Conversazione con Tobia Scarpa
A cura di Ivana Riggi
Il mondo di oggi è un gran caos che riporta allegoricamente alla mente il film “Prova d'orchestra” di Fellini. C'è scarsezza di afflato: ognuno suona il suo strumento, spesso senza accompagnarlo con gli altri. A risentirne, naturalmente, è anche il panorama contemporaneo dell'architettura e del design in cui, a mio giudizio, diventa sempre più difficile ed impegnativo comunicare e raccordarsi.
Converseremo con l'architetto Tobia Scarpa; curiosi ed attenti, ascoltandolo, ricordando la concretezza del suo lavoro, schivo ai “fili di fumo”, cercheremo di riflettere per poi, magari, tentare nel nostro piccolo di accordare una musica in scala maggiore…
Architetto, in che modo e perché inizia la sua carriera?
La fame.
Era il dopoguerra, io ho cominciato a lavorare nel 1956-57. Erano anni in cui non
c'era benessere: le nuove generazioni che si affacciavano, pur avendo il
desiderio di concretizzare il mondo a propria immagine, mostravano molta
titubanza su quali strumenti potere usare. Soprattutto nell'area veneziana non
esistevano fabbriche, attività: la guerra aveva assopito tutto. C'erano delle
industrie ma erano quelle chimiche, di natura diversa e per un architetto di
allora la plastica non esisteva. La progettazione verteva ancora su materiali
antichi; c'era la preoccupazione di non potere fare, di non trovare un posto
che ti potesse accettare. In questo senso ciò che mi ha spinto a lavorare era
la fame.
Era una motivazione molto forte, è possibile che manchi a molti giovani contemporanei?
I giovani contemporanei hanno una visione completamente diversa con altre problematiche e vedranno il mondo con prospettive dissimili dalle nostre. Io compirò
settantacinque anni alla fine di quest'anno, penso che sia quasi un secolo e un
secolo fa tanta cosa! É sempre la trasformazione quella a cui noi assistiamo;
una trasformazione di comportamenti… Sono reduce da un viaggio in Africa e lì
sono tutti con il telefonino: è impressionante che nella costa del Nord Africa
tutti lo abbiano! Ce lo hanno, oramai, come strumento radicato, come un'
appendice. Per noi il telefonino è qualcosa di recente mentre per loro si è
connaturato in maniera rapidissima, come per i giovani da noi. Probabilmente
non sanno nemmeno da quando tempo sia venuto fuori e questo fa la differenza!
Come nasce la sintonia con le aziende con cui lavora o ha lavorato? Sono stati
rapporti maturati nel tempo, istantanei o, magari, costruiti sul nascere di
entrambi?
Ciò che mi muove è la speranza di realizzare un'azienda illuminata, colta, capace di un pensiero rivolto al futuro. L'unico industriale che conosco è stato Adriano Olivetti, a voltarsi per guardare indietro: fallimento su tutta la linea.
Beh! È una risposta dura!
In verità è così. La forma, la mentalità, l'atteggiamento degli industriali che ho
conosciuto io erano un prodotto che aveva avuto origine nell'artigianato; erano
persone che sapevano e avevano in mano un mestiere e non una visione. Quindi la
prima cosa che a loro interessava era il guadagno, il quanto e subito. Era
tutto diverso da come si sognava: noi siamo degli intellettuali e quindi con
poca esperienza nella prassi del mondo della contrattazione e della gestione
dei prodotti sul mercato. Ho trovato una grande intelligenza, una grande
sensibilità nella famiglia Benetton però non è nel mondo del design nella
maniera più precisa; sono degli industriali che hanno lavorato nel settore della
moda. Lo hanno fatto con molta attenzione, con molta capacità di visione;
adesso che sono trascorsi molti anni hanno anche il desiderio di rappresentare
questo loro successo in maniera sostanziale attraverso le architetture. Forse
sono state le buone prove che ho avuto occasione di offrire io a loro a farli
convinti che l'architettura è un grande strumento di comunicazione “nel tempo”.
Cito alcuni passi delle ”affinità elettive” di Goethe:
« (…) L'architetto, lo scultore hanno tutto l'interesse che l'uomo si
attenda da loro, dalla loro arte, dalla loro mano un prolungamento della
propria esistenza; per questo vorrei monumenti ben ideati e ben fatti, che non
siano disseminati qua e là a caso, ma vengano eretti in un luogo in cui possano
durare. (…) In generale il problema è quello dell'invenzione e della sua giusta
esecuzione. (…) Schizzi per monumenti di ogni tipo ne ho raccolti molti e,
se verrà l'occasione, li potrò mostrare: ma il più bel monumento resta pur
sempre l'immagine stessa dell'uomo »
Li trova attuali? Che peso dà nel suo percorso progettuale alla
“immagine stessa del'uomo”?
