Claudio Silvestrin: residenze
di Elena Franzoia
Quando, all’inizio degli anni ’90, le prime residenze di Claudio Silvestrin fanno la loro apparizione sulla scena dell’architettura, destano stupore.
All’epoca, infatti, la moda veicolata da riviste e mass-media è ancora quella, ridondante e un po’ kitsch, degli anni ’80, in cui lo status symbol della ricchezza e del potere si concretizza in case dal lusso esibito, caratterizzato da un horror vacui che satura lo spazio fino a renderlo illeggibile.
Analogamente, l’uso dell’oggetto antico - non più raffinatamente decontestualizzato come negli arredamenti di Scarpa o di Albini o polemicamente assente come negli "psichedelici" anni ’70 - diviene il pretesto per una ricerca mimetica falsamente tradizionale, mentre l’involucro murario ancora indugia su quelle forme postmoderne che riempiono le città di timpani e archetti, svuotando di significato quella stessa Storia a cui sembrano attingere.
Villa Neuendorf
Esterno
Villa Neuendorf
Interno
In questo contesto, Villa Neuendorf a Maiorca (1991, recente location dello spot per la Opel Zafira) e la House B in Provenza (1992) sembrano emergere dal nulla, per un immaginario collettivo che aveva dimenticato la lezione di austerità non solo, ad esempio, di Barragan e Fronzoni, ma anche - come opportunamente nota Franco Bertoni nel suo recente volume Architettura Minimalista - dell’architettura giapponese e cistercense.
House B
Scala
Caratterizzate da un rigore di segno che non ammette fronzoli o sbavature, impostate su contrasti assoluti spinti con audacia fino al limite estremo, le residenze di Silvestrin si rivelano debitrici di eredità figurative sfaccettate e trasversali, in cui riemerge da un lato la matrice mediterranea riletta in chiave razionalista, dall’altro l’astrattismo del segno e la fisicità della materia che presiede alle opere di Fontana o di Richard Serra.
Il risultato è quello di un’architettura rigorosa, controllata, che diventa solenne proprio in virtù della sua voluta ed estrema semplicità.
S’impone ad esempio, con Silvestrin, il concetto del "taglio" che interrompe la continuità di una partitura muraria spesso possente, pensata per esaltare la fisicità dei materiali naturali - pietra e intonaco - , e che differisce dalla "finestra a nastro" razionalista per quella duttilità che gli permette di diventare, secondo la posizione e l’orientamento, singolare accesso (come a Villa Neuendorf) o matrice del gioco tra luce e ombra (come alla Fondazione Sandretto), vetrina nel caso dei negozi di Armani o raffinato contenitore-espositore per Desmo, surrogato di maniglie e pomelli (come negli oggetti di design) o elegante piscina, come quando - ancora a Villa Neuendorf - rilegge la storia locale fino a raccogliere l’eredità araba dei S’Hort del Rei di Palma.
L’ornamento, così come la presenza degli oggetti, si riduce, quindi, al minimo.
Le residenze di Silvestrin diventano presto icone di un nuovo modo di abitare, proprio di una società che non chiede più alle proprie abitazioni di esprimere ricchezza e aggressività, ma semmai di proteggere - con una sensibilità quasi orientale – l’ombra e la calma, la meditazione e il riposo.
Questo concetto "zen" dell’abitare domestico appare ancora più evidente nelle realizzazioni recenti dell’architetto.
Barker-Mill Apartment
Interno
Canal Building
Interno
Come il Barker- Mill Apartment (1993) e il Canal Building (2000) di Londra, l’Apartment Z di Venezia (anch’esso del 2000) riprende della villa maiorchina l’apertura verso il contesto, ma ne "vira" con coerenza l’accesa palette mediterranea per un linguaggio formale più sobrio ed astratto, privilegiando toni chiari e neutri che richiamano quella pietra d’Istria che conferisce prestigio e nobiltà alle architetture auliche della città lagunare. I rigorosi piani murari, poi, formano suggestive quinte che inquadrano ampie vedute urbane come un palcoscenico appoggiato sull’acqua o un "telerio" vivo e continuamente cangiante, reso ancora più struggente dalla mutevolezza della luce e delle condizioni atmosferiche.
House D
Esterno
House D
Interno
Analogamente, la House D di Dublino esalta, con la scultorea longitudinalità delle sue tre fasce sovrapposte, il maestoso paesaggio della scogliera su cui sorge, mentre nelle gradazioni della luce e della palette bianco/beige- che ritornano anche nel milanese Apartment G- emerge quell’ inesausta ricerca di uno spazio armonioso e rarefatto, grazie alla quale, come afferma lo stesso Silvestrin, "con il minimo numero di oggetti, di materiali, di figure, di linee, di colori, di segni, l’invisibilità dello spazio quasi svanisce: lo spazio diventa, almeno a livello intuitivo, visibile".
Apartment G
Interno