Architettura

Rem Koolhaas - Delirious New York
di Riccardo Dalisi

È di attualità l’architettura radicale che Rem Koolhaas ha attraversato negli anni ‘70 (Delirious è del 1978). Una mostra organizzata dall’Institut d’Art Contemporain di Villeurbanne gira per l’Europa e, il 23 marzo 2001, si svolgerà un dibattito sul "Radicale" che vedrà tra i relatori Hans Hollein, Andrea Branzi, Adolfo Natalini, Franco Raggi, Gian Piero Frassinelli, Lara Vinca Masini, moderatore Francisco Jarauta.

Intanto esce, tradotto in italiano a cura di Marco Biraghi (Electa), Delirious New York.

C’è sempre un mito da inseguire, c’è sempre un’utopia da incarnare. È il libro di Rem Koolhaas Delirious New York a riportarci in quel clima incandescente del pensiero urbano ed architettonico che animava la ricerca del radical design (e dell’architettura radicale) degli anni ‘70, in Italia in special modo.

Seareminal Center, particolare del modello - Zeebrugge (Belgio), 1989

Seareminal Center, particolare del modello - Zeebrugge (Belgio), 1989

Per la cronaca, quel movimento che rigenerò il design a partire dall’Italia e si affiancò all’Italian Style, perseguì vari miti con la No Stop City e con la città sottoproletaria spontanea e con tutto ciò che è contrario alle regole. Perseguì con Koolhaas il mito della metropoli che era anch’esso fuori di ogni proporzione e di ogni buona condotta del pensiero e delle azioni. Lasciava vedere qualcosa che nella realtà palpitante di una grande città, della più affascinante delle città, New York, andava ben oltre ogni utopia urbanistica e si lasciava alle spalle il fascino stesso di una "ville radieuse". Otteneva qualcosa che era esprimibile con un altro termine più appropriato: "delirious", che ancora oggi affascina, colpisce.

Complesso residenziale "Nexus World" - Fukoka, Giappone, 1991

Complesso residenziale "Nexus World" - Fukoka, Giappone, 1991

L’autore ci voleva dire una realtà che il moderno aveva raggiunto come in un apice mai programmabile, eppure lasciata intravedere, realizzata forse e ben palpitante, con tutto ciò che una città oggi può far essere.

Ogni grande città oggi ha i suoi grattacieli, ma senza neppure sfiorare ciò che l’America ha realizzato. Il mito della scalata al cielo che aveva avuto un pallido antecedente nell’Italia medievale della gara delle torri (San Gimignano) e che non era una voglia di scalare le nubi.

Varie volte l’architettura ha sfidato le altezze, ha voluto meravigliare, ma qui siamo di fronte a qualcosa di inedito che Koolhaas ha voluto cogliere: il fascino sconcertante che si realizza al di là di ogni programmazione possibile.

Le Corbusier aveva commisurato New York alle sue utopie urbane e ne era uscito sconfitto, e ben al di là di Bodoakre City di Wright si poneva quella città.

Come a dire forse, nessun architetto è capace di pensare una città moderna che invece vien fuori da sé, per sua propria forza interna.

Maison à Bordeaux, vista esterna - Bordeaux, France, 1998

Maison à Bordeaux, vista esterna - Bordeaux, France, 1998

E quello che ne vien fuori è molto al di là di qualsiasi disegno. Il suo sapore è fondamentale e non è progettabile.

Il fascino è nella proporzione, nell’imprevedibile accostamento, nell’assurdità fatta realtà, e Koolhaas persegue tutto ciò nei suoi progetti. Con una sconcertante lucidità organizza salti e cadute. Vi è qualcosa di "delirante" nelle sue stesse realizzazioni. Si direbbe: è la realtà a farla da maestro, a patto però che la si sappia leggere.

Lo sforzo, la grande sfida è nello sguardo. Una metà di noi è nello sguardo a ricevere, l’altra metà è ancora nello sguardo a dare, è nell’azione.

Si possono citare tantissimi autori, non solo nell’architettura, che tentano la scalata al monte misterioso del possibile.