Ho sempre pensato che ogni azione che realizza un manufatto destinato a durare nel tempo diventi di per se stesso immagine del suo creatore.
L'architettura o la moda del nostro tempo è il perfetto ritratto di chi siamo.
Chi siamo?
Veda, lei ha inserito una cosa molto particolare che è quella che fluisce dentro le cose e che è quella dell'innamoramento.
Tutti gli artisti sono narcisisti, sono narcisi che si guardano nel fiume e poi alla
fine capitombolano mentre muoiono. Innegabilmente non bisogna essere narcisi,
d'altra parte la logica del narciso è la logica di chi si offre.
Anche se capita in un'epoca buia l'artista rappresenta l'intelligenza, che pur essendo sempre presente, non ha strumenti per rifulgere e potersi rappresentare.
I momenti migliori sono quelli di grande magia quelli in cui avvengono le grandi
trasformazioni.
Vediamo personaggi come Leonardo: non era l'unico che inventava le macchine, ma era
l'unico “artista” che inventava le macchine e quindi gli dava un qualche cosa
di più che allo specialista mancava. Ecco il narciso che viene fuori e che si
prodiga per l'invenzione affinchè sia straordinaria! L'elemento della
straordinarietà è la parte profonda del narciso che vuol farsi amare. È uno dei
modi di vedere la cosa, ma indubbiamente è uno dei modi che si lega anche al
lato della rappresentazione.
La società è anche lei narcisa e vuole rappresentarsi: quando è miserabile, stolta,
ignorante è allora che vuol farsi bella. Io posso dare solo informazioni in
negativo di questo tempo in cui vivo: pur cercando di ottenere risultati ed
avendo occasioni fortunate, quando mi guardo in giro trovo un elemento ostile a
quello che è il canto pieno, il canto a piena voce. Si deve invece cantare
modulati, bassi perché altrimenti si infrangono regole non scritte, non
condivise soprattutto.
C'è troppo egocentrismo?
Io direi che c'è troppo egoismo, una società come la nostra è come un grande formicaio in cui le formiche vorrebbero farsi riconoscere una per una e quindi c'è qualcosa che non funziona. Nella società del grande numero non si può essere più il singolo,
perché se si è tali si è in distonia con la struttura, questo produce, anche
sul piano della politica ad esempio, il fatto di non accettare delle regoli
comuni ma sempre delle opportunità. Questo causa un disagio non solamente
formale, ma di sostanza.
Come riesce a concentrare creatività e coerenza?
Un fiume è composto da un alveo e dal flusso dell'acqua. Similmente la fantasia e il
rigore procedono come il fiume, magari le regole che governano il percorso di
un progetto sono diverse da quelle che governano il fiume o di un corso d'acqua
ma l'immagine mi sembra corretta.
Mi sembra perfetta!
Noi siamo in questo flusso del fiume ( potrebbe essere anche il flusso del tempo) in cui tutti gli elementi che compongono l'acqua si muovono armoniosamente oppure,
invece, sono tormentati da velocità disordinate e discordanti e quindi sono
dissonanti nel loro muoversi…
Oggi esiste un confine netto tra artigianato ed industria o i ruoli si stanno frapponendo? Se sì, con che conseguenze?
La distinzione non ha basi veritiere oggi abbiamo artigiani con tecnologie evolutissime e industrie ancora nell'età della pietra.
Basta pensare che per fare una navetta che va nello spazio si realizza un solo
oggetto e che quello successivo è già evoluto rispetto a quello mandato prima…
C'è, però, tutta una scienza dietro, tutto un calcolo, una preparazione. Lo
stesso fa l'artigiano che produce secondo una conoscenza, una sapienza propria
che ha impiegato molto tempo della sua esistenza per apprendere e realizzare
l'oggetto, quasi sempre felicemente. L'industria pretende che l'oggetto sia
anonimo, cioè senza anima e lo produce automaticamente senza riflettere intorno
alla qualità. Questa non riflessione impedisce all'industria di reagire al
muoversi del tempo. Quando le cose cambiano l'industria non se ne rende conto.
