Dell’architettura italiana*
Di Francesco Dal Co
Introducendo la sesta edizione dell’Almanacco dell’architettura italiana che Casabella offre annualmente agli abbonati, abbiamo fatto alcune riflessioni che riteniamo opportuno riproporre all’attenzione dei nostri lettori, in occasione della pubblicazione del numero doppio della rivista, che inaugura un nuovo anno di lavoro.
Copertina del numero doppio, 717 / 718, dicembre 2003 / gennaio 2004, di Casabella
diretta dal professore Dal Co
Il confronto tra le opere presentate in questo numero di Casabella (edifici costruiti in diversi Paesi del mondo allo scopo di far fronte alla crescente domanda di spazi per le attività culturali, ovvero biblioteche, archivi, teatri e sale da concerto, musei) e quanto si costruisce in Italia non può non indurre a constatare, per l’ennesima volta, l’arretratezza e asfitticità del panorama offerto dalla produzione architettonica nel nostro Paese. Più di ogni altra nazione progredita, l’Italia presenta un bilancio negativo per quanto riguarda gli investimenti, i programmi e le realizzazioni volti a favorire la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale di cui dispone, nonché le attività connesse (non ultime quelle riguardanti la ricerca). Sarebbe però fuorviante non considerare come questo bilancio presenti un’alternanza di luci e ombre, pur nel prevalere delle seconde, che può indurre a pensare che ormai il fondo lo si è toccato e che il deficit accumulato è di dimensioni tali da indurre, paradossalmente, a guardare al futuro potendo nutrire, perlomeno, qualche attesa se non proprio qualche speranza. Si possono citare alcuni esempi per spiegare i termini della questione. Se è vero, come c’era peraltro da aspettarsi, che l’annosa vicenda della "riforma" del più importante Museo del nostro Paese, gli Uffizi, sembra avere imboccato un percorso carsico che non lascia presagire nulla di buono, bisogna però prendere atto che la realizzazione della Grande Accademia a Venezia è ormai in dirittura d’arrivo. Zaha Hadid e Odile Decq stanno costruendo i loro Musei a Roma e da non molto si è inaugurato il Mart a Rovereto, anche se, nel frattempo, ricchissimi "giacimenti culturali", come si diceva solo qualche anno fa con dubbio gusto, continuano a giacere abbandonati, mentre per le nostre Soprintendenze si profilano tempi duri. La ricostruzione del teatro La Fenice è terminata, alla Scala si lavora alacremente e Renzo Piano, così sciatto nel risolvere il rompicapo dell’Auditorium di Roma, ha dato buona prova di sé completando la sala da concerti che ha costruito a Parma, presentata su queste pagine di Casabella. Ma che ne è dei progetti risultati vincitori dei concorsi banditi per le nuove biblioteche milanesi o dell’ampliamento di Brera a Palazzo Citterio, quali i progetti di cui è sperabile vedere la realizzazione per le nostre principali biblioteche, gli archivi, i più celebri siti archeologici?
Per quello che riguarda la valorizzazione delle nostre risorse e, in particolare, di quanto la cultura progettuale italiana sarebbe, probabilmente, in grado di esprimere questo stato di cose e il conseguente asimmetrico alternarsi di voci che nel nostro bilancio presentano segni opposti, ha ingrigito le tinte di uno scenario che suggerisce considerazioni amare e acuisce lo stato di depressione che sembra essere il comune denominatore della cultura architettonica italiana.
