmente collocato più in basso rispetto al livello degli specchi. Si tratta di un espediente in fondo abbastanza semplice, die Loos utilizzerà anche in altri ambienti, nell'intento di lare percepire l'ambiente come se fosse più grande di quanto non sia nella realtà40. L'efficacia dell'artificio percettivo è, in larga misura, legala alla semplicità degli clementi che entrano in gioco in questa piccola macchina perfetta.
La conclusione del Kärntner Bar, nel 1909, coincide con l'avvio della progettazione dell'edificio Goldman & Salatsch. L'edificio, integralmente l'etto da un telaio in calcestruzzo rivestito, mette in gioco tutti i registri linguistici utilizzati da Loos fino a ora, realizzando un sistema architettonico in cui la struttura reale non coincide mai con quella rappresentata. Lo spregiudicato rapporto tra l'ordine principale sulla piazza e quello secondario lungo i lati dell'edificio costituisce uno dei temi più studiati dell'architettura del Novecento. La sua logica si può intendere come una serie di variazioni a partire dal tema enunciato nella facciata principale e impostato sulle quattro colonne libere doriche centrali che, anziché reggere l'alta trabeazione principale, sostengono una sottile fascia bronzea su cui poggiano, a loro volta, quattro pilastri squadrati sormontati dall'architrave. Sono questi sostegni prismatici rivestiti in marmo cipollino che separano la trabeazione dal colonnato, ovvero settori che, nel registro compositivo del resto della facciata, vanno interpretati come parti della muratura. Sui fianchi il sistema si complica ulteriormente, poiché la quota dei piani è differente e le colonne, più piccole di quelle principali, sono inserite solo al secondo livello. La trabeazione principale, dimensionata in base all'altezza delle colonne maggiori, risulta appoggiata su settori murari lisci e sulle colonne minori, sostegni di un sistema trabeato evidentemente sovradimensionato rispetto alla loro altezza41. L'intero apparato appare quindi realizzato per mezzo di elementi che, pur derivando dal linguaggio classico, sono messi in reciproca relazione con assoluta originalità.
Un'analisi della forma di ciascuno di essi porterebbe forse a riconoscere i modelli utilizzati per ogni singola membratura architettonica, e a ricostruire le variazioni adottate dall'architetto in rapporto ai modelli antichi. Pur tralasciando, in questa sede, il problema delle fonti antiche nell'opera di Loos, è possibile rilevare come, in genere, la forma degli elementi all'antica sia il risultato dell'adattamento a condizioni contingenti e non l'automatica ripresa di regole manualistiche42.
Una valutazione dell'impiego degli ordini da parte dell'architetto, esclusivamente entro i termini della citazione, non esaurisce il problema: è necessario, piuttosto, domandarsi quale ruolo abbiano le perfette colonne in cipollino di Eubea che lo stesso Loos considerava la migliore pietra da costruzione43. Coerentemente con le affermazioni riportate nei suoi scritti e anche con le opere precedenti, egli dimostra di rifiutare l'invenzione delle forme a favore dell'utilizzo del patrimonio antico44. Nell'immobile Goldman & Salatsch le parole del linguaggio antico rimangono pressoché invariate, mentre è la sintassi a mutare: l'utilizzo della colonna libera appare infatti svincolato dalla tradizionale relazione tra pesi e sostegni e la sua importanza è sottolineata dall'essenzialità dei corpi muraci in cui essa si trova inserita. Le parole di Loos al proposito confermano il valore di rappresentazione autonoma, ma non arbitraria, conferito al rivestimento e alle membrature marmoree rispetto alla struttura reale45. Vi è poi un secondo livello di lettura, legato al significato delle lavorazioni e all'uso dei materiali, per cui esiste una diversificazione nell'utilizzo del rivestimento in cipollino, tagliato parallelamente alla venatura nel caso delle colonne e dei rivestimenti, diagonalmente e a macchia aperta nella trabeazione46. Un'osservazione attenta del taglio del marmo nell'architrave a tre fasce rivela come questo segua la logica che si dovrebbe adottare se fosse integralmente in pietra, ma, in realtà, si tratta soltanto di un rivestimento. Si potrebbe pensare che la scelta derivi dal considerevole spessore del cipollino e dalla necessità che il materiale si sostenga autonomamente; tuttavia l'interno della scalinata di servizio ai piani presenta una soluzione analoga nei conci centrali delle porte, in cui il rivestimento è di circa due centimetri di spessore. La pietra appare quindi tagliala come se davvero non fosse un rivestimento ma avesse una funzione portante, nell'intento di seguire la strada di una chiara analogia strutturale.