L'esempio probante è questo: quando l'Italia è uscita dalla disfatta della guerra
e ha incominciato a ricostruirsi aveva le industrie più avanzate rispetto ai
paesi che avevano vinto ma che possedevano le industrie vecchie e che non si
erano rinnovate. È stato stupefacente il boom italiano ed ancora non era letto
nella chiave giusta.
Lo stesso vale per i paesi emergenti di oggi come l'India, la Cina, al di là del fatto che consumano l'energia in maniera scorretta ma questo non dipende solamente da
loro, hanno delle produzioni qualitativamente e potenzialmente al di sopra
delle nostre. Ecco queste sono le differenze.
Le pongo una domanda che sta sorgendo adesso, è più poetico il prodotto di
un artigiano o quello che esce fuori da una macchina?
La strutturazione dei meccanismi di veicolazione dei prodotti sul mercato che
danno origine all'immagine del design, del prodotto del disegno, devono avere
immancabilmente un timbro che è il progettista design che lo offre. Potrebbe
essere benissimo anche il progettista artigiano che lo dà, solamente che questi
ha un percorso di apprendimento diverso dal primo che spesso gli impedisce di
accedere correttamente all'informazione di sé. La conoscenza del fluire delle
informazioni tiene a margine l'artigiano, perché la cultura del mercato o,
diciamola più brutalmente, la cultura della moda è un qualcosa di mostruoso che
passa attraverso l'esercizio dei media: io faccio un qualcosa e la veicolo
prima attraverso l'informazione e poi attraverso la vendita. L'artigiano fa
fatica a compiere questo passo. Nel discorso della poeticità si può passare da
una che è vera ad una che è retorica: il designer che veicola la propria
attività attraverso i media fa della retorica e la dimostrazione è la
ripetitività dei suoi gesti; l'artigiano, che è rimasto indietro, non è capace
di dare una risposta ed è silenzioso. L'artigianalità è semplicemente, nel
percorso del tempo, un modo di un essere umano che parte dal presupposto di
conoscere profondamente i metodi e gli strumenti che si usano per ottenere un
risultato attraverso i quali riesco a dominare la capacità poetica. Nella
media attuale la capacità di dominare strumenti per esprimere poesia è limitata
dall'ignoranza.
Questo è quello che credo sia ragionevolmente vicino alla realtà.
Come vive il passaggio attraverso la modernità?
La modernità è già passata ora dobbiamo essere consci di cosa vogliamo dalla contemporaneità. Oggi tutto è presente, da qui la grande cacofonia.
Il moderno è finito nel 1500 e noi lo stiamo usando ancora in maniera pubblicistica diciamo: “la modernità”, “il moderno”… È una forma profondamente pubblicitaria di un
atteggiamento che corrispondeva alla volontà di trasformare il mondo da parte
di un pensiero: il Bauhaus, tutti i modernisti alla Le Corbusier, alla Gropius,
tutti i movimenti che si sono mossi. L' Italia non c'era naturalmente, perché
c'era il fascismo, l'unica cosa che ha espresso è stato il futurismo che è
stato poi trasformato in fascismo e si fa confusione perché esso non lo era
all'inizio ma lo diventò dopo.
Lei crede che in un processo progettuale occorrano obbligatoriamente tempi lunghi e di meditazione?
Dipende.
Per esempio se un problema mi è familiare o mi rappresenta mi diventa più facile
accondiscendere a delle soluzioni. Dico accondiscendere perché evidentemente
sono passaggi in cui si analizzano temi che possono essere risolti in più
maniere. Naturalmente il gusto, la cultura, la scelta emozionale fanno sì che
uno di questi venga premiato e una di queste soluzioni venga accolta divenendo
l'oggetto finale.
Ogni persona, ogni situazione è differente; l'intuizione che illumina tutto può essere
istantanea mentre in altre occasioni bisogna che ci sia una sedimentazione
lenta, sempre per arrivare a quel punto di semplicità del passaggio. Bisogna
che tutti gli elementi componenti la soluzione del problema siano pacificati fra
loro, altrimenti abbiamo distonie. Si possono risolvere i problemi
brutalizzando però non abbiamo poeticità. La poetica nasce dall'armonia.
Mi racconterebbe qualche esperienza progettuale che ha particolarmente catturato
la sua attenzione? Non mi riferisco solamente al design, ma anche
all'architettura e agli interventi di restauro.
