Incontro con Tony Fretton
di Davide Vargas
Ho incontrato Tony Fretton nel suo studio in Old Street a Londra, subito dopo il primo attacco americano all’Afghanistan. La prima cosa che ho pensato è stata: Così si può arginare il momento tragico che stiamo vivendo, con la cultura e un lavoro serio. In questo studio il fragore delle bombe è lontano, ma non è un ritirarsi, al contrario qui si lavora per la civiltà.
Mi è venuto incontro un uomo con un maglione grigio senza camicia (a Londra nessuno porta la camicia sotto il maglione). Sono entrato in un open space, al centro una tavolata con alcuni computers e pochi collaboratori. Intorno, molti plastici, alcuni raffinati e altri di studio; pochi disegni e poco disordine. Libri e riviste erano pile poggiate sul pavimento.
Mi ha offerto tè indiano, patatine e orange-juice.
Ha parlato di molte cose, con un tono pacato, mostrando foto e plastici. Il mio inglese mi ha fatto cogliere i punti fondamentali.
Uno. Che un architetto è prima un architetto e poi un politico.
Direi, per esempio, che individuiamo lo sfondo sociale osservando i fenomeni, e li portiamo all’attenzione delle persone attraverso gli edifici, o che attraverso gli edifici e gli oggetti facciamo una politica libertaria.
Il tema corre in tutte le sue architetture; a partire dalla Lisson Gallery che diventa seme di qualità per il contesto urbano, fino agli appartamenti di Groningen dove il tema centrale è l’uso e le modificazioni che gli utenti ne fanno.
Appartamenti in Groningen |
Appartamenti in Groningen |
Due. Che ci sono architetture e architetti che egli ama e che sono importanti per il suo linguaggio (questa parola l’ha usata spesso). Per esempio Siza, Asplund o il Palazzo Ducale di Urbino, il primo Gehry o Villa Malcontenta.
Gli edifici che più ho amato sono presenti in questo lavoro: il Palazzo Ducale di Urbino, le case Olandesi e Fiamminghe dove le finestre vanno oltre la muratura, la Maison Clarté di Le Corbusier a Ginevra, Villa Malcontenta di Palladio e molti edifici di Alvaro Siza e altri architetti di oggi. Per me l’architettura del passato e del presente coesistono nel presente, sempre rivelando le proprie radicalità e capacità di parlare del cuore dell’esperienza umana.
Tutto il suo lavoro è sotteso da una continua tensione tra il linguaggio progettuale e, mi sembra di capire, i capisaldi del proprio patrimonio storico di riferimento e di formazione. L’architettura italiana del 400 e del 500 in primo luogo.
Tre. Che non ha molti soldi. E questo lo rende simpatico e vicino agli sforzi che tanti architetti in silenzio fanno per mantenere una cifra di qualità che spesso non viene valutata.
Mi ha mostrato i suoi ultimi progetti ed ha usato spesso la parola abstraction.
Intorno al plastico del progetto per l’ampliamento di un edificio esistente su una collina, ha spiegato come il progetto sia nato in rapporto alla percezione dell’architettura dai vari punti di vista e si spostava a distanza per mostrare sul plastico lo scorcio che si sarebbe colto nella realtà. Di qui le ragioni delle scelte progettuali, come la struttura estradossata aggiunta, definita da vetrate - per cogliere la vita degli interni, uffici, cucine...- o come la ricostruzione mimetica, io credo di tipo concettuale, di una parte dell’edificio, così da realizzare una sorta di porticati sovrapposti.
Lisson Gallery a Londra
Poi mi ha mostrato il plastico di una piccola Galleria dove il tema è la copertura e la luce che vi filtra attraverso i lucernari. Il tema è ricorrente nei progetti di Fretton, dalla Lisson al Centre for Visual Arts: luci tagli e ombre, che sfumano i contorni dei muri, smaterializzano gli angoli e gli spigoli, come in un quadro.
Un altro plastico rappresentava la sezione di uno spazio a tutta altezza, circondato da ballatoi: il tema è proprio il vuoto illuminato dall’alto, indipendente dalla funzione; una sorta di flessibilità luminosa.
Lisson Gallery a Londra
L’ultimo lavoro di Fretton è una casa in Tite street, nel quartiere di Chelsea, nel cuore di Londra. Una grande e rara occasione progettuale.
In quella strada hanno vissuto Whistler e i pittori dello stesso movimento estetico che proprio lì è nato, e Oscar Wilde.
Ci si arriva dal Tamigi, passando per un ponte che sembra una macchina da festa, di sapore orientale. Un riflesso dolce sull’acqua. Si deve amare il fiume come una donna per fare un ponte così.
Casa in Tite Street
Distretto di Chelsea, Londra
Si saluta Sheradzade e si incontra Palladio.
Come tutti i progetti di Fretton, il corto circuito avviene tra la concezione moderna e i riferimenti storici.
Ne viene fuori un’opera complessa, dove la manipolazione della materia storica è raffinata e sottile.