Anche nei punti in cui raggiunge la massima semplificazione, l'architettura sembra dover rispondere, per Loos, sempre alle medesime logiche die aftbndano le proprie radici nel mondo della costruzione. La sintetica ripresa da Semper del "principio del rivestimento'' negli scritti del 1898 non è sufficiente a spiegare tutte le ragioni delle forme e delle composizioni architettoniche, tuttavia dimostra bene come, secondo l'architetto, anche le più semplificate scelte formali trovino spiegazione nella logica costruttiva degli oggetti. E in questo senso die va compreso l'interno dell'ambiente principale del negozio Goldman & Salatsch, per il quale si potrebbero ripetere molle delle considerazioni relative al Kärntner Bar.
In questo contesto uno dei progetti più significativi è il salone delle feste della Schwarzwaldschule (1913-14), raffigurato in un delicato disegno di presentazione in cui è percepibile il livello di previsione, da parte di Loos, nel taglio della pietra, prevista integralmente a macchia aperla47.
Nell'opera dell'architetto, la semplificazione delle forme appare il frutto di un processo di rinuncia all'ordine archilettonico che Loos non avrebbe mai abbandonato definitivamente. Le polemiche legate alla costruzione dell'edificio in Michaelerplatz coincidono, significativamente, con le prime presentazioni della conferenza Ornament und Verbrechen, tenuta in diverse sedi a partire dal 1908 ma rimodellata e integrata a più riprese48. Il testo, pervenuto in diverse versioni, in prevalenza più tarde, inserisce in uno schema evoluzionista le ragioni dell'abbandono dell'ornamento nel mondo contemporaneo. Ciò nonostante la colonna, come lutti gli elementi del linguaggio classico, non è, per Loos, compresa nella categoria dell'ornamento, essendo sempre la ragione a definirne la posizione, anche quando il gioco si svolge al limite del paradosso. È cosi che si spiega il diffuso impiego delle colonne in molta della produzione successiva, sia in contesti domestici, come l'essenziale fusto in marmo di Skyros nella casa Strasser (1919), sia in fronti pubblici, come nel problematico caso della gioielleria Hugo & Alfred Spitz del 1918.
Ancora nei primi anni venti, Loos continuava a considerare attuale l'uso dell'ordine, ampiamente applicalo in tutte le fasi dell'elaborato progetto per un complesso nei Modenagrunde.
Nei disegni per questo grande impianto, destinato a funzioni ricreative e di svago, che documentano un insieme di varianti per l'impianto generale, l'impiego dell'ordine e della colonna libera si dispiega in una notevole varietà. Loos appare qui attratto dall'idea di contrapporre all'astratta purezza di volumi edilizi semplificati la raffinata immagine di colonnati all'antica, in grado di riproporre, nel centro di Vienna, una sorta di forum ludens della nuova città socialdemocratica.
Esiste un vasto numero di studi grafici per la definizione degli ordini nell'intero complesso architettonico e alcuni di essi, benché molto significativi, si possono col legare al progetto solo per via ipotetica, come nel caso dell'idea di un ordine ionico gigante con colonne scanalate e trabeazione. Per comprendere come l'interesse per la colonna libera accompagni tutta la carriera di Loos è sufficiente scorrere il corpus della produzione grafica oggi conservato presso la Archilektursaminlung dell'Albertina; generalmente i disegni mostrano soluzioni alquanto tradizionali e, solo in rari casi, compaiono elementi architettonici inventati, che pure esistono in alcuni schizzi.
La semplificazione perseguita dall'architetto con le sue costruzioni e con gli scritti deriva, in definitiva, da una conquista graduale, il cui punto di partenza è una formazione architettonica tradizionale, che aveva le sue basi, in primo luogo, nella pratica costruttiva e nella concezione degli elementi costitutivi dell'architettura; da essi Loos avrebbe saputo prendere le distanze soltanto attraverso una profonda conoscenza. Dopo la travagliata conclusione dei lavori per la sede della Goldman &. Salatsch, egli avrebbe rivolto con insistenza la propria attenzione alla conformazione degli spazi intemi, ossia ciò che, solo molto più tardi, avrebbe riunito entro la parola Raumplan.
