Mauro Andreini. Architettura metafisica: aggregazioni possibili
di Francesca Gottardo
Seduto in un limpido pomeriggio autunnale su una panca al centro di Piazza Santa Croce a Firenze, De Chirico racconta come uno sguardo sulla città diviene motivo di ispirazione della sua arte, ravvisando "nella costruzione delle città, nella forma architettonica delle case, delle piazze, dei giardini e dei paesaggi, dei porti, delle stazioni ferroviarie le prime fondamenta di una grande metafisica". E' lo stesso pittore a riconoscere nell'articolazione dello spazio urbano toscano la genesi architettonica delle sue opere. L'enigma di un pomeriggio d'autunno, opera da lui stesso citata in un suo manoscritto parigino del 1912, inaugura i canoni di una nuova poetica in cui sottolinea di aver mostrato per primo la metafisica delle piazze e delle città d'Italia dalle caratteristiche ombre lunghe gettate dalla luce del meriggio.
L'itinerario compositivo di Andreini si sviluppa in affinità con tale percorso ed è ispirato all'osservazione del paesaggio toscano, cui egli è intimamente legato. E'proprio la contemplazione dei sinuosi declivi che si susseguono, in particolare, tra Monalcino e Siena, e le forme urbane degli borghi in esso perfettamente integrati, da cui spiccano svettanti le punte dei campanili, a saldare definitivamente il fecondo legame tra la sua architettura e il luogo.
Il rapporto con De Chirico e la corrente metafisica, ispiratrice delle architetture razionaliste realizzate nelle città di fondazione di epoca fascista, si presta a non poche analogie. Andreini condivide con il poeta-pittore non solo la straordinaria empatia con la tradizione artistica ed architettonica toscana, ma soprattutto la riflessione sul tema della città futuribile, la progressiva esemplificazione degli elementi pittorici e architettonici, fino a ridurli ad una emblematica essenzialità, la reintroduzione dei valori tipici della pittura italiana del primo Rinascimento, con la conseguente configurazione dello spazio secondo la rigorosa geometria euclidea.
Riprendendo la concezione antropocentrica secondo cui l'uomo viene a trovarsi al centro del mondo e l'architettura serve a creare uno spazio a lui congruo, pensato a sua misura e in grado di garantire il vivere civile, il progetto per la chiesa di Firenze identifica un microcosmo rispetto alla città, un frammento urbano dotato di una propria autonomia e identità. Egli offre una interpretazione spaziale di un concetto universale, quale il raccoglimento, cui ogni epoca e società hanno attribuito, nel tempo, configurazione e valore diversi percepibili, ad esempio, nella serrata aggregazione intorno ad un nucleo tipico dei borghi medievali o nella ordinata disposizione intorno ad un chiostro proprio delle oasi religiose, delle corti e dei palazzi rinascimentali. Prevalente in questo progetto il richiamo alle piazze di Montalcino, Buonconvento, Montepulciano, Pienza, città gioiello della Val d'Orcia e, più in generale, all'urbanistica medievale che nella chiesa cinta da poche case raccoglieva ed esprimeva il senso profondo dell'abitato e l'essenza primaria della comunità. Dalla città antica egli attinge quanto vi sia di invariabile e trasmissibile nella città attuale e futura, esemplificandone gli elementi costitutivi. Tale riflessione sul significato e sul ruolo della piazza-corte nel sistema urbano è oltremodo significativa nel panorama dei luoghi e non luoghi contemporanei, dominati dalla dissoluzione della piazza quale luogo di incontro ed aggregazione sociale. Nel progetto riemerge la volontà inconsapevole di dare forma a quanto anticipato nella Nova Atlantide, raccolta di acquerelli architettonici immaginari sul tema della città ideale.
Il viaggio nel paesaggio toscano caratterizzato dalla presenza del cotto e dellintonaco, da 'tipologie insediative raccolte, dal carattere intimo dei borghi e delle relazioni umane, dalla leggiadria dei colori pastello e dalla sincerità dei materiali si imprime nella sua mente che ne rielabora, quindi, non solo gli elementi naturali, ma anche le diffuse presenze antropiche alla ricerca di ciò che, al di la di quanto è in continua trasformazione, rimane nel tempo costante, immutato.
Il progetto richiama la tipica urbanizzazione collinare fiorentina, formata da edificazioni singole, rade e puntiformi, per lo più di matrice storica. Nel completare il profilo costellato di insediamenti rurali satelliti, Andreini procede in analogia con la natura, ma soprattutto con l'uomo e il suo operato, realizzando un'architettura del silenzio, così da lui stesso definita, in quanto ispirata ad un profondo rispetto per le emergenze storiche ed ambientali, discreta e radicata nel territorio, contraria al frastuono e allo scalpore di colpi di scena ed effetti speciali, alla volontà di essere forzatamente fuori dalle righe e a qualsiasi forma di ostentazione e autocelebrazione fine se stessa. Il suo interesse sembra principalmente quello di mantenere inalterato il sacro silenzio dei luoghi, riconosciuto come tale da chiunque varchi l'ingresso della vicina chiesa di S. Antimo e scaturisce dall'interpretazione del territorio e di ciò che in qualche misura è implicito nel territorio stesso, dove il rapporto tra l'uomo e la terra è stato quasi sempre il frutto di una comprensione reciproca e di un'amorevole intesa.
Il progetto esprime lo scenario metafisico di una funzione urbana che nel paesaggio armoniosamente si inserisce e, al tempo stesso, da esso si distacca in un alternarsi di solidi puri fortemente segnati dal gioco chiaroscurale della luce. Il procedimento aggregativo delle forme e dei volumi riconosce nella corte e nella piazza gli elementi generatori degli spazi collettivi, negando la monotonia di uno spazio lineare a favore di una articolata intersezione di piani e di punti di vista. La logica compositiva risulta immediatamente comprensibile e percepibile nella naturale sequenza degli spazi basata sulla percezione del vuoto in quanto spazio di relazione.
