Conversazione con Ettore Sottsass
di Davide Vargas
Lo studio di Ettore Sottsass è molto accogliente.
Nella breve attesa ho parlato con Larry, un americano quarantenne che ha lasciato Chicago ed è venuto a vivere sul lago di Como.
Larry ha detto che la sua precedente esperienza di lavoro con Sottsass è stata straordinaria, che Sottsass era diventato per lui un secondo padre, aveva così un padre naturale e un padre spirituale, che era un uomo carico di energia, sempre più dei suoi collaboratori, che era molto disponibile e gentile, che in tanti anni non laveva 'mai visto angry, e che era un maestro capace di trasmettere questa carica ai suoi vicini, un eterno giovane, insomma.
Quando è uscito dal breve incontro con l'architetto, due o tre minuti in tutto, sulla porta con le dita ha sagomato le labbra in un sorriso e mi ha detto: "Adesso per un mese io sarò così".
"Larry è un pazzo" – mi ha detto Ettore Sottsass sornione – "gli americani sono così, fanno tutte le cose al contrario".
La freschezza del pensiero di Sottsass è nota, come la sua energia, ma c'è una vena malinconica che guizza ogni tanto dai suoi occhi, e ti arriva come una carezza.
Sarà proprio lì il suo segreto.
Cortesia Studio Sottsass
Spesso tu hai espresso un'idea tragica dell'esistenza.
Come sta il tuo spirito, come stanno i tuoi pensieri? Come ti prendi cura di te?
Intanto, come sai, ho 85 anni, quindi lo spirito di adesso è molto diverso da quello che potevo avere anche dieci anni fa. A una certa età la domanda che ricorre più frequentemente è perché si è fatto tutto il casino che si è fatto; da un lato si continua a pensare a una specie di consuntivo, e dall'altro non si fanno grandi programmi per il futuro, e infine si sente molto di più un senso di inutilità dell'esistenza, si comincia a capire che tutto quello che si è fatto durante la vita è stato una specie di alibi per sopravvivere più che per vivere, è un po' complicato.
Come mi prendo cura di me? Intanto vivo con Barbara Radice che mi cura dalla mattina alla sera come se fossi un bambino, cucinando cose molto buone e molto sane, poi facendomi fare dei check almeno due tre volte all'anno e poi mi curo soprattutto non pensando alle malattie.
In generale io ho un atteggiamento per il quale non cerco di cambiare la situazione o le situazioni ma cerco di cambiare me stesso in rapporto alle situazioni.
In realtà mi prendo quasi tutte le responsabilità della mia stessa vita.
Penso che questo sia anche un atteggiamento salutare, perché così tutto quello che mi succede lo provoco e non mi lascio troppo influenzare dagli eventi esterni. Non troppo, insomma.
Ma come dico, sono cose molto difficili da raccontare, queste.
Cortesia Studio Sottsass
L'intento di queste interviste si è precisato in corso d'opera, vale a dire sollecitare la testimonianza di un'aderenza tra un modo di essere e un modo di fare, un'etica insomma.
Tu pensi che ne valga la pena, che si può incidere sulla realtà?
Penso che si possa incidere sulla realtà, ma senza pensare di dover incidere sulla realtà, facendo quello che si è capace di fare, o quello che si pensa di fare, o si ha voglia di fare, ma senza dare uno scopo politico o pratico di nessun genere.
Come ho già detto altre volte, è come fare l'amore senza la necessità di fare figli.
La cosiddetta realtà è imprendibile, e poi ha una tale dinamica che una persona da sola non riesce a starci dietro.
Uno apre i giornali ogni giorno e capisce che non ha niente a che fare con tutto quello che succede, e che non ha mai avuto niente a che fare. Quindi questa idea che si possa incidere la consegno a quello che faccio.
Allo stesso modo nei riguardi del denaro: uno può disegnare qualcosa pensando a quanto guadagnerà, oppure può disegnarla pensando che la sta disegnando e basta, così uno può percorrere la vita con un atteggiamento etico verso se stesso e verso gli altri, senza che diventi professione politica o altro.