Anche le origini di quest'ultimo tema potrebbero essere riconosciute nella sua prima produzione teorica, tracciando così una storia parallela a quanto è stato detto, fino a ora, a proposito della relazione tra tecnica e forma e dei suoi fondamentali principi insiti nella concezione del taglio della pietra.
A differenza di altri materiali costruttivi, quelli lapidei richiedono sempre operazioni di montaggio evidenti anche nelle opere finite, li forse questa la ragione per cui la logica della costruzione m pietra costituisce un cardine nella concezione architettonica di Loos. In ogni caso la sola tecnica costruttiva non avrebbe portato molto lontano dal puro virtuosismo tecnico se l'architetto non fosse stato incline a riflettere sul rapporto esistente tra il modo in cui sono costruiti gli oggetti e quello in cui essi appaiono agli occhi di chi li guarda. Le prime testimonianze della sua attività autonoma, vale a dire, di nuovo, gli scritti degli ultimi anni dell'Ottocento, definiscono nettamente i contorni di una teoria del costruire basata sull'esercizio di un'onesta rappresentazione della natura dei materiali e delle lavorazioni. La successiva pratica architettonica sembra muoversi entro alcuni semplici limiti autoimposti. Nel trentennio in cui si trova racchiusa la sua attività, egli avrebbe rivisto e talvolta radicalizzato alcune idee giovanili, cambiando posizione a proposito di certi aspetti del costruire, ma continuando, di fatto, a riconoscersi nei nodi logici fondamentali della prima produzione scritta. Qualunque teoria non era die un surrogato del costruire e anche i più elementari paradigmi, delineati nell'iniziale attività teorica, risolvevano vari problemi ma ne lasciavano aperti molti altri.
L'insieme di queste sperimentazioni suggerisce il tentativo dell'architetto di sondare i limiti compositivi concessi dagli elementi all'antica, di cui egli non intende mai mutare le forme, chiamate spesso in causa per mezzo di ciliare allusioni. Come accade negli scritti, anche nelle architetture il discorso sembra talvolta passare da un elemento a un altro senza un'opportuna mediazione. L'immagine più eloquente di questo atteggiamento è offerta dalla facciata della Anglo- Ósterreichische Bank sulla Mariahilferstrasse, in cui le forme perfettamente riconoscibili delle "paraste" scanalate sono contrapposte alle superfìci neutre dei plinti marmorei e della targa superiore di granito di Svezia. I piatti fusti delle membrature architettoniche sono qui collocati come conci colossali di pilastri decontestualizzati, la cui intensità espressiva è affidata, da un lato, alla riconoscibilità delle forme - le scanalature tipiche delle paraste antiche - e, dall'altro, al fatto di essere costituite da grandi blocchi lapidei. Ciò che nel linguaggio classico sottolinea l'individualità di una membratura di sostegno, ovvero la base e il capitello, appare qui sostituito dalla forza dell'elemento costruttivo. In altri casi Loos aveva sostituito le membrature architettoniche tradizionali con elementi lapidei monolitici, ma qui la relazione si mostra in tutta la sua chiarezza, quasi a spiegare che un sostegno verticale, qualora non articolato nelle forme indicate dalla tradizione antica, può ancora essere chiamato con il nome di "colonna", a patto di essere costituito da massicci elementi in pietra. Si trattava forse di una lontana eredità paterna, la stessa die gli permetteva di considerare "il muratore, un mestiere al quale con tutte le carte in regola appartengo anch'io"49.
Desidero ringraziare Marco De Midielis con cui ho discusso molti temi affrontali in questo studio, che ho potuto arricchire grazie al confronto con Fulvio Lenzo, Laura Orsini, Marco Pogac"nik, Leo Schubert e con i colleghi del dipartimento di Storia dell'Architettura dell'Università IUAV di Venezia.
Sono grato a Markus Kristan, Ingrid Kastell e Oliver Krug per l'aiuto nella consultazione dei disegni nell'archivio dell'Albertina.