Le enormi passività accumulate nel rendiconto che fotografa ogni aspetto dell’attività edilizia realizzata in Italia hanno prodotto, per quanto riguarda gli architetti, un fenomeno che non ha eguali nelle altre nazioni. Nel nostro Paese, infatti, per quanto riguarda la professione dell’architetto, si è verificata la cancellazione di almeno una generazione. Dovremmo disporre di molte pagine per spiegare le ragioni di questo fenomeno che è davanti agli occhi di tutti e del quale ora non rimane che prendere atto. Questa dilapidazione di risorse, intellettuali e non, ha la sua origine (soprattutto, ma non solo, naturalmente) nell’arresto di ogni vera e seria iniziativa di modernizzazione del nostro Paese. Per questa ragione, l’Italia ha accumulato un ritardo di venticinque anni sul resto delle nazioni sviluppate (per non parlare di quelle che si vanno ora affacciando prepotentemente sulla scena dello sviluppo economico internazionale, uscendo di fatto dal "sottosviluppo", fenomeno peraltro da osservare con strumenti analitici diversi da quelli che è opportuno utilizzare per studiare quanto è avvenuto, ad esempio, nelle nazioni europee). Anche le ragioni di questo ritardo meriterebbero molte considerazioni, ma ciò da cui ora si deve ripartire è il fatto che questo ritardo andrà colmato. I segnali che dimostrano che su questa strada ci si sta avviando non mancano, come si diceva. Sono segnali ambigui e spesso preoccupanti. Solo in pochi casi inducono all’ottimismo, che può essere in una certa misura giustificato unicamente se si pensa all’ampiezza dei problemi e delle occasioni che stanno davanti a noi. Il Paese con la massima concentrazione di beni culturali al mondo è dotato di un sistema museale (in senso lato) tra i più obsoleti e antieconomici; ripensare questo sistema è una sfida che non si esaurisce rimodellando (per lo più male) qualche sala o ricollocando delle opere. Non bastasse lo spettacolo che offrono le nostre istituzioni culturali, che i confronti suggeriti da questo numero di Casabella sottolineano con chiarezza, le nostre scuole, gran parte degli ospedali, le università versano in condizioni precarie; spesso sono al limite del collasso e in generale gli edifici sono inadeguati a fornire decentemente e proficuamente i servizi che dovrebbero assicurare ai cittadini. Il sistema dei trasporti è obsoleto e inefficiente e lo è oltre che per ragioni strutturali (investimenti carenti, politiche sbagliate ecc.) anche per una sostanziale carenza culturale che caratterizza l’azione di chi è preposto alla sua amministrazione. Per questa ragione, ad esempio, le strade e le autostrade continuano a venire concepite come semplici strisce d’asfalto completate da manufatti rozzi e banali, mentre le stazioni più belle e importanti vengono rimodernate con obbiettivi meramente commerciali, in spregio ad ogni altra considerazione (anche economica), avvalendosi di tecnici di dubbia affidabilità; gli aeroporti più moderni si meritano in pieno la definizione per essi utilizzata da un noto architetto olandese: trash architecture; le nuove linee ferroviarie in costruzione corrono spesso accanto alle vecchie autostrade senza che nessuno si sia preoccupato di pensare a quale straordinaria opportunità di disegno del territorio questa situazione può offrire, come dimostrano gli esperimenti che in questo campo vengono tentati in altri Paesi europei; il patrimonio edilizio è invecchiato e invecchia precocemente, la struttura dei quartieri come quella delle tipologie residenziali non viene più incontro ai bisogni, le periferie sono abbandonate, e persino gli stadi andrebbero in molti casi rifatti per essere all’altezza della domanda e delle potenzialità economiche che potrebbero suscitare. Negli ultimi dieci anni, ogni città spagnola si è dotata di un centro per i congressi e in Italia non sappiamo dove accogliere questo tipo di attività… ma, come si vede, l’elenco potrebbe diventare davvero interminabile, senza voler nulla aggiungere circa le grandi sfide ormai alle porte: la deindustrializzazione delle città italiane da Torino a Mestre, da Trieste a Napoli, offrirà nei prossimi anni opportunità straordinarie per ripensarne gli assetti e le strutture, ed è necessario attrezzarsi in maniera adeguata, perché gli esempi al riguardo offerti da quanto si è fatto nel recente passato non sono certo