L'insediamento è composto essenzialmente dalla triangolazione di elementi caratterizzati da una netta distinzione cromatica, in simbiosi e compenetrazione tra loro. Il sistema chiesa-corte-campanile, definita secondo un preciso rapporto gerarchico, è tale da garantire una proporzione nell'accostamento dei volumi e nella variabilità dell'altezza e delle misure dei corpi di fabbrica. La chiesa, nella rielaborazione del timpano con rosone secondo la tipologia più ricorrente e diffusa nell'area, risulta essere l'elemento primario, collocata in posizione privilegiata; il campanile costituisce il segno identificativo del luogo; la corte, semiaperta in direzione della città, riproduce, infine, in piccola scala uno spazio collettivo, nodo primario della forma urbana. Ognuno di questi elementi richiama, nella essenzialità della forma, la ricerca degli archetipi architettonici individuati rispettivamente nella capanna, nella torre e nel recinto, in cui riaffiora il ricordo e le suggestioni delle architetture metafisiche disegnate da Aldo Rossi per il quartiere direzionale di Fontivegge, emblema della città contemporanea. I principi della pittura metafisica rappresentano, infatti, il paradigma di riferimento del progetto nel quale la componente della visione induce l'architetto ad immaginare spazi che sembrano al di fuori del tempo, in cui regna una solitudine irreale, il silenzio più assoluto. Tale paradigma è individuabile, inoltre, nell'equilibrio delle proporzioni, nella purezza delle forme essenziali, nella loosiana assenza della decorazione, nelle caratteristiche campiture di colore piatto e uniforme, nella prospettiva della composizione costruita secondo molteplici punti di fuga incongruenti tra loro, in cui l'occhio è costretto a ricercare l'ordine di disposizione delle immagini.
Architetto e pittore visionario di luoghi metafisici, pur allontanandosi apparentemente dal l'originario regionalismo architettonico e manifestando, nelle opere più recenti, la volontà di andare oltre i confini toscani, Andreini mantiene, in realtà, sempre forte il legame con il luogo che è presente e leggibile nella continuità visiva con ciò che è preesistente. Egli elabora quinte architettoniche in cui rivive il fascino del quotidiano e della semplicità costruttiva locale, pur conservando quel sapore onirico di luogo irreale e metafisico, dove forse i passanti si trasformeranno in statue e manichini.
Mauro Andreini
Architetto e pittore visionario di luoghi metafisici, ha esordito a Firenze e Roma, presentato da G.K.Koenig, con esposizioni personali di acquerelli sul tema dell'architettura urbana e rurale. La sua opera è ampiamente documentati su varie e numerose riviste italiane.
Si caratterizza per un'architettura segnata da semplici aggregazioni di forme pure, architetture fuori tempo che stanno tra il buongoverno del Lorenzetti ed il paese dei balocchi.
Tra il 1990 ed il 1995 produce una serie di progetti raccolti in Mauro Andreini, Architettura in corso, Electa e Mauro Andreini: Nova Atlantide, Librìa. Nel 2002 e 2003 è fra gli autori selezionati a rappresentare l'architettura italiana contemporanea in Giappone nella mostra "dal Futurismo al possibile futuro" al Design Center di Tokio ed all'Espace d'architecture CIVA La Chambre a Bruxelles, mostre patrocinate dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Opera prevalentemente nelle nuove costruzioni, tra le quali si distinguono le nuove chiese di Bologna e Firenze, un albergo a Firenze, le case singole e i complessi residenziali in Val 'Orcia e Montalcino.
Hanno scritto dell'autore tra gli altri: A.Acocella, A.Bugatti, B.De Battè, G.K.Koenig, A.Greco, C.Latina, E.Miccini, A. Natalini, M.Pisani, N.Risaliti.
Ha in corso di preparazione un libro monografico di prossima pubblicazione che raccoglie gli acquerelli dal 2002 al 2008 suddivisi in due raccolte tematiche: Architetture visionarie e Ritratti di Luoghi. www.mauroandreini.it
Francesca Gottardo
Francesca Gottardo è dottore di ricerca in "Conservazione dei Beni Architettonici" presso il Politecnico di Milano. Ha svolto attività didattica presso la cattedra di "Progettazione Architettonica IV" e, attualmente, presso il corso di "Geoarchitettura", tenuto da Paolo Portoghesi presso la Facoltà di Architettura Valle Giulia dell'Università "La Sapienza" di Roma. Laureata con lode in Architettura alla medesima università, ha conseguito il master annuale di II livello in "Recupero e conservazione delle costruzioni di interesse storico ed archeologico" e ha collaborato presso lo studio Portoghesi.
Ha collaborato, inoltre, presso il M.I.U.R. nell'ambito del progetto di ricerca (PRIN 2002-2004) dal titolo "Integrazione del fotovoltaico in architettura. Natura, ambiente e nuovi linguaggi", coordinatore scientifico Paolo Portoghesi. Ha pubblicato articoli e recensioni sulla rivista "Abitare la Terra" ed è curatrice del catalogo della mostra Paolo Portoghesi. Disegnare l'ambiente (Modena, 18 ottobre - 30 novembre 2008) e del volume Paolo Portoghesi. Architettura e Memoria, Gangemi editore (2006), segnalato con una menzione di merito al "Premio Roma", Premio Internazionale di Saggistica e Narrativa italiana e straniera.
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Pubblicazione originale:
F. Gottardo. MAURO ANDREINI. ARCHITETTURA METAFISICA in Abitare la Terra n. 21/07(Gangemi Editore)