Desidero esprimere la mia particolare gratitudine a Laura Casagrande, direttrice della Biblioteca centrale dell'Università IUAV, per le determinanti agevolazioni concesse che hanno di fatto permesso di realizzare questo lavoro.
Ringrazio inoltre Gloria Correggiari e tutto il personale della Biblioteca centrale e di quella del dipartimento di Storia dell'Architettura che hanno pazientemente sostenuto il mio studio.
Con Maddalena Scimemi ho discusso dalle prime fasi i temi affrontati in questa ricerca. Senza le sue idee, le informazioni e le osservazioni sul testo questo lavoro avrebbe orizzonti più limitati e una forma certamente meno efficace.
1 A questo proposito vedi la nota 12.
2 Alla morte del padre nel 1879, grazie alla tradizione consolidata dell'impresa di famiglia, la vedova aveva deciso di cedere la gestione del laboratorio mantenendone la proprietà. La perdita del padre, all'età di otto anni, rappresentò un evento cruciale per Loos sia sul piano affettivo sia su quello economico. Sulla base delle sue stesse parole sappiamo che. Fin da bambino, egli aveva iniziato a conoscere le lavorazioni della pietra nella bottega di famiglia. A questo proposito vedi in particolare la biografia di Maddalena Scimemi in questo volume.
3 "Fur die Aufgabe, die mir die Welt gestellt hat, kann man sich keine gliickiichere Vorbildung denken, als mir zuteil wurdc. Aufdem grotìen Werkplatz, dcr die Stàtte meiner Kind-heit war, gab es wohi mit Ausnahme der Bekieidungsindustriejegliches Handwerk: Bildauer, Steinmctzc, Schleifer, Schrifteiimaler, Anstreicher, Lackierer, Vergolder, Maurer, ZementgieBer, Schmiede arheiteten dort. So habe idi als Kind schon den Geist aller Handwerke eingesorgen." Kulka (1931) 1979,p. 11.
4 Loos aveva frequentato nel 1880-81 il ginnasio di Igiau, città natale della madre, per poi ritornare a Brunii nell'anno successivo. La crisi nella camera scolastica risale al passaggio dal ginnasio al liceo benedettino di Meik. Questo cambiamento di indirizzo scolastico segna il passaggio al primo ciclo di studi di architettura nella scuola professionale di Brunn, conelusosi nel settembre 1889.
Rukschcio, Schachel (1982) 1987, pp. 14-17.
5 Per le diverse fasi del viaggio in America e in Gran Bretagna si rimanda alla biografìa redatta da Maddalena Scimemi nel presente volume. Si vedano inoltre: Rukschcio, Schachel (1982) 1987, pp.
21-33; Sekier 1989; Stewart 2000, pp. 44-55.
6 È lo stesso Loos a testimoniare la sua attività per il "New Yorker Bannertràger" in un breve articolo del 1900, poi inserito nella raccolta Ins Leere gesprochen. Cfr. A. Loos, Mein Auftreten mit der Melba, in "Neues Wiencr Tagbiatt", 20 gennaio 1898, pubblicato in Loos Ins Leere gesprochen ( 1921 J 19811, 19972, pp. 192-197. Con ottime probabilità si tratta del periodico "Dei- Bannertràger tur Deutschtum und Vaterland", la cui esistenza è segnalata nel catalogo della Library ol'Congress di New York (collocazione sv90032478), attualmente non disponibile. L'inserimento delle parole "New Yorker" da parte di Loos è probabilmente dovuta alla necessità di indicare il luogo ai lettori di lingua tedesca del "Neues Wiener Tagbiatt".
7 Come ha dimostrato Mitchell Schwarzer, uno dei veicoli più importanti per la penetrazione dell'architettura inglese in area tedesca era stato il volume di Robert Dohme, Das englische Hans, del 1888; Schwarzer 1995, pp. 139-143; Dohme 1888. L'influenza inglese in ambito tedesco è inoltre riconosciuta da Schwarzer nell'opera di Richard Strciter e di Fritz Minkus; Schwarzer 1995, pp. 144-146. L'attualità della casa inglese è dimostrata da gran parte dell'opera di Muthesius che, nel 1904, avrebbe ripreso anche nel titolo il libro di Dohme; Muthesius (1904, 1905) 1910, 1911.