istruttivi. Ma proprio la lunghezza di questo elenco può indurre a qualche speranza. Il fatto che negli ultimi mesi non pochi architetti stranieri di buon nome, come abbiamo succintamente ricordato, abbiano ricevuto incarichi importanti in Italia va letto in questo senso. Certo, questi incarichi sono spesso stati affidati solo perché i committenti italiani, atavicamente pigri, posseggono una cultura specifica modesta che li induce a privilegiare i "luoghi comuni", o meglio, i nomi comuni, nella convinzione di compiere così scelte indolori e tranquillizzanti. Tuttavia, la presenza di questi professionisti può aprire una strada, stimolando la curiosità della stessa committenza e inducendo gli architetti italiani ad attrezzarsi per potersi confrontare con i colleghi stranieri. La risposta più errata che si potrebbe dare a questo fenomeno, solo in alcuni casi per fortuna sino ad ora sussurrata, sarebbe quella di pensare a forme di protezionismo. Più utile, anche delle fantomatiche (per ora) e sino ad ora velleitarie "leggi per l’architettura", balzate agli onori della cronaca negli ultimi anni, sarebbe mobilitare tutte le forze della cultura architettonica italiana per intervenire di volta in volta, con mezzi e iniziative appropriate, su una serie di questioni, compiendo uno sforzo per studiare cure intrecciate e terapie complementari su alcuni punti che qui elenchiamo sommariamente.
1 La committenza: è necessario che il mondo dell’architettura (inclusi naturalmente Ministeri quali quelli dei Lavori Pubblici e dei Beni Culturali) compia ogni sforzo e vari iniziative per promuovere un confronto continuo con la committenza pubblica e privata, mirante ad ampliarne le prospettive culturali e a instaurare uno scambio su basi paritetiche al fine di innervare i processi di assunzione delle decisioni, avendo come scopo quello di indurre i committenti a compiere delle scelte anche "rischiose" e, soprattutto, preveggenti, e a ritrovare così il proprio orgoglio.
2 Le imprese: negli ultimi anni per ragioni di natura economica e legislativa, le imprese italiane hanno subito un processo di depauperamento, cui è necessario porre rimedio sia intervenendo sulle distorsioni legislative sia attivando una politica della formazione (tanto più necessaria per i lavoratori stranieri, anche in termini di sicurezza) e riqualificazione della forza lavoro, realizzando veri corsi di formazione professionale per tutti coloro che operano direttamente nei cantieri.
3 Il sistema bancario: un ruolo fondamentale sia per il rafforzamento dell’"orgoglio della committenza" che per la riqualificazione delle imprese può essere svolto dal sistema bancario attraverso l’erogazione dei crediti, che dovrebbero essere inoltre calibrati per permettere agli architetti di compiere un salto di qualità per quanto riguarda la loro organizzazione professionale e la qualificazione per l’ottenimento degli incarichi (valore delle competenze e delle prestazioni erogabili, invece che valore dei fatturati, attualmente assunto come parametro fondamentale per l’assegnazione degli incarichi pubblici).
4 Amministrazioni pubbliche: ciò di cui vi è urgenza è una legge che obblighi tutte le amministrazioni pubbliche a ridotarsi di Uffici Tecnici qualificati, in grado di fornire prestazioni certificate, in tempi certi, con competenze all’altezza dei problemi in ogni città d’Italia.
5 Università e scuole: così come è necessario che nelle nostre scuole si introducano forme di educazione alla conoscenza dell’architettura e dell’ambiente costruito, è necessario porre rimedio ai danni enormi che la proliferazione delle facoltà di Architettura (sorte per le più svariate ragioni e in gran parte per motivi dettati dallo spirito di autoconservazione del ceto accademico) può produrre, dato che è impensabile esistano in Italia architetti in grado di insegnare a progettare in numero sufficiente a far fronte alle esigenze delle sedi universitarie che sconsideratamente si sono moltiplicate nell’ultimo decennio; accanto a ciò sarebbe assai opportuno prendere spunto dalla recente riforma universitaria che ha introdotto corsi di laurea triennali, per riservare i corsi di architettura di tre anni unicamente alla formazione di tecnici per l’edilizia, ripristinando il ciclo della formazione quinquennale per gli architetti (cfr: il modello svizzero, ad esempio).
