Lewis Mumford: la cultura delle città si ristampa
di Riccardo Dalisi
Perenne attualità di un concetto, la ripubblicazione del classico saggio "La cultura delle città", di Lewis Mumford, dà l’idea, agli speranzosi del futuro, di poter traghettare i contenuti centrali del libro oltre l’attuale "disgregante caos metropolitano" ed oltre le molteplici cangianti sfaccettature del senso stesso di architettura, di società, di cultura.
Mumford guarda all’essere (confronta Heidegger), alla permanenza, a ciò che dura e che si costituisce continuamente come tale.
In questa prospettiva, vale lo sperimentalismo, il costruttivismo, il movimento moderno come ideale totale: dal cucchiaio alla città.
L’architettura, come tutte le arti, è per essere e, quindi, è al fondamento della costituzione della società. In questo metro, si muove il testo intramontabile di Mumford. Guardando all’indietro, a partire dagli Egizi e dai Greci, ricostruiamo il senso dell'ascesa, caduta e ricostituzione periodica di una visione della vita e della società e, parallelamente, la proiezione di un proprio mondo ideale di essa attraverso l’architettura. Che l’architettura disegni gli empiti più alti che una cultura sappia esprimere, sembra evidente, mentre poesia e letteratura ne esprimono le dinamiche vicende e le drammatiche lotte. E non è da mescolare ciò che è in alto con ciò che, invece, si muove nei ritmi del reale. Ciò che è in alto (come si fa a dire che non vi siano valori, oggi?) è sostanza del reale ma, per comprendere meglio, è d’uopo distinguere.
Se i nostri occhi e tutto di noi stessi sono invasi dal clangore irruente della vita, dal dolore del mondo, dalle lacerazioni del territorio e della vita sociale, perdiamo di vista la dinamica che ci muove e che muoviamo.
Veduta di New York
Il mito di Icaro esprimeva l’ideale di vincere, Dedalus esprimeva il mito dell’intelligenza e dell’invenzione che vince la pesantezza della natura. Icaro esprimeva il fascino della libertà assoluta, della navigazione senza limiti.
È ancora questo mito ad alimentare lo sforzo di rompere ogni barriera (internet) e a volere l’uomo cittadino del mondo, sullo sfondo di un cosmo sempre più vicino e sempre più lontano?
È come se una forza, al di là di ogni ragionevolezza (cosa è ragionevole, oggi?) spinga in una direzione che solo la nostra sensibilità interiore sa percepire.
Il nuovo travolge il vecchio, diventato forma vuota; senza patimenti nulla si compie.
Siamo nella parte bassa della curva distruttiva.
La folla che sciama nei luoghi degli shopping e delle chiassose soste giovanili della città, cosa assorbe? Cosa sponsorizza l’assidua presenza e l’incondizionata adesione al mondo del mercato globale?
L’interrogativo è aperto ed in questo nuovo universo di Dei vestiti all’ultima moda, anche l’architettura vorrebbe sfilare ma vi si scorge una perdurante sua serietà, una compostezza, una forza che ricorda i moniti di Mumford: "l’architettura si accinge a traghettare oltre il clangore".