Vedi in proposito anche Goldzamt 1976, pp. 121-123. Sulle posizioni avverse alla diffusione della cultura inglese in area germanica vedi in particolare Stewart 2000, che indica alcuni interventi in questo senso.
8 Cari Mayreder ( 1856-1935), professore alla scuola tecnica superiore ceca di Vienna, deve avere svolto un ruolo importante nello sviluppo intellettuale di Loos, subito dopo il ritorno dagli Stati Uniti, in particolare per la sua conoscenza dell'architettura antica. Egli sarebbe stato professore in questa materia dal 1920 e, della sua attività, è significativa la conferenza del 1921, dal titolo Sui significati e le conseguenze dell'arte di costruire antic; Rukschcio, Schachel (1982) 1987, pp. 35- 36.
9 Non esiste ancora una raccolta filologica degli scritti di AdoIfLoos e per il momento non esiste neppure un elenco esaustivo dei suoi testi a stampa. Per un elenco provvisorio degli scritti, basato sulla letteratura posteriore, vedi l'appendice Scritti e conferenze nel presente catalogo. Vedi inoltre Opel 1989a, integrabile confrontando le diverse raccolte dello stesso Opel, pubblicate in diverse edizioni: Loos Ins Leere gesprochen (1921) 19811, 19972; Loos Die Potemkinsche Stacit (1983) 1997; Kontroversen 1985; Konfrontationen 1988; Luos Ùber Architektur 1995; Loos Ornament und Verbrechen 2000. Per una rilettura critica degli scritti, oltre alle introduzioni ai volumi di Adolf Opel citati, vedi Amanshauser 1985. Sulla prima produzione scritta di Loos: Lckel 1996.
10 L'influsso di Semper nei testi di Loos è estremamente diffuso e legato ad argomenti diversi.
Vedi per esempio Ulas und Ton, in "Neue Freie Presse", 26 giugno 1898, ripubblicato in Loos Iris Leere gesprochen (1921) 1981 1, 19972, pp. 88-93, in particolare pp. 88-89. Semper aveva individuato nel tatuaggio una delle forme primitive di decorazione: "Das Beitzen und Fàrben der I laut gehortzu der merkwurdigen Gruppe von Erfindungen, deren Mutter nicht die Notb, sondern die reine Lust ist und di zii den allelhihesten gehóren, weil glciclìsam der Instinkt der Freude sie dem Menschen einblies". Semper (1860) 1878, voi. 1, cap. 68, p. 189. Il tema era poi ripreso nel cruciale capitolo dedicato ai principi della costruzione e del rivestimento: "Die Kunst der Bekieidens der Naktlieit des Leibes (wenn man die Bemalung der eigenen Haut nicht dazu rechnet, wovon oben die Rede war) isl vermuthlieh einejungcre Erfindung als die Benùtzung deckender Oberflachen zu Lagern und zu raumliche Abschliissen". Semper (1860) 1878, voi. 1, cap. 62, p. 213.
Su questo tema Loos sarebbe tornato a più riprese, vedi in particolare: A. Loos, Das Luxus- fuhi-werk, in "Neue Freie Presse", 3 luglio 1998 e A. Loos, Damenmode, 1898. Il tema è poi ripreso come incipit del celebre Ornament und Verbrechen; A. Loos, Ornament und Verbrechen, ripubblicato in Loos Ornament und Verbrechen 2000.
11 Quest'ultima similitudine è citata da Loos in Das prinzip der Bekieidung, in "Neue Freie Presse", 4 settembre 1898, ripubblicato in Loos Ùber Architektur 1995, p. 44.
12 Nella sua conferenza Ornament und Verbrechen, tenuta prima a Monaco, nel 1908, poi a Berlino, nel 1910 e quindi ripresa in diverse occasioni per oltre un decennio, Loos continuava a riconoscere ai suoi primi scritti un ruolo basilare. L'importanza di questi lavori è confermala dal fatto che, nel 1921, quando egli sarebbe riuscito a ripubblicare in un libro una consistente raccolta dei propri scritti, con il titolo Ins Lcere gesprochen, avrebbe escluso i contributi posteriori al 1900.
