Alla GAM di Torino è in mostra la "preistoria" della modernità
Auguste Perret poeta del cemento armato
Proveniente dal Musée Malraux di Le Havre, la prima mostra monografica dedicata a un padre dimenticato della modernità. Un recupero critico dell’architetto che ha ispirato Mies van der Rohe e Le Corbusier: che non mancherà di far discutere
Pioniere del cemento armato e precorritore del movimento moderno, Auguste Perret (1874-1954) rappresenta un caso singolare nella storia dell’architettura del Novecento. Dopo mezzo secolo di rispettoso oblio, viene ricordato con una prima grande mostra monografica, dal titolo La poetica del cemento armato, ospitata alla GAM di Torino e diretta a Parigi.
Quando nel 1905 Perret fonda con i suoi fratelli quella che sarà destinata ad essere una delle agenzie di costruzioni più conosciute, la modernità è in incubazione. Il linguaggio architettonico usato da Perret, sia nel progettare chiese sia nel disegnare hangar e silos per parcheggi (veri edifici dei tempi moderni), riuscì ad applicare il razionalismo progettuale alla rudezza percettiva del cemento armato, offrendo a quest’ultimo un ruolo innovativo e autosufficiente sotto il profilo estetico. Perret è l’Eiffel del cemento armato.
Apprezzato anche per la sua capacità di abbattere i costi con una progettazione essenziale, dopo le prime costruzioni come il Casinò di Saint Malò (1899) e la Casa d’abitazione di Rue Franklin a Parigi (1903) Auguste Perret giunse alla piena affermazione del proprio pensiero con il Garage di Ponthieu (1906) e il Teatro di Champs Elysées (1910-13), architetture che rivoluzionavano i rapporti tra gli elementi, ridefinendo il concetto di ornamento e proiettando le strutture portanti sulle facciate degli edifici, in bella vista. Perret sostenne in tal modo il suo principio di "sincerità costruttiva", poi ripreso da Mies van der Rohe e Le Corbusier.
Esponente di spicco dell’architettura sacra moderna, con la Chiesa di Le Raincy (1922-23) dette una nuova lettura del rapporto tra l’uomo e la sfera del divino, trovandola riflessa nella sobria necessità del cemento armato disposto in campate ambiziose ed essenziali colonne portanti che costituirono il principale elemento ornamentale, se si escludono le straordinarie vetrate dell’artista e amico Maurice Denis. Molto modernisticamente Auguste Perret identificò la bellezza di una struttura con la sua funzione e definì l’architettura come "la preghiera di tutte la più efficace".
Quando nel 1925 giunse in Italia, Margherita Sarfatti allora impegnata a dar forma ad una cultura fascista, lo accolse come un mentore. Il suo linguaggio moderatamente espressivo, economico e massiccio, divenne stimolo e ideale per la retorica di regime. Alla strategia propagandistica di cui beneficiò, Auguste Perret rispose con l’impegno di stilare un resoconto su Mussolini costruttore. Il libro non venne mai pubblicato, per via dell’ambigua posizione dell’architetto francobelga nei confronti dell’architettura fascista che trova un riflesso nei progetti perrettiani, non realizzati, per il Palazzo della società delle Nazioni (1927) e il Palazzo dei Soviet (1931).
Ingegnere, ma anche primo teorico dell’architettura moderna francese e primo architetto di cui sia disponibile un archivio, questo cantore del cemento armato toccò il suo apice, come urbanista, nella ricostruzione di Le Havre. Rasa al suolo nel 1944, la città normanna divenne una grandiosa vetrina per la Francia del dopoguerra. Qui Perret fu chiamato a sperimentare la prefabbricazione in cemento armato, in quella che fu la sua opera più grande e più discussa. Il comfort delle abitazioni, indice di una visione molto moderna e democratica, non bastò a riequilibrare la monumentalità dello spazio pubblico ottenuta con la ripetizione di un modulo fisso che produsse un paesaggio urbano uniforme, duramente contestato dagli abitanti della città. Le Havre ancora oggi è una città fuori misura d’uomo, espressione di un’architettura regolatrice e ubbidiente alle sole leggi della geometria progettuale.
Malgrado tutto la città fu portata ad esempio urbanistico in Italia, paese dove alcuni nomi importanti contribuiscono oggi ad una riscoperta critica di Auguste Perret. Negli anni Cinquanta Bruno Zevi ed Ernesto N. Rogers plaudirono alle sue intuizioni, pur criticandone la chiusura su un "ordine del cemento armato" ormai sulla via del manierismo. Edifici come la Torre Velasca di Milano ed architetti come Giovanni Michelucci risentirono delle scoperte perrettiane pur non entrando nella sua scuola. La mostra, egregiamente curata da Michela Rosso e Sergio Pace, probabilmente riaprirà il dibattito sulla "preistoria" della modernità attraverso l’opera di un maestro senza allievi definito da Le Corbusier: "un approdo sicuro nel fluttuare continuo del XIX e del XX secolo".
Nicola Angerame