La casa è un blocco monolitico in Rosso di Francia, con la facciata su Tite street articolata intorno ad una edicola centrale, memoria esplicita delle logge italiane.
L’edicola poggia su un basamento trilitico, con due vetrate ai lati e la porta scorrevole centrale, anch’essa in Rosso di Francia.
La composizione è simmetrica, all’improvviso le carte vengono rimescolate e la simmetria viene negata da un apertura al secondo livello, posta solo su un lato.
Il coronamento superiore è più libero, il materiale è diverso, vari setti si accordano con i camini dell’intorno, e dal lato del giardino si coglie un grande blocco di vetro, dalla geometria deformata.
Casa in Tite Street
Distretto di Chelsea, Londra
Gli infissi sono in bronzo.
Sul giardino, la casa si apre, maggiormente in alto.
Compare il metallo del ballatoio e appare la stessa finestra maliziosa, a rompere una simmetria, già di per sé meno rigorosa.
Materiali e disegno dei dettagli rendono la casa elegante e al tempo stesso solida e austera.
Gli interni sono bianchi, sobri e luminosi. E come sempre, gli angoli sono soffusi.
Si deve amare la strada, la città e l’architettura come una donna per fare una casa così.
L’intervista:
DV
Sono spesso a Londra e vorrei conoscere e capire questa città. Capire per me significa entrare in contatto con il senso che c’è dietro la facciata. L’architettura può essere una chiave di lettura. La Modern Tate o la Great Court del British Museum restituiscono una prima comprensione. Ma c’è un’altra città, più vera e anche più difficile da cogliere: sono i quartieri meno ricchi, dove c’è qualche segno di degrado. Lì ho trovato alcune architetture interessanti, che fanno capire e qualificano il quartiere. Tra queste la Lisson Gallery in Bell street. Così è nata l’idea di questa intervista per archimagazine. Per questo, ti faccio una prima domanda su Londra:
Che cosa è Londra per te?
TF
Londra è una città complessa e fratturata. Direi che è un modello di capitalismo e libero mercato anglosassone. In essa gli architetti che hanno una coscienza sociale cercano di realizzare spazi pubblici civili e intelligenti.
DV
Che tipo di rapporto la tua architettura si propone di stabilire con la parte di città dove interviene?
TF
Nella Lisson, dal 1992, per esempio, il rapporto fortemente aperto tra gli spazi espositivi e la strada li rende vere e proprie stanze espositive.
Nella casa a Londra, completata questo anno, la facciata determina relazioni più sfumate tra la strada e gli interni, come nel palazzo veneziano, che consente sia una connessione sia un’intimità.
L’edificio di Groningen, anch’esso completato di recente, si avvicina a tipologie che sono sempre esistite nella città da secoli, che producono alcune libertà di modificazione da parte degli utenti e relazioni con gli spazi pubblici intorno.
Tutti questi edifici sono nel solco di una condivisa consapevolezza e una comune intesa che produce i principi della pubblica attività sociale.
DV
Ho visitato la Lisson Gallery e ho trovato dei vetri rotti e dell’intonaco macchiato. Inoltre l’ultimo piano è chiuso. Come ti senti di fronte a questa scarsa cura e a cosa l’attribuisci?
TF
Bene, secondo quello che ho appena descritto a grandi linee, bisogna accettare che la modificazione non sarà sempre come si immagina.
DV
Mi ha colpito il piano terra vetrato, come un negozio. Difficile capire subito che si tratta di una Galleria. Quale idea ha originato questa scelta?
TF
Per le ragioni che ho esposte, la facciata della galleria è disegnata come una sorta di schema degli edifici all’intorno. Si potrebbe dire che le sue forme sono in rima con essi, non solo con il più piccolo e antico palazzo vicino ma anche con i palazzi alti sorti dal 1960, e con gli spazi aperti formatisi per caso.
DV
C’è corrispondenza tra il linguaggio architettonico della Lisson e il tipo di arte che ospita? Io credo che nelle intenzioni del progetto questa corrispondenza ci fosse, è così?
TF
Correva una potente empatia tra me e l’arte che la Lisson esponeva quando abbiamo disegnato l’edificio, e sono felice di dire che la generazione successiva di artisti ha sviluppato un’empatia con l’edificio.
DV
Come si è sviluppato il tuo lavoro in seguito?
TF
Il mio lavoro cambia sempre, progetto per progetto
DV
Quale idea è dietro il tuo lavoro?
TF
La qualità artistica dell’architettura, rivolta al vantaggio della società e allo sviluppo delle idee.
DV
Come è organizzato il tuo studio?
TF
Prima disegnavo e facevo ogni cosa, ora c’è un’organizzazione in cui il lavoro viene delegato, grazie al mio partner di grande talento che è Jim McKinney.
DV
Grazie per questo incontro. Ho conosciuto un architetto dal pensiero dinamico e permeabile agli eventi. Un architetto che ascolta i luoghi e la storia e configura spazi che hanno la forza di cambiare chi vi si avvicina, come gli artisti della Lisson.
Di questo oggi abbiamo bisogno.
Londra, 8.10.2001