Si fa qui riferimento alla riedizione del volume del 1921 curata da Adolf Opel, Loos Iris Leere gesprochen (1921).
13 Per una lettura complessiva dell'influsso dell'architettura di Vienna su Loos si rimanda al saggio di Marco Pogac'nik nel presente volume. A lui sono grato per avermi comunicato gli esiti del suo lavoro durante le fasi preliminari di ricostruzione.
14 A. Loos, Die Baumaterialen, in "Neue Freie Presse", 24 agosto 1898; A. Loos, Das Prinzip der Bekieidung, in "Neue Freie Presse", 4 settembre 1898; A. Loos, Die alte und die neue Richtung in der Baukunst, in "Der Architekt", 4, 1898. Tra questi solo gli ultimi due sarebbero stati inseriti da Loos nella raccolta del 1921 dal titolo Ins Leere gesprochen; vedi Loos Ins Leere gesprochen (1921) 19811, 19972,pp. 133-145. Per il terzo vedi invece Loos Ùber Architektur 1995, pp. 33-38.
15 Il concorso prevedeva la pubblicazione degli articoli migliori nella rivista "Dei" Architekt". Il lesto di Loos aveva ottenuto il secondo posto, dopo quello dell'allievo di Wagner Josef Freiher von Dahien. Sul concorso vedi il numero di "Dei-Architekt", IV, 1898, in particolare pp. 30-33. Cfr.
inoltre Rukschcio, Schachel (1982) 1987, pp. 44-45.
16 "Noi vivevamo tino a poco fa in un tempo in un particolare passato in cui il lavoro intellettuale era tutto, quello manuale niente." Secondo Loos questa situazione era estesa a tutte le arti, fatta eccezione per la pittura in cui disegnatore ed esecutore erano la stessa persona. Persino la scultura risente di questo rapporto di subordinazione poiché lo scultore delle forme (Bildhaucr) modellava figure in miniatura scolpite poi dal tagliapietra. A. Loos, Die alte und die neue Richtung in der Baukunst, cil., p. 33.
17 A. Loos, Ehi Wiener Architekt, in "Dekorative Kunst", 11, 11, 1898, ripubblicato in Loos Ùber Archilektur 1995, p. 26. Il tema ricorre in tutta la produzione scritta di Loos. Ne troviamo conferma nelle parole inserite nel volume monografico dedicato alla sua opera e pubblicato dal suo stretto collaboratore Heinrich Kulka: "Unsere Erziehung beruht aufderkiassische Bildung. Ein Arcliitekt ist ein Maurer, der Latein gelcrnt hat. Die modernen Architekten scheinen aber mehr Esperantisten zu sein"; Kulka (1931) 1979, p. 17.
18 Semper (1860) 1878, p. 206. Un atteggiamento analogo si riscontra con frequenza in particolare nel capitolo 60 del primo volume di Der Stil; Semper (1860) 1878, pp. 204-212.
19 II termine italiano è utilizzato dallo stesso Loos.
20 Con ottime probabilità egli fa riferimento alla finitura in scagliola (gesso colorato) molto diffusa a Vienna e applicata in estese superfici nelle sale del Kunslhistorisches Museum, come imitazione di marmi preziosi colorati. Visti gli argomenti adottati da Loos è improbabile che egli si riferisca alla diffusa pratica cinquecentesca di imitazione del marmo bianco con intonaci a calce e polvere di pietra che in area veneta prendono il nome di marmorino. Loos Uber Architektur 1995, p. 37.
21 Loos qui specifica che l'idea di disegnare ogni parte rende un edificio monotono. Al contrario, nella sala consiliare della Rathaus di Augusta, la costruzione di Elias Holl e il soffitto del falegname Wolfgang Ebner si accordano perfettamente. Loos Ùber Architektur 1995, p. 38.
22 È possibile riconoscere una certa reticenza da parte di Loos a esprimere fino in fondo le proprie idee e forse per questo il testo non sarebbe stato inserito in nessuna delle due edizioni di Ins Leere gesprochen (cfr. le edizioni originali di Loos Ins Leere gesprochen (1921)).
