Architettura

Lonely living
di Davide Vargas

Negli spazi dell’Arsenale la Biennale di Architettura prefigura gli scenari architettonici "prossimi" a cui circa novanta architetti stanno lavorando in tutto il mondo attraverso progetti, plastici e simulazioni.
La mostra offre l’opportunità di interrogarsi sugli intenti dei progetti e realizzazioni in corso e su ciò che sarà il "prossimo" panorama urbano e territoriale dell’uomo.
Le opere esposte - generalizzando, si intende - interessano ma alla fine non sfuggono a generare un sottile disagio nello spettatore, sia perché molto è già stato visto su riviste e altro, sia perché quasi tutto è rappresentato con gli stessi strumenti grafici - i disegni di Ettore Sottsass figurano come un’eccezione.





Ma principalmente perché ci aspettano architetture costruite bene - soprattutto all’estero - alimentate da innovazioni e tecnologie avanzate, che non cedono mai all’improvvisazione, ma anche una linea comune di esperienze che in qualche caso è imbarazzante uniformità.




Se si confrontano le ultime architetture svizzere e giapponesi documentate da Casabella si ritrovano più coincidenze che singolarità: le distanze, e con esse le identità, appaiono annullate.

Nel catalogo di Next, Sebastiano Brandolini cita un gruppo di architetti italiani impegnati nella ricerca di una dimensione del fare concreta e attenta ai molteplici significati del progetto - gli spazi interni, le facciate, le connessioni esterne -, pronti a confrontarsi con le occasioni progettuali che le diverse realtà di appartenenza offrono, o che loro sono capaci di strappare, grandi o piccole non importa.
Questi architetti, ed altri, sono tutti presenti nell’evento parallelo Lonely living.

Su una piastra suddivisa in moduli di sei metri per sei, tra il Padiglione del libro di James Stirling e il modello del muro rosso di Jean Nouvel per Brembo a Bergamo, sono stati realizzati diciotto abitacoli , in pannelli di truciolare di legno ricomposto, nella forma dell’isolato, per un committente immaginario ma reale, organizzati per essere luoghi di vivibilità primaria.

"Se la metropoli è il "luogo delle mille solitudini", essa è anche il luogo attraversato da culture diverse, spesso marginali, dove convivono condizioni di vita estremamente differenziate. A questa ineludibilità dello "spazio vitale minimo" è dedicata questo padiglione collettivo: ai bisogni primari di categorie "deboli" (homeless, portatori di handicap, membri di etnie o confessioni minoritarie, bambini, anziani), ma anche ai bisogni più allargati dei nuovi modi di vivere una città e un territorio cangianti, che ci costringono ogni giorno a rivedere il concetto tradizionale di "comunità", questo è il tema che contiene l’intento di mettere al centro dell’architettura i bisogni dell’uomo, in un panorama dove invece l’architettura sotto il dominio dell’immagine trascura l’uomo e appare sempre più una forma pubblicitaria a scala più grande - Koolhaas dall’interno, De Carlo criticamente, e altri lo affermano lucidamente da tempo.

Il materiale tiene ancorati a scelte essenziali, non si presta a messe in scena e costituisce la norma comune.
L’assenza di disegni e immagini virtuali è coerente con l’intento di non concedere nulla alla suggestione dell’immagine.
Tuttavia Lonely living non sfugge del tutto al pericolo, soprattutto negli interventi dove il contenuto simbolico è più esplicito e dove prevalgono scelte solo figurative.

Rimane l’idea forte di comunicare una sana tensione pratica dell’architettura, di concentrare il pensiero progettuale contemporaneamente su interni, facciate e relazioni con l’intorno alla ricerca di un linguaggio riconoscibile e unitario, di andare oltre il singolo manufatto a favore di un organismo complesso - lo spazio a disposizione rende più facile percepire tutto l’insieme che non i singoli interventi, se non per scorci o in prospettiva -, di tenere a bada un carico di ideologia sociale che il tema porta dentro come una mina vagante.
Oltre l’evento specifico, sta qui, mi pare, il vero interesse.

In questa trama emergono gli accenti.
Individuato l’interno come spazio essenziale, si può dire archetipo, un gruppo di progettisti ha spostato l’attenzione maggiormente sulle relazioni esterne attraverso il disegno della pelle dell’edificio come nervo di comunicazione.
Lo studio Archea, Beniamino Servino per esempio, hanno lavorato in questa direzione.

Un altro gruppo ha messo al centro il significato di spazio interno e la vivibilità connessa. Su questa traccia si configurano interni articolati con scale e quote differenti.
Tra questi Elio Di Franco, Nicola Di Battista, Werner Tscholl

Trasversalmente l’uso del materiale determina altri raggruppamenti, da un lato il truciolare usato a pannelli, dall’altro come accatastato, dall’altro ancora come setti verticali.

Le relazioni esterne si sviluppano nei rimandi dei vari abitacoli e nel rapporto con gli alberi del luogo. Alcuni interventi si deformano per dare alloggio agli alberi, come nel vicino padiglione di Sverre Fehn.
Su questo tema il padiglione di Alfonso Cendron si segnala per la presenza di una suggestiva zona alta e aperta, accessibile da una scala stretta, che stabilisce un intenso rapporto con le chiome degli alberi intorno.

Rimane ancora questa materia povera, che si sfrangia, si taglia, si accatasta, si pianta verticale, questo colore bruno che richiama la stagione, che si rianima con le ombre che le architetture determinano e le foglie che vi si posano.

Infine, il confronto tra convivenze diverse determina un’ipotesi di forma urbana futura.
La cultura architettonica ha affrontato il tema dello spazio minimo, come seme generativo di sistemi di abitazione complessi.
Il problema dell’abitare è stato centrale nel Movimento Moderno, fino alle sperimentazioni cablate più moderne, fino alla attualità delle riflessioni sulle relazione con la densità della città e le aree dismesse e rigenerate.
A me sembra che il punto centrale di Lonely living non sia nella riproposizione dello studio di spazio minimo, già dibattuto e forse oggi inattuale, né nella ricerca di ipotesi di microcellule per scenari di emergenza, quanto nella comprensione delle molteplicità che innervano la società di oggi.
Nodo importante nel panorama multiculturale che si va delineando oggi, fenomeno da contrastare per le posizioni reazionarie, straordinaria fonte di nuove ricchezze culturali e di rotture di stagnanti automatismi per i più attenti.

Categorie deboli, ma anche nuovi stili di vita più o meno raffinati culturalmente - ci sono sulla piastra abitacoli per scrittori, per ambientalisti, per mistici -, chiedono il punto sui linguaggi di aderenza tra il modo di essere e i modi che li rappresentano, il modo di camminare, di vestirsi, di reagire, e principalmente di abitare.
Alla fine, un’etica.