Guardando indietro nel tempo la cosa che mi inorgogliva era quella di trovare sempre
appena entrato in un cantiere la situazione che abbisognava del mio intervento.
La trovo una risposta onesta!
Ero molto orgoglioso di conoscere il mio mestiere, perché io l'ho imparato da bambino. Le cose si devono imparare da bambini non da grandi, quando si va all'università è
troppo tardi. Il mestiere del vetraio, ad esempio, lo imparavano i bambini a
sei, sette anni: andavano a servire tirando su il pallino di vetro o rompendo
dentro il contenitore i vetri che dopo venivano riutilizzati nelle fusioni
successive. Queste cose che sono del passato e che danno esempi folgoranti di eleganza
sono date da gente che, soffrendo la fatica del quotidiano, aveva anche il
merito di presentarsi con umiltà.
Come spiegherebbe ad un bambino curioso che cos'è l'architettura?
È talmente tante cose che a un bambino curioso, veramente curioso, dovrei dedicare completamente tutto il mio tempo. Diventerei, allora, il suo maestro e lui il mio discepolo. Non sarebbe più necessario tentare di spiegare cos'è l'architettura.
Insegnare una cosa ad una persona significa accompagnarla durante l'arco di esperienze che non possono essere le sue ma quelle di chi insegna. Costui deve essere così modesto
da sapere che sta aprendo il suo cuore ad un altro che potrebbe anche essere
libero di rifiutare. È molto difficile: perché significa donare se stesso; se
questo non avviene non è un insegnamento ma un' applicazione di informazioni
che è diverso!
Quanto esiste di magico nella progettazione e cosa?
Tutto, anche i sogni.
Ma lei cosa sogna?
Uno dei miei sogni sarebbe quello di avere la mia piccola barca a fianco della mia casa oppure una barca sufficiente a contenermi per tutta la vita e andare alla deriva.
L'immagine dell'acqua è presente sempre…
Beh, sono nato a Venezia, amo il mare, amo questa solitudine solare oppure notturna del
mare. L'acqua è un senso di vitalità sommessa, grandissima, è bella!
Regalerebbe ad un amico architetto delle cose che per lei sono importanti (anche in senso allegorico…), se sì quali? In questo mestiere che rilievo si deve dare alla
“generosità”?
a generosità è la cosa più importante nelle sue innumerevoli fattezze.
Però non ha risposto alla prima domanda…
Regalerei qualsiasi cosa, tutto. Potrei farlo anche con una persona che conosco da poco, mi spoglierei delle cose che desidero di più o che amo di più. In questo modo
do vita all'oggetto, do vita al gesto. Molto spesso rimpiango di averlo fatto,
però alla fine resto soddisfatto lo stesso.
È una memoria che mi sta affiorando adesso: qualche tempo fa ho ascoltato
un'intervista all'attrice Franca Valeri. Mi ha colpito molto un'affermazione
in cui dichiarava che ai suoi tempi le persone più grandi erano molto più
generose con i più giovani. Lei concorda con questa testimonianza, erano più
prodighi?
Non sono in grado di andare troppo indietro nel tempo, posso tornare al tempo della guerra e devo dire che il rapporto fra le persone era molto più sollecito nei bisogni
dell'altro. C'era il riconoscimento di un obbligo in cui si dava soddisfazione
ai bisogni primari. Era facile salvare un uomo.
Esiste una racconto bellissimo della storia dei ritorni dei soldati che scappavano dalla Russia: ad un certo momento della narrazione un soldato si rifugia in un
casolare, entra dentro e trova tutti i soldati russi là ed è disperato,
affamato, mezzo morto di stanchezza. La padrona di casa gli dà da mangiare, lo fa
dormire e l'indomani l'uomo va via senza che nessuno gli abbia fatto niente. Io
trovo questo un basamento sufficiente per potere costruire un universo umano di
valore: un riconoscimento dei bisogni dell'altro; non è generosità.
I ragazzi a cui insegna le trasferiscono qualcosa? Che differenze nota con la sua
generazione scolastica?
I giovani per loro natura sono generosi e questo è bellissimo. L'insegnamento nella scuola, università, è molto difficile, il tempo è poco e le cose che si dovrebbero
insegnare abbisognano di molto più tempo. Molto.