Una volta, molti anni fa, ho fatto una piccola ceramica e l'ho data in mano alla mia ragazza, lei si è messa a piangere e mi ha baciato: in questo modo ho inciso sul mondo circostante.
Quando abbiamo fatto Memphis, quella grande confusione, non pensavamo né di vendere né di indicare una strada per gli altri, l'abbiamo fatta e basta, quello che è successo è successo.
Alcuni poi hanno scritto che abbiamo rovinato i giovani, ma i giovani si sono rovinati da soli se si sono rovinati.
Casa in Toscana
Cortesia Studio Sottsass
Si deve essere cani sciolti, come dice Umberto Riva, per fare questo?
No, bisogna essere persone gentili, pazienti ed avere molta stima degli altri.
Il modo di dire "cane sciolto" ha in sé stessa una certa idea di violenza, non mi sento un cane sciolto, mi sento un uomo che aveva un padre, una madre, ha avuto una moglie, fidanzate, tutto meno che un cane sciolto
Che rapporto hai con il Sud? Che ne pensi?
Il sud è il posto che più mi ha emozionato, soprattutto perché è un posto che ha sofferto molto, da sempre, e quindi ha sviluppato un tipo di atteggiamento molto tenero; forse non è il sud che l'ha inventata, ma considera la vita come una commedia dell'arte, e quindi non è aggressivo. Certamente ci sono stati periodi di colonialismo, ma quando parliamo del sud parliamo della gente del sud, delle loro case, delle loro donne, del modo di cantare, di vivere, di mangiare.
Ho una piccola casa a Filicudi dove vado tutte le estati e dove lavoro.
Tutti i lavori più carini che ho fatto, non avrei potuto farli in un'altra solitudine, forse in un'isola del Pacifico ma non certamente dell'Atlantico.
E poi ho per il sud quella speciale nostalgia perché io sono un uomo nordico, e tutti i nordici vengono volentieri al sud.
Questo sud per me è sempre fonte di grande fascino, di grandi emozioni; eravamo qualche tempo fa a Siracusa, era pieno di fantasmi greci che gironzolavano lì, fantasmi di antiche genti come ad Amalfi, nella stessa Napoli, in tutto il sud c'è questa umanità che continua. Certo oggi anche l'umanità del sud è in pericolo, mi sembra.
Poi mi interessa molto l'architettura mediterranea in generale, che è molto modesta, molto attaccata alla vita quotidiana, alle fatiche, mi piacciono i muri, le porte, l'uso delle stanze…mi interessa molto la luce di Filicudi.
Mia moglie poi conosce a memoria tutte le canzoni napoletane, mi fa una testa così, lei è di Como.
Casa in Toscana
Cortesia Studio Sottsass
Mi ha colpito molto quello che hai detto della leggerezza e del fascino del muro...
Anche questo ha a che fare con il sud, lì ritrovo questo peso della casa che è il peso del suo rituale.
Mi emoziono sempre molto quando entro in contatto con i pesi del mondo.
I tuoi disegni esposti alla Biennale si distinguono nel panorama del virtuale, che a volte risulta imbarazzante per uniformità.
Che pensi dell'architettura di oggi? Non c'è un grave rischio di uniformità?
Distinguo tra edilizia e architettura. Nella Biennale secondo me il novanta per cento era edilizia; se vuoi costruire un grattacielo, fai presto, non c'è problema, son tutti uguali, più o meno.
Ma naturalmente sono disegnati come metafora della società contemporanea e del destino di questa società industrializzata.
Allora potrei anche pensare che tutti questi architetti, con le loro costruzioni siano complici degli orrori della contemporaneità. La maggior parte delle architetture che ho visto lì sono precise metafore del potere che ogni giorno produce un certo tipo di cultura.
Come hai visto, le casette in Toscana sono per la gente, non sono edifici per la banca o per le grandi corporations o per duemila impiegati.
Siamo abbastanza in pochi che hanno capito questo tema, che vedono l'architettura come metafora di uno stato, chiamiamolo pure politico – non inteso come professione politica ma come stato antropologico, stato della cultura in generale.
Questa è la mia posizione e devo dire che mi sento molto solo e faccio fatica anche a progettare.