6 L’Ordine Nazionale degli Architetti: all’abolizione del valore legale della laurea dovrebbe accompagnarsi la progressiva dismissione dell’Ordine Nazionale degli Architetti così come attualmente organizzato, che dovrebbe essere sostituito da organismi professionali autoregolamentati, garanti delle competenze degli aderenti, in grado di promuovere la formazione di una struttura nazionale destinata a svolgere iniziative volte unicamente a promuovere la discussione e il confronto intorno all’architettura, come accade in molti Paesi europei.
7 La Legge Merloni: il mondo dell’architettura dovrebbe promuovere una mobilitazione per la radicale riforma della Legge Merloni, da attuarsi secondo due direttrici: a) revisione delle norme regolanti gli appalti (verifica della priorità assegnata al ribasso d’asta, certificazione e penali per appaltatori e appaltanti); b) inversione della tendenza che ha fatto sì che questa legge privilegi l’assegnazione degli incarichi professionali alle società di ingegneria, alle quali va imputata una parte considerevole delle colpe che hanno portato al degrado dell’attività edilizia di cui prima si è detto.
8 Infrastrutture e servizi: le occasioni rappresentate dalla costruzione delle linee ferroviarie per l’alta velocità, dei nuovi tratti autostradali e delle strade da riqualificare, l’adeguamento del sistema aeroportuale dovrebbero essere sfruttate per mettere a punto modelli integrati (dalla concezione dei percorsi agli arredi, dalla salvaguardia del patrimonio esistente –ad esempio, le stazioni– ai servizi puntuali, dagli aeroporti alle opere di ingegneria).
9 L’informazione: in nessun Paese gli organi di stampa e di informazione dimostrano l’indifferenza che in Italia viene riservata a ciò che accade nel mondo dell’architettura, nonostante a questo settore siano riservate molte pubblicazioni specializzate; una seria informazione su ciò che l’architettura offre e significa, sul ruolo che le spetta potrebbe essere essenziale per scuotere la colpevole indifferenza che un Paese ricco quanti altri mai di architettura riserva a quello che ora vi si costruisce.
10 Beni culturali: per ribadire qual è uno degli obiettivi che ci siamo posti pubblicando questo numero di "Casabella" dedicato agli "spazi per la cultura" è opportuno concludere questa elencazione di temi di discussione, sottolineando come predisporre una nuova e diversa politica per la conservazione, la salvaguardia e la valorizzazione dei beni culturali sia oggi in Italia più che urgente. Il Governo e il Parlamento dovrebbero varare un "Piano pluriennale per i Beni Culturali", a partire da un progetto di valorizzazione e di fruizione diffusa, affidando alle mani di professionisti di provate capacità, di concerto con gli organi delle Soprintendenze, l’elaborazione di progetti all’altezza delle esigenze, anche in termini rappresentativi, al fine di colmare la distanza, che le pagine della nostra rivista consentono di misurare, che ci separa dagli altri Paesi e di consentire, al contempo, alla cultura progettuale italiana di cogliere opportunità analoghe a quelle con cui gli architetti stranieri possono confrontarsi, essendo gli interventi miranti a moltiplicare i "luoghi per la cultura" i più significativi per attestare le aspirazioni alla modernizzazione di ogni Paese.
* Articolo introduttivo al numero doppio di Casabella, 717 / 718, dicembre 2003 / gennaio 2004.
Articolo inserito il 13 novembre 2003