La scuola è qualcosa di strano, così come è attualmente, è come un grande formaggio dove tutti i topi, i professori, vanno a mangiare facendo buchi profondi. Gli
studenti purtroppo coabitano con questi sorci… Il formaggio apparentemente
dovrebbe essere la conoscenza in realtà è la scusa per appropriarsi di aree, di
situazioni. Non so cosa dire, io trovo questi ragazzi meravigliosi quando
arrivano, poi si appoggiano al sistema e si perdono e diventano uguali ai
professori. I giovani sono ancora puliti e sono straordinari, la difficoltà è
mantenersi tali durante l'arco della propria vita. Non importa quale sia la
ragione che ti salva: puoi essere stupido, impotente, incapace, puoi essere
intelligentissimo e fare delle scelte opportune, puoi essere un santo… tutte
queste cose sono indifferenti, l'importante è il risultato.
Concludendo, identifica il futuro con il termine “problema” o “soluzione”?
A sentire Chatwin quando racconta le storie degli aborigeni ne Le vie dei canti sembrerebbe che il futuro sia la parte mancante di una pista.
C'è questo messaggio: gli aborigeni australiani dividono la vita di un uomo, la
considerano come se fosse un passaggio, una traccia lasciata e il cacciatore
che segue quella traccia sente ancora il profumo dell'uomo che è passato. Si
utilizza il termine profumo in senso positivo per indicare la memoria che
formula un desiderio di conoscere, un desiderio di appartenere insieme a una
certa situazione proprio perché la qualità che emana da questa traccia è una
cosa che ti fa star bene. È come entrare in una casa in cui si è felici e
sentire il profumo del buon cibo, della buona manutenzione della casa pulita:
trovi il sorriso delle persone felici che vi abitano.
Avevo anticipato questa conversazione riflettendo sulla scarsezza di afflato; dialogando con Tobia Scarpa si è arrivati a toccare diverse corde fino ad arrivare alle Vie dei canti. Io credo che il profumo dell'uomo che è appena passato ci accompagnerà per parecchio tempo…
Note biografiche
Classe 1935, Tobia Scarpa si laurea alla Facoltà di Architettura di Venezia nel 1969. Lavora nel campo del design, dell'architettura, del restauro. Dal 2000 accompagna la
professione con l'insegnamento alla facoltà di disegno industriale ClaDIS di
Venezia.
A testimoniare le sue eccezionali capacità:
il Compasso d'oro ADI del 1970; il Compasso d'Oro, Segnalazione d'Onore ADI del 1979; il Resource Council Inc. del 1981; il Neocom merit Award del 1982 a Chicago;il Primer, Premio Nacional De Diseño Otorgado del 1987; l'Auszeichnung für hohe Design
Qualität del 1992 e l'IF Industrie Forum Design Hannover dello stesso anno. Molte
delle sue opere albergano nei musei più importanti del mondo; l'Istituto
Italiano di Cultura di Chicago gli ha dedicato nel 2004 un'importante
esposizione itinerante nelle più importanti città americane: Chicago, San
Francisco, Toronto, Los Angeles; Il Compasso d'oro ADI alla carriera nel 2008.
Lavora con le aziende B&B Italia, Cassina, Flos, Gavina (Knoll Internetional), Goppion, IB Office, Maxalto, Meritalia, San Lorenzo, Stildomus, Unifor, Veas, Cadel, Casas,Molteni.
È uno dei maggiori progettisti di tutta l'architettura industriale del gruppo Benetton.
Tra i progetti d'architettura ricordiamo:
fabbrica C&B Italia a Novedrate, casa Benetton a Paderno, casa Zamprogno a Treviso, casa Scarpa a Trevignano, Villa Fragiacomo a Trieste, casa Lorenzin ad Abano Terme, casa Molteni a Carimate, casa Meroni a Carimate, casa Tonolo a Ponzano, il complesso industriale della Benetton Group, lo stadio di atletica polifunzionale di
Lommel (Belgio), il Palazzo dello Sport di Salerno e la sede dell'Interporto di
Padova.
Tra le opere di restauro:
Barchessa Villa Lia a Treviso, Punto Sip a Treviso, Palazzo Del Monte a Reggio Emilia, complesso trecentesco a Treviso, i progetti per il restauro di Via Isola a Treviso e Villa Loredan a Volpago del Montello, Villa Guarnieri a Ponzano Veneto, la
Loggia dei Cavalieri a Treviso, i Palazzi Bonati e Brusati a Carpi, il Palazzo
Bomben-Caotorta a Treviso, le Gallerie dell'Accademia di Venezia e il Palazzo
del Mercato Vecchio a Verona, il Palazzo della Regione a Verona.