Certamente chi mi lascia fare qualcosa è sempre gente molto ricca, perché i poveri non vengono da me, ma non vanno da nessuno, i poveri ricevono quello che il potere gli da come abitazione, come distacco dal centro delle città.
Ho anche questo problema: parlo di case per la gente, però poi queste persone sono miliardari.
Tuttavia questi miliardari sono persone molto intellettualizzate, galleristi, collezionisti o altro, quindi in qualche maniera perdono a me stesso quello che sto facendo, parlo e faccio per gente perbene.
In definitiva sento che il mondo va da una parte e io vado dall'altra.
Non so se è bene o male, ma è così.
Casa in Toscana
Cortesia Studio Sottsass
Hai detto che siete in pochi. Con chi ti senti in compagnia?
Non conosco molto i nomi… Moneo in Spagna, anche Siza in un certo senso, in Spagna ci sono giovani architetti bravi, ho anche molta stima per Isozaki, ha disegnato sempre cose con una certa grazia e un certo senso della proporzione per quello che stava facendo rispetto alla società.
Ero molto amico e sono molto amico di Frank Gehry, però non sono d'accordo con quello che fa; in quel senso, se decidi che l'architettura è quello, lui è il massimo; tra i giovani italiani poi c'è Pellegrini che è una persona seria.
Ad ogni modo sono talmente solitario, poi non guardo quasi mai le riviste, ma sono sicuro che ci sono architetti bravi, anche nel meridione.
Tu sei stato sposato con Fernanda Pivano. Che influenza ha avuto sul tuo lavoro la letteratura in particolare, e gli altri linguaggi culturali in genere?
Che cosa leggi, oggi?
Ho letto moltissimo durante la vita, ma adesso leggo molto poco.
Attraverso Fernanda ho avuto rapporto con una certa letteratura: la letteratura americana, non voglio dire di rivolta ma di distacco, anzi di denuncia.
E quindi mi sono trovato di colpo con tutto questo pacchetto di persone che ho conosciuto, ho frequentato, con cui ho parlato, come una specie di conferma di tutto quello che da ragazzo in maniera molto vaga già potevo immaginare.
La stessa cosa mi è successa quando sono andato in India, ho voluto andare in India, perché mi sembrava che lì potevo trovare una conferma o dei corollari a quello che mi urgeva dentro.
Ho letto l'estetica di Croce più volte al liceo e mi incazzavo, evidentemente c'era in me un bisogno di annusare la contemporaneità o la necessità della contemporaneità. Tornando agli americani, questo modo di scrivere e di essere soprattutto, perché pagavano con la vita quello che pensavano, è stato per me di grande consolazione e di grande conforto e anche di insegnamento.
Poteva esistere questo pensiero "altro" e diventare realtà.
Poi non sono diventato uno di loro, mettiamola così, un po' perché non c'è l'America delle periferie qui da noi, e quindi non c'è proprio la possibilità di essere così, un po' per paura, poiché ci vuole molto coraggio a vivere come vivevano quei ragazzi lì, bisogna abbandonare qualsiasi supporto borghese, dai vestiti al mangiare, al dormire.
Casa in Toscana
Cortesia Studio Sottsass
Tu hai viaggiato molto…
I viaggi sono stati sempre una ricerca di conferme di zone del pensiero, come quando vado a Napoli, lì trovo una conferma, mi sento bene, mi dilato, sto tranquillo.
Così in India. E' talmente vasta questa cultura indiana, questa civiltà, questo modo di essere, questo teatro indiano e uno dice : ci può essere un altro modo, ci può essere un mondo di colori, qui non c'è, lì c'è, quindi ci può essere; ci può essere, mettiamo, un altro modo di trattare i fiori, certo qui si mettono in un vaso e lì si buttano per terra o nel fiume, o un altro modo di morire, un altro modo di nascere, non so bene, ma ci possono essere altri modi di vivere.
E così ti senti in un mondo più largo, nel quale puoi viaggiare meglio, trovi altri problemi. Prendi ad esempio questa idea che qualsiasi oggetto che si disegna può essere uno strumento per la vita e quasi per un rituale esistenziale: lì poiché non hanno niente - non hanno forchette, non hanno sedie, non hanno piatti, mangiano dentro delle foglie, mangiano con le mani, siedono per terra e così via, quello che hanno è una ciotola per tenere l'acqua o la zuppa – ecco poiché non hanno niente, questa ciotola è l'esistenza stessa, la possibilità di esistere.