Nell'introduzione all'edizione del 1931 Loos esordiva dicendo che, negli scritti prima del 1900, egli si sentiva costretto a "esprimersi con estrema cautela", cfr. Loos Parole nel vuoto (1972), p. 3. L'attacco rivolto agli architetti che volevano progettare secondo un unico disegno tutte le parti di un edificio, fino a quelle mobili, sono disseminate in moltissimi testi di Loos. Vedi in particolare: A. Loos, Die Ueberflùssigen (Deutscher Werkbund), in "Màrz", 15, 3 agosto 1908; A. Loos, Ornamcnt und Verbrechen, cit.; A. Loos, Die Einrichtung der modernen Wohnung (Die Abschaffung der Móbel), in "Die Neue Wirtschaft", 14 febbraio 1924, ripubblicato in Loos Ùber Architektur 1995, pp. 173-175.
23 Loos qui esordisce chiedendosi provocatoriamente se abbia maggiore valore un chilo di pietra o un chilo d'oro. Visto che la Venere di Milo non avrebbe maggiore valore se fosse d'oro e che la Madonna Sistina di Raffaello non varrebbe nulla di più di quanto vale se l'artista avesse sciolto nei colori dell'oro, egli può sostenere che, per l'artista, i materiali hanno tutti lo stesso valore. Le pietre considerate più rare, come il granito, si trovano in natura ma senza alcuna lavorazione e non hanno il valore che siamo abituati a riconoscere loro. Perciò molti, nel dire "materiale" intendono "lavoro", ma ciò non è ancora sufficiente a definire il valore degli oggetti poiché bisogna verificarne la qualità; infatti "una parete stuccata da Michelangelo metterebbe in ombra qualsiasi superficie di granito lucidato". A. Loos, Die Baumaterialen, ora in Loos Ùber Architektur 1995, p.34 (vedi la nota 14).
24 Ibidem.
25 Loos Ùber Architektur 1995, pp. 44-49; Semper (1860) 1878, pp. 213-216.
26 La colpa non è neppure scaricata sugli architetti "costretti a prostituire la propria arte al gusto comune", come aveva dovuto fare Ferstel, che aveva inchiodato al suo edificio dell'università intere parti di facciata in calcestruzzo.
27 A. Loos, Die Baumaterialen, cit.
28 Vedi a questo proposito A. Loos, Die Plumber, in "Neue Freie Presse", 17 luglio 1898, ripubblicato in Loos Ins Leere gesprochen (1921) , pp. 101-107; A. Loos, Buchdrucker, in "Neue Freie Presse", 23 ottobre 1898, ripubblicato in Loos Ins Leere gesprochen (1921) pp.165-168.
29 Un solo progetto di interni precede la vasta pubblicazione di scritti del 1898; si tratta della sartoria Ebenstein, in parte modificata. Su questo progetto vedi Rukschcio, Schachel (1982) 1987, pp. 43, 410-411.
30 Sul primo negozio di moda Goldman & Salatsch vedi ivi, pp. 412-416; Kristan 2001, pp. 22-27.
31 "Dekorativc Kunst", 4, 1899, p. 193. Nel suo testo Architektur, del 1910, Loos riteneva che questo fosse uno dei suoi lavori più significativi sino ad allora ma che la pubblicazione fosse dovuta a un caso. A. Loos, Ùber Architektur, in "Der Sturm", 15 dicembre 1910, ripubblicato in Loos Ùber Architektur 1995, pp. 75-86; cfr. in particolare p. 80. Il Cafè Musem risulta tuttavia pubblicato in diverse riviste poco dopo la conclusione dei lavori. Cfr. Rukschcio, Schachel (1982) 1987, pp. 419- 420.
32 La villa, studiata approfonditamente da Vera Behalova, è frutto del rimodel lamento di un edificio preesistente. Nella forma finale essa è costituita da un nucleo principale di 11,5 per 14,5 metri con quattro piani fuori terra. Loos, consultato dallo psicologo Theodor Beer nel 1903, avrebbe seguito il cantiere per circa due anni lasciando i lavori al rustico del secondo piano. Sulla villa vedi: Be'halova 1970b; Be'halova 1974; Gravagnuolo 1981, pp. 106-112; Rukschcio, Schachel (1982) 1987, pp. 425-29; Be-'hai 1989.