Dalla preistoria fino all'arrivo del consumismo, gli oggetti erano strumenti di vari tipi di rituali esistenziali, dalla freccia alla spada…si vede da come erano disegnati o trattati, bene lì c'è una conferma che un'intera civiltà è esistita considerando con molta cura e con molta concentrazione il disegno e la presenza degli oggetti, pochi ma importanti. Noi siamo agli antipodi, va bene, non si ferma niente, ma dentro una nuova cultura si possono esaminare nuovi atteggiamenti, non è detto che si debba accettare tutto.
Per lo meno il diritto di discutere esiste ancora.
Che cosa è l'instabilità per te? Nelle tue opere si trovano spesso cubi in bilico, forme poggiate di spigolo… come la controlli, come ci stai di fronte?
Prima ti dicevo che diventando vecchio questa idea della instabilità è sempre più violenta.
L'instabilità è l'accettazione della non verità, la non esistenza di una verità, l'abitudine, ad esempio, alla quale mi sto abituando da anni, a non giudicare o a giudicare molto da lontano, ma soprattutto l'idea che tutto si distrugge, che tutto si costruisce ma si sa già che si distrugge.
Tu vivi ma sai già che puoi anche morire, non so bene, c'è sempre questo duplice pensiero che porta a immaginare che tutto è instabile; non c'è niente di definitivo, neanche l'acciaio inossidabile, niente niente niente niente, la vita è instabilità, e io tengo conto di questo nel disegnare.
Quando parlo di modestia, di calma, di pazienza, dietro c'è sempre l'idea che non sei uno capace di toccare la verità, mai.
Che rapporto instauri con i tuoi collaboratori, che sono tutti giovani?
Ci sono giovani e giovani, per fortuna in generale i giovani che gironzolano qua sono molto carini e molto simpatici; abbiamo più di che altro un rapporto di amicizia.
Stanno qua, lavorano con me per tre o quattro anni e poi nella maggior parte dei casi vanno per conto loro, è naturale.
Mi aiutano molto, mi incoraggiano, quando vengono al mattino mi sorridono e mi dicono: ciao Ettore. E' già una bella fortuna.
Naturalmente in qualunque gruppo bisogna pensare a una forma di stato politico, ci sono tensioni, c'è quello che rompe, quell'altro che si mette a piangere, è un piccolo mondo in cui ognuno ha le proprie necessità, le proprie capacità, c'è qualcuno che è molto bravo a progettare, qualcuno che è più bravo a disegnare, qualcuno che lavora più in fretta.
Sono molto contento quando vengo qui e vedo questi ragazzi e anche quando c'è qualcuno che non funziona come dovrebbe non mi dispiace, così è la vita.
Nel complesso sento le voci giovani.
Poi adesso tutti sono fanatici del computer naturalmente e allora devo combattere perché non stiano lì ipnotizzati dallo schermo, poi certe volte li sgrido perché non leggono, però guarda, sono veramente una grande compagnia.
Che rapporto instauri con i tuoi committenti?
Di amicizia, sempre, nel senso che stiamo ore e ore a cena a chiacchierare, ci telefoniamo, ci vediamo, gli mostro gli schizzi. Il committente deve essere uno che conosci bene, e lui deve conoscere te. E' un colloquio, poi ho solo lavorato con committenti privati.
L'unica opera pubblica che ho fatto è la Malpensa, certe cose le ho anche sbagliate perché pensavo di avere un committente privato, pensavo di disegnare per la gente che aspetta di partire o che arriva, invece mi sono accorto che l'aeroporto contemporaneo praticamente è uno shopping center, la parte del passeggero è la meno importante, non interessa a nessuno cosa diventi il passeggero e quali siano i suoi problemi.
Le tue architetture sembrano disinteressarsi del contesto. Sembrano dei grandi oggetti solitari, è così?
Non del tutto ma può anche darsi.
Allora, prendiamo le case in Toscana che hai visto alla Biennale.
L'architettura popolare toscana è molto forte, è fatta di torri, castelli, quindi lì ho curato molto il rapporto con l'intorno.
Una delle prime case che ho fatto, nel Colorado per Wolf era nel nulla, avrei potuto disegnare l'architettura di Cortina d'Ampezzo lì…questa qui in Belgio sta in un posto di casette piccole, molto noiose, però è un luogo che mi interessa molto per i materiali, le tegole marroni, le piastrelle, inoltre usano molto la ceramica anche nelle loro case.
Anche qui ho lavorato per un miliardario.
Se viene uno e ti dice: "fammi una casa, tutt'intorno ci sono uccelli, e poi ho tre bambini, e poi c'è la galleria e quindi devo tenere in esposizione i quadri per i clienti", ti preoccupi di fargli una casa dove viva bene, i bambini li ho messi in una casetta separata, gli uccelli pure, poi lui è un po' megalomane e ha esagerato le dimensioni, però la casa quando tu viaggi quasi non la vedi, perché è dentro i boschi.
Anche la casa che ho disegnato per la sorella è dentro i boschi e quasi non si vede. Sono zone che non hanno una caratteristica precisa, a parte queste casette con il giardinetto davanti, non è come la Toscana o l'isola di Filicudi dove ho ricostruito un rudere così come era perché non avrei toccato niente.
D'altra parte io immagino che una casa per un miliardario deve essere un organismo molto sofisticato; se dovessi costruire per un povero sarebbe diverso.
Una volta quando eravamo agitati per i movimenti di architettura radicale o anti design, pensavo che avrei disegnato una casa per un operaio con la piscina, con la biblioteca, perché trovo che l'architettura per il popolo sia la cosa più orribile che si possa immaginare, così come è concepita oggi.
E' una forma di carità a gente che avrebbe bisogno di ben altro. Questa è una cosa che puoi pensare ma mai realizzare, ma questo agitarsi tra ricchi e poveri è il problema della società da sempre.
Sono molto ammirato di alcuni giovani architetti che ho visto qua e là, italiani, che invece hanno una grande cura del contesto, sarà che non ho mai avuto l'occasione di fare, metti, una biblioteca in un paese
Una volta hai detto: " Noi viviamo sotto una specie di tettoia, qui si recita la commedia umana. Non andiamo mai sopra la tettoia, dove c'è il cosmo" .
Come si fa ad andare sopra la tettoia?
Non si va.
Non so se conosci i precedenti della tettoia: un giorno d'inverno stavo mettendo una giacca di lana pesante e c'era un gattino che mi guardava e ho pensato: questo gatto non capisce cosa sto facendo, non sa niente né cosa è una giacca, né che c'è l'inverno, né cosa è il freddo, non sa niente, e non potrà mai sapere niente perché il suo cervello è strutturato in una maniera tale che al di là di certi confini non va, è inutile voler andare oltre.
Noi siamo nella stessa situazione, siamo sotto una tettoia e non riusciamo ad andare mai al di là.
Tutto quello che succede sta qui sotto, la tettoia è il nostro confine, c'è questo spazio dove riusciamo a pensare, ad agire, a mangiare, a consolarci.
Questa è la tettoia ed è ridicolo pensare di superarla; forse quelli che credono in Dio possono pensare di oltrepassarla.
Quelli che sono coscienti di non poter andare oltre, hanno detto: ci vuole la fede, ma la fede non è niente, sta anch'essa dentro la tettoia, infatti per avere la fede si deve essere uomini, ma se sei uomo non vai al di là della tettoia.
Non so, mi sembra un circolo.
Grazie per avere avuto la disponibilità di sottoporti ad un'ennesima intervista e di esserti mostrato come persona.
Nell'aeroporto di Linate, con l'aereo ritardato di quattro ore per lo sciopero, si avverte più di altre volte, tutto il disagio del passeggero trascurato dalle logiche progettuali a favore dei troppi punti vendita ammiccanti e ammorbanti, proprio come avviene nella città dove il dominio dell'immagine schiaccia i veri bisogni dell'uomo.
Ettore, con altri pochi, se ne fa carico.
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