33 Lo schizzo permette di comprendere che l'architetto prevedeva sin dall'inizio di utilizzare grandi lastre di pietra e che queste avrebbero dovuto sostenere una fascia neutra. Rukschcio, Schachel (1982) 1987, p.427,fig.425.
34 Loos considerava la libreria come parte integrante dell'architettura in quanto fissa. L'idea che l'architetto dovesse limitarsi alla progettazione delle parti che non si potevano spostare è legata alle considerazioni espresse in Die alte und die neue Richtung in der Baukunst (1898), poi riprese con maggior chiarezza nel 1924, in Die Einrichtung der modernen Wohnung (Die Abschaffung der Mòbel), cit.,pp. 173-175.
35 All'estemo colonne libere doriche compaiono in più parti. Per alcune di queste sono documentate richieste dirette del committente attraverso schizzi. Cfr. Rukschcio, Schachel (1982) 1987,p.93, tìg. 89.
36 Questo rappresenta l'ultima parte della fabbrica attribuibile con certezza a Loos. Be''halova 1970b,pp. 18-19.
37 Vedi in particolare A. Loos, Die alte und die neue Richtung in der Bau-kunst, cit.
38 Uno dei più significativi tra questi è l'appartamento di Arthur e Leonie Friedmann (1906-07) e soprattutto quello di Wilhelm e Martha Hirsch (1907-08), per l'uso di quattro pilastri liberi che dividono la sala da pranzo da quella per la musica; Rukschcio, Schachel (1982) 1987, pp. 443-446, 449-451. Il ruolo del marmo appare definitivamente celebrato all'esterno nel negozio di piume ornamentali Sigmund Steiner, il "primo" negozio in marmo di Vienna.
39 Sulla casa di Rudolf Kraus vedi Rukschcio, Schachel (1982) 1987, pp. 452-453.
40 La medesima soluzione si riscontra nell'atrio principale e nel vano d'accesso agli appartamenti dell'edificio Goldman & Salatsch in Michaelerplatz.
41 Sul fronte la proporzione tra la base e l'altezza delle colonne, di circa 1 a 7, è abbastanza vicina agli esempi antichi (1/7,5-1/8), così come l'altezza della trabeazione, pari a 1/4 del fusto, è del tutto plausibile. Ciò che apparirebbe improbabile è invece il rapporto di 1/2,5 tra il fusto delle colonne laterali e la trabeazione principale.
42 Per esempio le basi bronzee delle colonne principali dell'edificio Goldman & Salatsch sono senza plinto, con la scozia poco profonda e sviluppata in altezza e il toro superiore molto piccolo rispetto alla misura dell'intera base. Questa soluzione è probabilmente determinata dall'esigenza di invadere il meno possibile lo spazio dell'atrio porticato.
43 Rukschcio, Schachel (1982) 1987, p. 148. La rarità e le difficoltà di reperire questo marmo da cave riaperte dagli inglesi dieci anni prima è sottolineata da Loos nella sua conferenza Mein JHaus am Michaelerplatz, Vienna, Il dicembre 1911, ripubblicata in Konfrontationen 1988, p. 65.
44 Vedi in particolare A. Loos, Die alte und die neue Richtung in der Bau-kunst, cit.
45 "La colonna non è un ornamento, ma un componente architettonico portante e io lotto affinchè non venga decorata. Che la casa possa stare in piedi anche senza di esse è solo affar mio. Io avrei potuto togliere dalle murature tutte le colonne ... Si potrebbe togliere al Partenone ogni seconda colonna senza che l'edificio crolli." A. Loos, Mein Haus am Michaelerplatz, cit., p. 62.
46 Ringrazio Fulvio Lenze per avermi insegnato a riconoscere i diversi tipi di taglio della pietra; per una ricognizione complessiva sulla presenza del marmo nella produzione di Loos vedi il suo saggio nel presente volume.
47 A questo proposito vedi il saggio di Fulvio Lenze nel presente volume.
48 Sulle vicende legate alla pubblicazione della conferenza vedi l'appendice Scritti e conferenze alla data 1908.
49 A. Loos, Die moderne Siediung, conferenza, Stoccarda, 12 novembre 1926, trad. it. in Loos Parole nel vuoto (1972), p. 339.